"Bereshit"

Ritratto di Giuseppe Maggiore

31 Gennaio 2016, 09:48 - Giuseppe Maggiore   [suoi interventi e commenti]

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"BERESHIT"

(in ebraico: "In principio")

 

Estese panoramiche di desertiche ondulate orate sabbie, poveri interni di casupole dove decrepite vecchie segnate da una fatica atavica, primordiale, attendono a domestici umili lavori, degradati esterni urbani nei quali qualche bambino, accovacciato, giuoca con la terra, gruppi di palmizi che delimitano un pozzo scavato nella rena intorno al quale alcune donne nel loro caratteristico abbigliamento orientale attendono il turno per riempire una brocca d'acqua ed oasi verdeggianti, piccolo grumo in uno spazio assolato e giallo, quasi un neo su una morbida pelle bianca di donna ridondante; e poi baiadére discinte che danzano vorticosi flamenchi, fandanghi, balli del ventre, tarantelle in fumosi locali, accompagnandosi con le nacchere il cui suono scandiscono con sapienti pressioni del palmo delle mani sull'attrezzo, mani che, a lor volta, l'un l'altra od assieme, librandosi nell'aria, si producono in sinuosi lievi movimenti, languidi, irretenti, coinvolgenti, virtuosismi mimici che trasportano l'osservatore in inaudite paradisiache dimensioni; ed ancora lunghe teorie di cammelli che si snodano su colline sabbiose, ondulate, che si protraggono all'infinito, mentre la nenia profferta dalla limpida voce dalla cantaora, accompagnata dal suono percussivo di un ritmico tamburo ("zilzalim", "maaponim") e dal vivido vibrare delle corde di particolari strumenti ("nevel", "khinnor") o di quelli a fiato ("shofar": tromba costituita da un corno di montone che produce tre soli suoni ancora oggi usata nelle sinagoghe a ricordo dell'ariete sacrificato da Abramo al posto del figlio Isacco -, "shofarim" "magrefah"), si diffonde nell'aria a contrappunto delle sopradescritte immagini evocate.

In buona sostanza, trasportato dal corroborante flusso delle note, l'altra sera, al teatro Cicero, virtualmente mi sono immerso in un rutilante documentario visivo dando corpo ad immagini di interessante effetto.

L'Oriente, in tutto il suo mirifico splendore mutuato in gradevole sogno, venne a me, a flutti, ad ondate, a maree, connotato dallo struggente susseguirsi, armonico, delle note scaturite dalle lire, dalle arpe, dai saltéri, dai flauti, dagli zufoli e dalla languida melodia che l'esperta voce della solista ammanniva.

Musica Klezmer (key e zemer: strumenti e canto), espressione di gioia e di fede, connotatrice di feste di matrimoni o di funerali o di episodi della vita quotidiana, che si avvale della gestualità, che denota le radici ebraiche della religione cristiana e che adombra, come ben assume  Stefano Gavagnin, la tragedia del popolo ebraico; popolo che "...sin dalla diaspora non ha avuto una nazione vera e propria, ma soltanto una moltitudine di comunità disperse in almeno quattro continenti, a volte molto distanti fra loro e spesso immerse in un ambiente ostile...".

Dal che, annota ancora il Gavagnin, emergono due considerazioni basilari: la prima che gli ebrei "...hanno assorbito ampiamente le tradizioni musicali dei paesi che li hanno ospitati, come è accaduto in Spagna ove nel tardo medioevo hanno elaborato il genere del romance ebreo-ispanico oppure in Germania con le melodie popolari del luogo...";  e la seconda che "...si riscontra una tradizione più autonoma laddove gli ebrei hanno conosciuto le maggiori privazioni materiali e di diritti umani, dove sono stati costretti all'isolamento nei ghetti.....per la qualcosa qualche studioso ha affermato che la maggior parte della musica folk ebraica è una musica del ghetto ed è proprio fra le mura dei ghetti che essa ha acquisito quella grande forza emotiva che ne costituisce il fascino più grande..."

