Una politica competente per salvare la Sicilia

Ritratto di Angelo Sciortino

27 Gennaio 2016, 17:16 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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È da un mese che, spinto da quel che accade in questa infelice Sicilia e a Cefalù, rifletto sulle ragioni che hanno trasformato questa sorta di paradiso terrestre in una terra desolata, dalla quale si fugge per disperazione e dove nessuno aspira di venirvi a vivere. Eppure è una terra, che ha avuto tanta storia e ha dato il suo contributo alla crescita della civiltà. Si pensi, per esempio, ad Archimede o allo sconfitto Ducezio; a Verga e Pirandello; a Quasimodo e a Bellini. Ci si ricordi dei resti di antiche civiltà e sentiremo la testa scoppiarci per la disperazione di ritrovarci ridotti a Terzo Mondo.

Non voglio dire che la Sicilia è vittima della disattenzione di chi governa l'Italia, della quale essa è una regione, perché i tanti governi succedutisi hanno sempre proposto tentativi di soluzioni. Anche l'attuale governo Renzi. Purtroppo le soluzioni proposte si sono dimostrate sbagliate, come sbagliate mi sembrano quelle del movimento politico ultimo arrivato, il M5S.

Sulla condizione delle regioni meridionali, il presidente del Consiglio non ha saputo far altro se non ricordare "i contratti di sviluppo e Invitalia per forme di finanziamento di imprese innovative" e chiedere che vengano sbloccati "i progetti incagliati, da Ilva a Bagnoli, dalla Sicilia a Reggio Calabria". E il ministro dello Sviluppo economico, per non essere da meno, non ha saputo far altro se non evocare il piano Marshall: "Un piano da almeno 70, 80 miliardi di euro sulle nuove infrastrutture. Una cifra poderosa, il fulcro di un modello di rilancio". E' lecito presumere che la direzione del principale partito di governo si eserciterà a breve nella stessa direzione.

Con tutto il rispetto per le persone citate, bisogna essere fermi agli anni 80 per pensare che il problema del Mezzogiorno sia un problema di risorse (e anche allora i dubbi non mancavano). Bisogna aver passato gli ultimi vent'anni su Marte, per pensare che la soluzione stia nei contratti di sviluppo o nel supporto pubblico ad attività economiche, spesso fuori mercato. Più precisamente, bisogna essere terribilmente a corto di idee per pensare che si possa invertire un trend, facendo esattamente le stesse cose che lo hanno determinato. E' un peccato: va detto perché il silenzio del governo sul Mezzogiorno sembrava nascondere una idea e un approccio radicalmente nuovi a quello che era e rimane una delle questioni chiave del paese. Appariva rinfrescante la scelta di tacere piuttosto che di rifugiarsi nelle frasi fatte e nell'idea del Mezzogiorno eterna "risorsa" del paese. Non era così: si taceva semplicemente perché non si sapeva che dire. E infatti, quando è diventato impossibile tacere, è diventato inevitabile ricorrere alle banalità.

L'istruzione, la giustizia civile, la sanità, la sicurezza e l'ordine pubblico, la qualità dei servizi ambientali, i trasporti pubblici locali, il servizio idrico, la gestione dei rifiuti, i servizi di cura: in tutti i campi in cui servirebbe un operatore pubblico efficiente (se non altro come regolatore), nel Mezzogiorno manca, pur non mancando le risorse. Rapida traduzione per chi vuole correre a fare un bagno: in un'economia e in una società già strutturalmente deboli, quelli che si moltiplicano senza sosta sono soprattutto (o solo) i canali di intermediazione politica e burocratica e con essi il volume di risorse quotidianamente sottratto alle scelte dei singoli e a una allocazione efficiente. C'è bisogno di aggiungere molto altro? Ci vuole così tanto per capire che le risorse pubbliche nel Mezzogiorno non sono la soluzione, ma sono spesso e volentieri parte integrante del problema? E' così difficile intuire che dopo le parole del presidente del Consiglio e del ministro dello Sviluppo economico i protagonisti in negativo di quest'ultimo ventennio nel Mezzogiorno hanno brindato ai prossimi vent'anni? E' mai possibile che una classe dirigente, apparentemente così nuova e fresca, sia in realtà già decrepita? Non diversa mi sembra la posizione del M5S, il cui senatore Corrao, in un recente convegno a Castelbuono ha riproposto ancora l'utilizzo dei finanziamenti europei.

Per anni si è pensato che la chiave della crescita stesse nell’avere tanti quattrini per finanziare tanti progetti. È chiaro che qualsiasi progetto dev’essere, a un certo punto, «finanziato». Ma se la globalizzazione c’insegna qualcosa, è che i capitali arrivano quando un Paese si attrezza per attirarli. Nessuno l’ha detto meglio di Adam Smith: per crescere serve poco altro “se non pace, tasse accettabili e una tollerabile amministrazione della giustizia”.

Molti Paesi, negli ultimi vent’anni, hanno provato a darsi “tasse accettabili e una tollerabile amministrazione della giustizia”. Questo però non succede laddove resta forte la cultura della dipendenza dagli “aiuti”. È il caso della Siciliaa..

Questo costante flusso di denaro non ha fatto bene, in tutta evidenza, ai suoi beneficiari. Ha contribuito a distorcere sistematicamente l’allocazione delle risorse.

Stato ed enti pubblici hanno continuato ad offrire salari coerenti con le condizioni del mercato del lavoro del centro-Nord, ben più alti cioè di quelli che offrirebbero le imprese private. I talenti migliori cercano un impiego pubblico e il settore privato, di conseguenza, latita.

Al Sud c’è più offerta che domanda di lavoro. Perché si riequilibrino, assumere dovrebbe diventare più conveniente: che vuol dire che il prezzo del lavoro dovrebbe essere più basso. La politica salariale del settore pubblico, però, frena questo fenomeno e così fanno, comprensibilmente, i sindacati. In queste condizioni, l’emigrazione è una soluzione ragionevole dal punto di vista individuale (tutti sperano di migliorare la propria condizione) e per di più auspicabile dal punto di vista collettivo, perché contribuisce a ridurre lo squilibrio fra offerta e domanda di lavoro.

I governi hanno di volta in volta sopperito con progetti di “politica industriale” volti a trapiantare artificiosamente aziende in Sicilia. I privati, esattamente come avvenuto spesso con le imprese dei Paesi ex colonizzatori nelle ex colonie, hanno resistito finché c’erano sussidi da mungere.

Dal riproporre queste vecchie ricette non può venire nulla di buono. Il Mezzogiorno non ha bisogno di “aiuti”: ha bisogno di essere messo in condizione di aiutarsi. A tutta l’Italia serve più libertà economica, ma al Sud ancor più che al Nord.

Una maggiore libertà farebbe bene soprattutto a Cefalù, dove ancora l'Amministrazione blocca gli investimenti nel comparto turistico e in quello commerciale.

Queste le mie riflessioni, che mi rendono scettico su una rinascita delle Sicilia e di Cefalù, anche se quest'ultima ne avrebbe le occasioni, che altri comuni siciliani con propensione al turismo hanno saputo sfruttare, tant'è che in essi vi è stato un incremento di presenze turistiche, che invece non c'è stato a Cefalù. Perché?