24 Luglio 2016, 19:58 - Angelo Sciortino [suoi interventi e commenti] |
La scrittrice americana Francine Prose ha scritto nel suo splendido libro Odissea siciliana le seguenti due riflessioni, ispiratele da un suo viaggio-inchiesta in Sicilia: “L'intera storia d'Italia - e gran parte di quella Europea - sembra concentrarsi in questa terra singolare e affascinante” è la prima; l'altra è: “È facile essere felici in Sicilia, ma è un’operazione che richiede un adattamento biologico oltre che culturale: bisogna imparare a vivere il tempo alla maniera siciliana.”.
Non è difficile concordare sulla prima affermazione, non tanto perché ci inorgoglisce e stuzzica la nostra vanità, quanto piuttosto perché dalle tombe fenicie ai templi e ai teatri greci, dagli esempi di arte bizantina a quella normanna, è tutto un esempio di tale concentrazione di storia, che è non soltanto l'alba della storia italiana ed europea, ma anche di tutta la storia occidentale, senza la quale anche quella orientale, pur grande, non avrebbe avuto lo sviluppo che la rende oggi in grado di rivaleggiare con quella occidentale. Questa è la Sicilia! A dimenticarlo sono purtroppo i Siciliani stessi.
La seconda riflessione ci viene in aiuto per capire perché accade che i Siciliani soffrano di questa amnesia del loro orgoglioso passato. Essa, infatti, ci indica che noi siciliani viviamo il tempo a modo nostro. Viviamo senza fretta e consideriamo il tempo passato come già morto, quindi incapace di farci riflettere sulle esperienze del passato, per trarne insegnamento. Questo modo di vivere il passato ci rende più simili a bambini spensierati, invece che a uomini maturi.
Non pensiamo neppure a costruire un futuro, convinti che esso sarà come il destino vorrà e non come noi dovremmo e potremmo costruirlo. Per conseguenza viviamo lo stesso presente con disattenzione e improvvisando, convinti che esso non ci serve per creare il futuro.
Cefalù è una città della Sicilia e i suoi abitanti, orgogliosi della loro cefalutanità, sono pur sempre siciliani. Lo dimostra anche il loro modo di vivere il tempo. Non daranno mai, per esempio, un orario preciso per un appuntamento, ma diranno “ci si vede verso le..”, che potranno essere qualunque ora dopo quell'ora e forse mai; sono pronti a dimenticare non soltanto il lontano passato, quand'anche fosse glorioso, ma anche quello recente; sono così dimentichi di questo passato recente, da ridare fiducia a quei candidati, che per cinque anni hanno aspramente criticato.
Da questa maniera siciliana di vivere il tempo sono derivati tanti problemi, che infine sono sfociati nella triste situazione attuale della Sicilia e di Cefalù. Non essendo artefici del loro futuro, essi ormai da anni si affidano ai politici, che a ogni tornata elettorale ne promettono uno radioso, che però si riduce a essere soltanto il loro ricco e immeritato avvenire. Agli altri, invece, viene riservato un futuro di stenti. E più i cittadini vivono fra gli stenti, più sono clienti in mano ai politici. Politici, che si sono inventati il lavoro precario, che altro non è, se non un precario presente senza futuro. Questo è stato possibile soltanto perché i Siciliani hanno il loro strano modo di vivere il tempo; un modo di pensare soltanto all'oggi e a non preoccuparsi del domani. Non per nulla, in Sicilia regna incontrastato l'adagio: pensa a oggi, a domani pensa Dio.
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