1 Marzo 2016, 19:57 - Angelo Sciortino [suoi interventi e commenti] |
Forse in pochi se ne sono accorti, ma è evidente che a Cefalù c'è in corso una svolta epocale, che ne sta cambiando la cultura e persino la storia. Mai in passato avevamo assistito a una così grande crisi dei valori, che è più grave della crisi della sua economia, rappresentata dalla chiusura di tante attività commerciali e dal calo delle presenze turistiche.
A essere equi, dobbiamo riconoscere che nell'ultimo ventennio sono scomparse moltissime attività artigianali, ma quelle commerciali avevano resistito. Oggi neanche queste ce la fanno più a restare aperte. Per accorgersene, basta una passeggiata lungo il corso Ruggero, per non dire delle strade più lontane dal Centro storico.
Lasciamo stare, però, questi aspetti, che da almeno quattro anni sono trattati ampiamente in questo blog e nei giornali telematici locali. Dedichiamoci, invece, alla parte immateriale di questa crisi; alla parte culturale.
Si tratta di un problema soltanto apparentemente insolubile o, se preferite, irrisolvibile. Se così fosse, non varrebbe neppure la pena di parlarne, perché nessuno sforzo mentale potrebbe dare i mezzi per trovare la soluzione, che non c'è, essendo il problema irrisolvibile. Per nostra fortuna non è così. Si tratta di una ricerca difficile certamente, ma non di risultato impossibile.
Il punto cruciale è quello di prendere atto che nessuna mente unica, nessun singolo individuo e, soprattutto, chi crede di essere l'unico detentore della verità, potrà risolverlo. Per riuscirci, infatti, occorre la collaborazione leale e sincera di più uomini, che nella disparità di opinioni e d'idee riusciranno a trovare la soluzione richiesta. Soltanto dal confronto delle opinioni può aversi un avvicinamento alla soluzione e alla verità.
Se guardiamo alla nostra storia vicina, ci accorgiamo subito che cosa è accaduto. In un primo momento Cefalù ha visto aprirsi innanzi un futuro radioso con il turismo, che ne apprezzava l'arte, le bellezze paesaggistiche e la bonomia dei suoi cittadini. Costoro, però, ebbero la mente offuscata da quanti intravidero in quell'occasione la possibilità di arricchirsi anche a scapito della conservazione proprio di ciò che aveva determinato l'occasione di un futuro radioso. Si saccheggiò il territorio da parte di imprenditori più famelici che, coscienti della loro funzione sociale, con l'aiuto di politici locali e nazionali convinsero la popolazione di essere lo strumento per la loro stessa sopravvivenza.
Con il tempo costoro, resisi conto della loro forza elettorale, grazie all'affermarsi del clientelismo, sostituirono gli stessi politici nell'amministrazione. Fecero il bello e il cattivo tempo e nessuno ebbe la forza di opporvisi. Chi tentò di aprire gli occhi alla popolazione, non fu creduto, perché i famelici imprenditori, divenuti anche controllori di se stessi, lo derisero e lo isolarono. Era finita la cultura ed era cominciato il dominio della pancia contro quello della mente. Ormai si decideva con la pancia, tant'è che venne fuori l'abominevole adagio “chi ti dà pane, chiamalo padre”. E se chi dà pane dev'essere considerato un “padre”, non importa se gli altri figli resteranno digiuni e neppure se a restare digiuni saranno i figli di coloro che oggi hanno il pane.
Questa non era la cultura di Cefalù, quando il Mandralisca, i Botta, Giardina indicavano una strada per il futuro; quando negli uomini si guardava alla loro laboriosità, alle loro capacità e al loro buon senso. Questa era la cultura dello sfruttamento soffice dei cittadini, dei quali si alimentava persino il vizio della pigrizia in cambio del loro voto. E se per riuscire in questo sfruttamento soffice occorreva una crescita dell'ignoranza, le coscienze di chi voleva sfruttarli non conoscevano freni morali, neppure di fronte alla fuga dei giovani migliori, che oggi arricchiscono con la loro intelligenza, prima ancora che con il loro lavoro, i Paesi stranieri.
E oggi? È cambiata qualcosa? Continua sicuramente il clientelismo, sebbene con maggiori difficoltà rispetto al passato a causa della crisi economica, ma pur sempre con una politica pronta a sfruttarne le occasioni per esercitarlo. Vogliono ricostruire il ClubMed o creare il raddoppio ferroviario? La sola preoccupazione della politica sembra soltanto quella di dare un momentaneo soddisfacimento alle pance e non un avanzamento sociale e culturale del Paese. Questo e i suoi cittadini possono restare vittime indifese di un nuovo sfruttamento, che devono accettare anche a costo “di cambiare abitudini” e di rischiare persino la incrinatura dei propri muri domestici.
Sembra proprio che non sia cambiato nulla, ma per fortuna non è così: lentamente va cambiando la reazione dei cittadini, che criticano e aprono gli occhi sui pericoli a quelli “distratti”. Questi cittadini giustamente non sono ben visti dal potere politico, che si trova di fronte non più pance, ma menti, per le quali non ha la capacità di avere i giusti alimenti, detti “argomentazioni logiche”, per cui combatte con l'arma o della sopraffazione o con quella delle accuse personali e invereconde. Con queste armi, però, non potrà vincere, per cui l'aspetta una sonora sconfitta, mentre i cittadini attendono finalmente la liberazione dall'ignoranza.
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