In definitiva, come dire che il bisogno aguzza la sensibilità e l'intelligenza.

Il folklore di Israele è il frutto della commistione delle diverse culture in cui la comunità ebraica è venuta a trovarsi durante il lungo periodo  di convivenza.

Nello stesso modo l'impatto del mondo orientale con la Sicilia fu uno degli incontri più felici del popolo ebraico in continua peregrinazione.

Nell'economia del dare e dell'avere, infatti, il contatto fra queste due culture fu di importanza rilevante per tutta la nostra isola, nella quale gli ebrei vissero per oltre quindici secoli in pace ed in prosperità, condizionando il nostro pensiero, il nostro modo di vivere, i nostri costumi ed il  nostro stesso sapere.

Vestigia di tale  permanenza, come si può riscontrare, permangono dovunque.

A tale fausto connubio (pur suddividendosi, comunque, gli ebrei italiani in ben quattro categorie  (quelli di rito italiano, i Sefarditi, gli Aschenaziti e quegli altri di Asti, Fossano e Moncalvo - Appam-) non sono estranei i motivi che hanno influenzato la musica siculo-araba; motivi che "...pur cancellando tutti i limiti imposti dalle civiltà nazionali e nazionaliste, fanno emergere chiaramente che i suoni della nostra terra portano in sé radici dove sono riscontrabili, da gran tempo, immagini legate alle ragioni del vivere, del morire e del rinascere...".

Preminentemente i canti sefarditi hanno scandito per secoli la quotidianità del mondo ebraico formato da gente umile e laboriosa; mondo per diversi aspetti senza dubbio "fratello" di quello siciliano le cui struggenti melodie ricordano la diaspora conterranea che mutò radicalmente e tragicamente la storia della nostra isola.

Mai bisogna disattendere il concetto che l'arte, nei suoi multiformi aspetti, "...è la linfa che colma ogni diversità e appiana ogni ideologìa....". Linfa catalizzatrice che rende l'umanità, oppressa dai propri bisogni ed esaltata dalle proprie gioie, uguale nella sua più intima essenza; e che attraverso l'arte si giunge più facilmente al cuore degli uomini. Perché "...l'arte - come assume P. Stein - è l'ultima forma mistica che abbiamo perché trasforma l'immaginazione in realtà...".

Così, tornando al dunque, nel breve spazio di due ore, la musica, una particolarissima musica frutto di una cultura pur diametralmente opposta alla nostra ma in simbiosi con la stessa, ha colpito la mia fantasìa permettendomi di corredare con evanescenti visioni bibliche (o pseudo tali) la realtà del mio stare seduto nell'ultima fila delle poltrone, accanto al Dr. Toti Coco, dinanzi al palco del teatro Cicero di Cefalù, come detto, alcune sere fa, il 27 Gennaio scorso per la precisione, invitato alla performance musicale offerta da uno stuolo di virtuosi del pentagramma ebraico.

L'ensemble, costituita da Alejarda Bertolino Garcia (voce, cajon, harmonium, cantaora-flamenjazz) che ha collaborato con i più noti jazzisti nell'ambito siciliano e che in un'intervista fattale da Gaetano Lombardo nel lontano 2003 avrebbe asserito che: "...quello che abbiamo dentro di noi è "el duende", cioé quello che scaturisce dalle più profonde viscere del nostro io..."), da Salvo Compagno (percussionista, insegnante al corso di cajon, flamenco e ritmi afrocubani), da Silvio Natoli (chitarra, contrabasso, oud, viella medievale, bouzouki), da Antonio Putzu (duduk, fiati, clarinetto) e dall'autore-regista Salvo Tessitore (ideazione, testi e coordinamento), si è prodotta nello spettacolo musicale "TAHEV-SHIR", canti dalla Mesquita (musica ebraica della tradizione sefardita) per il giorno della memoria.

27 Gennaio 2016!

Giorno della memoria, appunto, giorno della accorata rimembranza dell'olocausto.

