Riflessione a corredo dell'articolo del Prof. Enzo Rosso su Francesco Paolo Gravina

Ritratto di Giuseppe Maggiore

19 Aprile 2016, 19:11 - Giuseppe Maggiore   [suoi interventi e commenti]

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RIFLESSIONE 

a corredo dell'articolo del Prof. Enzo Rosso su Francesco Paolo Gravina P.pe di Palagonìa e di Lercara Friddi. (Link: https://www.qualecefalu.it/node/19111)

 

"QUA CAPUT, ET CETERA MEMBRA"
(Dove è il capo, lì sono anche le altre membra  - Sant'Agostino - "Enarrationes in Psalmos").

Un po' di storia.

 

Sommariamente, due parole su Francesco Paolo Gravina, Principe di Palagonia e di Lercara Friddi.

Nacque a Palermo il 5 Febbraio del 1800 da Don Salvatore Gravina e da Donna Maria Provvidenza Gravina e Gaetani, Principi di Palagonìa.

Il 14 Marzo del 1819, ad appena 19 anni, sposò Nicoletta Filangieri e Pignatelli, figlia del Principe di Cutò.

Ma la mancanza di figli e di una vita di corte, alla quale Nicoletta era abituata, la spinsero ad innamorarsi con molta leggerezza di un vicino di casa, Francesco Paolo Notarbartolo e Vanni, Principe di Sciara (caso veramente singolare, i protagonisti maschili di questa storia portano lo tesso nome: Francesco Paolo).

Questo suo amore fedigrafo fu ampiamente corrisposto ed assurse a notorietà in una Palermo salottiera dove la maldicenza era di moda.

L'immenso scoramento prodottogli dalla constatazione di tale tradimento indusse Francesco Paolo Gravina a ripudiare la moglie, dalla quale, tuttavia, per la sua profonda concezione morale e cristiana non intese separarsi legalmente mai; anzi, malgrado tutto, le attribuì un cospicuo vitalizio.

Da quel momento intensificò le opere di bene, alle quali era aduso e nelle quali trovava un appagante veridico conforto.

L'incontro casuale, avvenuto nel suo continuo girovagare fra le zone più povere di Palermo nelle quali egli si recava con la sua carrozza e col suo cocchiere per portare soccorso ai più miserabili, con una poverissima bambina cieca senza famiglia, tale Ciccia, intesa "Ciccia non lo so" appunto perché così rispondeva a chi le faceva delle domande circa il suo nome e sui suoi genitori, fu galvanizzante per la sua indole. Se la portò con sé e da quel momento aprì le porte di tutti i suoi palazzi dando ricovero e sostentamento ai diseredati.

Molteplici furono le iniziative che il Gravina intraprese a beneficio degli indigenti nella sua breve vita, in ciò anche favorito dalla sua posizione di Sindaco di Palermo nel periodo che va dal 1832 al 1835.

Approntò dei sanatori durante il colera che flagellò la città nel 1836 ed organizzò uno stuolo di medici e sacerdoti addetti alla cura dei malati, sostenendone interamente le spese.

Spirò nella sua città natale il 15 Aprile 1854 e fu sepolto a Baida, da dove, successivamente, il corpo fu traslato nella casa generalizia che oggi porta il suo nome.

Dispose, altresì, per estrema umiltà, che il suo cadavere venisse vestito col saio dei Frati Minori Osservanti e che il suo capo fosse poggiato su una semplice tegola a mo' di cuscino.

Lasciò tutti i suoi cospicui beni per il sostentamento morale e materiale dei poveri.

Oggi le Suore di Carità, pio Organismo da Lui creato, costituite nella Congregazione che porta il nome dell'illustre patrizio,  ne  ripropongono la  memoria continuando la sua opera benefattrice.

Riflettendo sul passo contenuto nel foscoliano "I Sepolcri" riferito ad un ipotetico mortale, che testualmente recita: "... non vive ei forse anche sotterra quando / gli sarà muta l'armonia del giorno / se può destarla con soavi cure / nella mente dei suoi?..." ed adattando il verso al  commemorato benefattore di cui si tratta, mi vien fatto di pensare che le citate poetiche "... soavi cure..." possano ritenersi e riflettere le molteplici beneficenze che il Gravina prodigò da vivo a sostegno dei diseredati e che oggi vengono degnamente perpetuate, nel nome dell'illustre Estinto, da coloro che sono preposti a continuarne i dettami.

E sono, appunto le opere, i benevoli intendimenti ed i conseguenti comportamenti svolti a coerenza della propria estrema bontà, nei quali il Gravina si distinse, ma, soprattutto, la pietas, intesa nel senso più alto del termine, pietas che uniformò costantemente tutto l'arco della sua fattiva esistenza e condizionò i suoi più schietti impulsi, che oggi, che gli è "muta l'armonia del giorno", lo fanno virtualmente rivivere nella "mente dei suoi", nel sentimento dei benpensanti, dei grati, degli estimatori e di quanti, glorificando i suoi gesti, a lui inneggiano esaltandone il coraggio, la estrema prodigalità e l'indole benefica.

Quindi, grazie all'odierno costante impegno profuso dagli Amici del Principe, Francesco Paolo Gravina qual novello mitico "Lazzaro" oggi risorge fra noi col suo fasto ideologico, col suo profondo senso del dovere e con la sua adamantina indiscussa virtù.

Gli esempi, i grandiosi ingegni, i fari, le mirifiche spirituali lanterne che illuminano la sempiterna corrente indifferenza in cui gravitano le mediocri essenze, sono rari; ma quando appaiono, stelle comete nell'incerto cosmico buio dell'esistenza, vivificano l'epoca in cui si manifestano.

