I sindaci, gli esperti e gli incompetenti vicini

Ritratto di Angelo Sciortino

3 Luglio 2016, 11:34 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Da qualche decennio in Italia è prevalsa l'abitudine dei politici eletti di servirsi di consulenti ed esperti scelti non per la loro competenza, ma per la vicinanza e la condivisione delle loro scelte. Fanno, cioè, come quel generale, che sceglie colonnelli guasconi, che di fronte al nemico fuggono spaventati, trascinando nella fuga tutte le truppe. Nonostante tale disvalore, quel generale li sceglie, perché sono pronti a dirgli comandi! e signorsì!

Ecco, così fanno i politici. Non crediate, però, che si tratta soltanto di un'abitudine dei politici d'alto rango, come i parlamentari nazionali e regionali, perché questa abitudine l'hanno anche i piccoli politici eletti per amministrare i comuni, i cosiddetti sindaci. Costoro scelgono i loro assessori, che in fondo altro non dovrebbero essere se non esperti in quei rami, per i quali hanno ricevuto la delega del sindaco. La situazione peggiora, quando tutti questi falsi esperti si riuniscono in giunta non per consigliare il sindaco, ma per dare il loro consenso anche alla più balzana delle sue scelte amministrative. Sarebbe un grosso guaio se non lo dessero, perché egli ha il potere di allontanarli con la motivazione che non godono più della sua fiducia. Mi chiedo: e se invece fosse il sindaco a non godere più della loro fiducia? Non potrà mai accadere, per fortuna del sindaco, perché egli non li ha scelti per la competenza ma per l'ubbidiente vicinanza. Per fortuna del sindaco, ma per sfortuna dei cittadini, che sono costretti a riconoscere uno stipendio a questi “esperti in vicinanza”!

Com'è possibile che accada ciò in un sistema democratico, in cui i cittadini decidono del loro destino e dei loro rappresentanti? Non saranno per caso anche loro “vicini”?

Ecco, sta proprio qui il punto. Quasi 22 secoli fa Polibio di Megalopoli usò un termine per definire tale degenerazione della democrazia: oclocrazia. In esso alla prima parte del termine demos (popolo) Polibio sostituì quello di oclos (folla). Per intenderci, è folla l'insieme dei tifosi, che distruggono per rabbia o per gioia; è popolo l'insieme dei cittadini, che ascoltano un comizio e poi decidono secondo ragione.

Per meglio chiarire: la folla si fa trascinare dagli umori, come quello di rabbia o quello di gioia, ma non riflette, quando deve decidere del suo futuro e persino di quello dei suoi figli. Si accontenta di un vantaggio immediato, sebbene le conseguenze di tale vantaggio siano foriere di futuri gravissimi svantaggi non solo economici. Si pensi, per esempio, alla distribuzione di alimenti agli elettori meno abbienti o alla promessa di un posto di lavoro anche precario per decidere del proprio voto. Lo so, questo si chiama clientelismo, ma esso non potrebbe esistere, se la folla fosse un popolo; un insieme di cittadini orgogliosi della propria libertà e fiduciosi nelle loro capacità di costruire da sé la propria vita.

A questo punto dovrei tratteggiare il funzionamento di uno Stato assistenziale e dimostrarne i danni morali e culturali, che esso apporta alla società, quando funziona come in Italia e non come in Svizzera o Germania, dove i cittadini godono di assistenza, che loro stessi hanno pagato. In Italia, invece, un certo sindacalismo becero non si preoccupa della crescita di un'economia libera, che può produrre la ricchezza per il sostentamento dell'assistenza, ma lotta contro di essa, come se dalla povertà potesse derivare tale ricchezza. Non è un caso che il tasso di disoccupazione sia il più alto fra gli Stati europei; la produttività dei lavoratori la più bassa; la precarietà la più alta. Con un simile eccesso di statalismo al Paese non resta futuro né ne resta ai lavoratori. Eppure essi seguono questo sindacalismo becero, al punto di aver dato la rappresentanza al Governo a un partito che vi si richiama. Perché? Semplicemente perché sono “folla”.

A questo punto dobbiamo ammettere che ormai l'oclocrazia si è affermata e fa sentire il suo peso nella vita di tutti. Siccome, però, siamo pur sempre in presenza di “folla”, la reazione è irrazionale. Si è quasi pronti alla tirannide di un capopopolo, al quale affidare l'opera di liberazione da una politica oppressiva e si è pronti a inabissarci all'ultimo atto di tale processo: il populismo.

Io non so perché scrivo queste cose. Forse perché ho il sogno che finalmente in questa “folla” ci siano cittadini pronti a combattere per evitare la deriva definitiva dell'Italia o forse soltanto per lasciare una testimonianza alle generazioni future, che dovranno guardare agli errori di oggi, se vorranno ricostruire l'Italia. Nell'uno e nell'altro caso si tratta di un obbligo morale, che mi detta la coscienza.