Per non dimenticare!

Ripetitivo esercizio mnemonico, connotato da opportune manifestazioni pluralistiche, periodicamente ricorrente a far sì che in futuro si possa allontanare o se non del tutto annullare, il pericolo di una infausta ricaduta nell'aberrazione che negli anni '40 dello scorso secolo ha visto compiersi una immane tragedia, una strage, un genocidio.

L'eccidio degli Ebrei ad opera di Hitler.

Lo spettacolo è stato promosso dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Cefalù, a cura di Vincenzo Garbo, fattivamente collaborato dal competente apporto di Salva Mancinelli, in occasione della drammatica ricorrenza dell'olocàusto.

In tale dimensione lo stesso Comune ha voluto intitolare delle aree interne, pertinenti ad alcuni locali Istituti Scolastici, a personaggi vittime del razzismo e della shoah; personaggi-immagine che hanno contrastato la follia nazista con estremo sprezzo del pericolo ed a prezzo della propria vita.

Simbolicamente sono state scelte tre scuole comunali di tre diversi gradi: una Scuola dell'Infanzia, una Primaria ed una Secondaria di Primo Grado; a voler significare, come ha ben stigmatizzato la Mancinelli, che l'educazione al rispetto altrui va inculcata a cominciare dalla più tenera età.

In tale ottica, il giardino di pertinenza della scuola dell'infanzia "Emanuele Loi", sita nella contrada Kalura di questo Comune, è stato intitolato a Giorgio Perlasca; quell'altro antistante l'Istituto Scolastico "Nicola Botta" (lato Via Giglio) è stato dedicato ai "Martiri Cefaludesi del razzismo" ed infine l'atrio interno della Scuola Secondaria di Primo Grado "Rosario Porpora" è stato attribuito alla giovanissima Anna Frank.

Ancora una volta Cefalù si propone alla ribalta per la valenza dei suoi valori morali.

L'esibizione, sia per la indiscussa professionalità degli interpreti sopra citati e diretti da una sapiente regìa che per la significativa profondità dei brani scelti ed offerti all'audizione, si è dimostrata di altissimo livello offrendo delle esecuzioni di impeccabile qualità.

Le musiche ed i canti profferti appartengono alla tradizione sefardita.

Sappiamo tutti che le comunità ebraiche italiane sono riconducibili a tre grandi gruppi: "orientali" (Yemen, Iraq, Kurdistan, India, Etiopia), "Sefardite" (Spagna, Marocco, Tunisia, Egitto, Turchia, Grecia, Balcani, Italia), "Ashkenazite" (Polonia, Ungheria, Russia, Ucraina); e che i canti sefarditi hanno sempre evidenziato "...la quotidianità di quel mondo di umile gente e se c'é qualcosa d'importante che è rimasta è il modo di sentire la vita e la morte, la fatica e l'amore, di un popolo..."

Originalissima e di effetto la presentazione dei componenti l'ensemble effettuata dal regista, Salvo Tessitore, non prima né dopo, ma durante il dispiegarsi dei pezzi suonati; e quella dello stesso regista fatta quasi alla fine del concerto ad opera della mirabile Alejandra Bertolino Garcia.

A rappresentare le Istituzioni in sala: il Sindaco della città, Rosario Lapunzina, il Presidente del Consiglio comunale, Antonio Franco, l'Assessore alla Cultura, Vincenzo Garbo e la ripetuta Salva Mancinelli nella qualità di Esperta Green Economy del Primo Cittadino.

Fra il pubblico, interessato all'incontro, volti noti e di spicco, tra i quali le Signore: Antoniella Marinaro, Angela Macaluso e Pina Avanzato.

Purtroppo, vuoi che l'avviso della manifestazione non sia stato confacentemente portato a conoscenza di tutti, vuoi per indisposizione personale degli assenti, alcuni posti in sala sono rimasti vuoti.

Cefalù, 31 Gennaio 2016

                                                                                    Giuseppe Maggiore