Il sindaco-re e i suoi sudditi

Ritratto di Angelo Sciortino

11 Febbraio 2016, 22:04 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Il sindaco-re riceve gli ambasciatori russi e francesi

 

Un sindaco, che si considerava re assoluto nella Francia del secolo XVII, amava ripetere questo motto: Mars ad opus Veneris, Mars ad arma Venus, che tradotto così diviene: Marte per opera di Venere, Venere grazie alle armi di Marte. Come dire che è insieme il dio dell'amore e quello della guerra.

Questo motto lo ripeteva da piccolo e nel momento in cui divenne sindaco-re lo cambiò con il seguente: una sola fede, una sola legge, un solo sindaco-re.

In nome di questi due motti costrinse la Francia a quarant'anni di guerra, che la lasciarono stremata, impoverita e pronta alla rivoluzione, che seguì quasi un secolo dopo.

Perché, si chiederà il lettore, il riferimento a questo sindaco-re? Sicuramente per dare dignità storica a quel che accade oggi a Cefalù; poi, per far capire ai cittadini con un esempio storico che cosa li aspetta per il futuro; infine, per divertirmi un poco.

Allora, ricominciamo. Ricominciamo dal sindaco-re, che si credeva il dio della guerra Marte, in grado di conquistare con la guerra la dea dell'amore Venere. Cresciuto e dopo aver conquistato il potere, cercò di convincere tutti i suoi sudditi che a essi era concessa una sola fede, quella in lui; una sola legge, la sua o quella venuta fuori dalla sua interpretazione; ovviamente che egli era l'unico e vero sindaco-re.

Egli aveva una straordinaria competenza della pace e della guerra ed esercitava tale competenza, profondendovi un grande impegno. Appariva quindi ai suoi sudditi come il sole, che illuminava tutto, per cui, riferendosi a lui, lo chiamavano il sindaco-re Sole. Poco prima che egli assumesse i pieni poteri, un filosofo e matematico tedesco inventò il sistema di numerazione binaria, che comprende soltanto lo 0 e l'1. Tale sistema permise nel tempo i moderni computer, ma il sindaco-re vi intravide un chiaro messaggio politico, che interpretò come una prova che egli fosse l'uno e gli altri soltanto lo zero.

A nulla valsero le critiche e i suggerimenti di un certo Spinoza, le commedie di un tale Molière, il saggio sull'Intelletto umano dello straniero Locke e altre simili “sciocchezze”, come le definiva nei momenti d'ira e di polemica lo stesso sindaco-re. Non servivano a lui e quindi non dovevano servire ai sudditi, che egli immancabilmente riduceva al silenzio o all'isolamento, “di querele empiendo e di sospiri i fòri ed i teatri” come diceva il Poeta.

Venne un giorno il Carnevale e un bravissimo caricaturista disegnò significative maschere dello stesso sindaco-re, dei suoi nobili sostenitori e dei suoi plebei critici. Apriti cielo! La sfilata di queste maschere lo irritò oltre ogni dire. Le sopportò, ma impedì che i pittori le rappresentassero insieme ad altri giovani sudditi.

Se alcuni sudditi si sobbarcavano la fatica di ripulire le strade, egli taceva per non distrarli e non si spiegava come qualcuno potesse rimproverarglielo. Certamente non glielo rimproveravano i suoi nobili sostenitori, che egli teneva rinchiusi nella sua reggia. Costoro, anzi, si prodigavano a battergli le mani fino a spellarsele.

Il sindaco-re godeva di quest'approvazione e cercava di convincere che “nessuno era mai stato un sindaco-re bravo come lui” e aggiungeva: “La tirannia di un principe in una oligarchia non è pericolosa per il bene pubblico quanto l'apatia di un cittadino in una democrazia.”

E qui aveva ragione!