Così fu il nostro Francesco Paolo: in una Sicilia ottocentesca gravida di problemi sociali, spesso irrisolti o irrisolvibili, Egli si manifestò come una luminosissima sorgente di luce che irradiò col suo carisma la società d'allora lenendo la circostante miseria morale e materiale per quanto gli fu possibile fare.

Ora et labora: serafico cherigma evolutivo che sconvolge l'usuale materialità delle comuni azioni innalzandole ad una visione più aperta dell'essere e mondandole dell'atavico marciume da cui sono intrise.

Questa, la morale dell'uomo libero da pregiudizi e votato al bene nell'eletta via che conduce alla redenzione suprema.

 

Ciò a proposito della cerimonia celebrativa con la quale lo scorso 15 Aprile in quel di Collesano (PA), centro madonita fra i più caratteristici ed ospitali, è stata intestata la piazzetta Mora a Francesco Paolo Gravina, Principe di Palagonìa e di Lercara Friddi nel 162° anniversario della sua morte.

E, specificatamente rifacendomi al, secondo me, significato intrinseco della frase latina sopra riportata, non posso fare a meno di osservare, riflettendoci su, che, attribuendo il sostantivo "capo",  alla carismatica figura del Palagonìa, le "membra" proposte, in questo caso, non possono che essere rappresentate, a buon diritto, dagli adepti del santificando preclaro patrizio che oggi ne rinnovano il glorioso enfatico impegno: in primis, quindi, dal poliedrico ed infaticabile B.ne Francesco Paolo Sausa di S. Nicola (che, anche lui, quasi una nemesi, ne porta lo stesso nome), promotore di ogni ripetuta manifestazione palagoniana nonché Presidente degli Amici del ricordato aristocratico, nel quale la beneficenza rappresentò il motore trainante di tutta la sua prestigiosa ed inimitabile vita.

L'enfatico fedele Barone sopraddetto, che al termine delle prolusioni degli oratori intervenuti ha chiuso con un suo sentito intervento declamando sul motivo dell'incontro e sulla personalità dell'Uomo menzionato, in questa commemorativa cerimonia è stato coadiuvato dalle benemerite operose Suore di Carità del Principe, odierna elegiaca testimonianza della lungimiranza del defunto benefattore (Congregazione oggi oculatamente retta dalla Rev.da Madre Generale Suor Salvatrice Guida) nonché dalla fattiva disponibilità e competenza dell'ex Assessore al Comune di Collesano, Giuseppe Guttilla e dal Sindaco Angelo Di Gesaro, che, nel sito prescelto, ha scoperto il toponimo, opera dell'artista Giuseppe Manganello, illustrando esaustivamente, poi, la statura e l'opera del personaggio celebrato.

Da allogare, inoltre, alle ripetute "membra": il Vice Postulatore del processo di beatificazione del de cuius, Don Giuseppe Di Giovanni, l'emerita Madre Generale delle sopraddette Suore, Suor Ausilia Bulone, il Vice Sindaco della città, Prof. Giuseppe Re ed i successivi relatori  attorniati da  tutti gli altri Amici del Principe di Palagonìa, convenuti in Collesano per il fausto accadimento.

Fra questi ultimi, oltre ai vari preclari rappresentanti delle istituzioni dei paesi viciniori presenti al convegno, hanno inteso onorare la memoria del Principe anche la nota poetessa Liliana Mamo, artista insignita di vari titoli accademici nonché pluripremiata in svariati concorsi letterari nazionali e non, accompagnata dal marito, Giammaria Ranzino, conosciuto ed apprezzato imprenditore conterraneo e dalla Prof.ssa Melina Greco, Presidentessa della cefalutana sezione dell'Organismo SiciliAntica, nonché eclettica organizzatrice di culturali incontri e sapida affabulatrice.

A far corona all'avvenimento, inoltre, tra i pochi a me noti e stimati: l'Assessore D.ssa Antoniella Marinaro in rappresentanza del Sindaco di Cefalù, Rosario Lapunzina, il Prof. Vincenzo Rosso, emerito insegnante di lingua tedesca nonché salace mio compagno di merende (per usare un termine abusato), il poliedrico Preside Pino Simplicio, sagace amministratore di scuole pubbliche e privante nonché validissimo conduttore ai microfoni di manifestazioni culturali e sportive, la Sig.a Rosaria Maggio, culturalmente e socialmente impegnata in quel di Campofelice Roccella, lo scrittore palermitano Carmelo (credo di non sbagliare il nome, nel qual deprecabile caso mi si abbia per iscusato) Catalano e tanti altri le cui generalità, purtroppo, mi sfuggono.

Sempre a cura del prefato B.ne Francesco Paolo Sausa di S. Nicola e delle dette Suore di Carità, svariate piazze, slarghi e vie sono stati dedicati nel corso degli anni, in vari centri della nostra Sicilia, al richiamato Principe di Palagonìa, al quale l'esimio Prof. Umberto Castagna, scrittore della più bell'acqua ed estimatore del defunto patrizio, ha dedicato un esaustivo libro dal titolo "L'ultimo Principe" (documentandomi sul quale testo a suo tempo io ebbi a girare il film "Intelletto d'Amore"),

in cui, analiticamente e con dovizia di particolari, frutto di certosina ed appassionata ricerca storica, l'autore ripercorre la vita, le opere ed il tempo dell'illustre personaggio, riesumandone  la vicenda sociale, familiare ed intima.

Cefalù, Aprile 2016.

                                                                                           Giuseppe Maggiore