“Rieccomi!”

Ritratto di Giuseppe Maggiore

25 Ottobre 2015, 19:59 - Giuseppe Maggiore   [suoi interventi e commenti]

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“RIECCOMI!”

(Est quaedam  flere  voluptas - piangere è una specie di piacere - Ovidio)

 

Rieccomi!

Rinvigorito dal riposo o infiacchito dall’ozio? Rigenerato dalla vacanza o indebolito dalla solitudine? Dimenticato dagli amici, dai conoscenti, dai benpensanti, dagli estimatori, dai detrattori o fortificato dall’assenza e maggiormente apprezzato nel ritorno?

Mah! E chi mai può saperlo? Chi mai lo saprà?

In una realtà sociale in cui i pregi si sommano ed i difetti si sottraggono tutte le formulate ipotesi possono trovare una loro  concretezza.

Tutto finisce e ricomincia. L’inesorabilità dell’esistere rappresenta l’atavica brutale condanna alla quale sottostare. Nel baluginare dell’alternarsi dei momenti, delle ansie, delle gioie, delle paure, delle speranze, dei progetti, dei timori, dei desideri, delle delusioni e dei raggiungimenti, intimi afflati  basilari, la vita passa e se ne va, irrimediabilmente vissuta e perduta, lasciando solo qualche traccia nella memoria di chi segue.

To be or not to be?”.

Certo, il ritorno è accettabile, come piacevole è stata la partenza: stati d’animo diversi in diverse stagioni climatiche ed esistenziali. La mia periodica vacatio, comunque, non è stata pigra o asettica, scarna o poliedrica, sterile o fattiva.

Sicuramente ascetica, evolutiva.

E i contatti con la paesanità?

Diradati, si, ma ci sono stati; a parte, poi, le molteplici discese, in incognito, per la quotidiana spesa, durante le quali ho rivisto degli amici e in due fortunate differenti occasioni ho avuto anche il piacere di incontrare individualmente le solerti Antoniella Marinaro e Santa Franco (ne ometto volutamente i titoli perché entrambe sono più che conosciute e stimate), rinomate operatrici del buon gusto, del sapere e del fare, oratrici della più bell’acqua ed il cui modo di essere, di porsi e del prodursi, con l’indiscutibile e inimitabile classe che le contraddistingue, ha sempre favorito un ambìto forbito gradevole dialogo.

A questo punto diciamocela tutta: le sopranominate, assieme a Nella Viglianti, Rosalba Gallà, Angela Macaluso, Caterina Di Francesca ed a qualche altra, a mio parere rappresentano la punta dell’iceberg nel femminile panorama culturale della nostra città.

Né mi son venute meno le saltuarie barracatiane telefonate che m’hanno reso edotto sulle più recenti produzioni poetiche dell’artista, fresche di giornata, addirittura implumi o per informarmi sugli ultimi traguardi conseguiti dal Medesimo in campo nazionale o per annunziarmi la redazione di un suo secondo meditato pamphlet; e neanche mi sono mancate le mirabolanti, gradite, fantasiose dissertazioni (seppure su tematiche eterogenee, volutamente trattate con ironica dissennata loquela e risibile intento) intrattenute con l’Amico Enzo Rosso (si noti l’“A” maiuscola del sostantivo “Amico” che tende a ribadire ancora una volta, ad nauseam, l’alto concetto della reciproca considerazione in cui ci teniamo) tendenti ad instaurare e suffragare una immediata spontanea corroborante ilarità.

Il riso fa buon sangue, si dice. Ed è vero. L’adagio non si smentisce mai: è sempre attuale!

Non so, però, ora che è diventato nonno, se Enzo manterrà invariati carattere ed abitudini; esterno questo perché quando lo son divenuto anch’io, ventiquattr’anni fa, m’è sembrato di rimbecillire per le attenzioni che tributavo all’infante e per le preoccupazioni inerenti che mi assillavano. Ciò oggi mi dà contezza di aver perso cinque infanzie, quelle dei miei figli, sia perché allora mi trovavo in servizio e sia perché la mia remota gioventù e le connesse provvide pulsioni irrimediabilmente allora mi impegnavano.

E poi, di grazia, tornando al dunque e non sottacendo niente, c’è stato anche qualcuno che mi ha fatto benevolmente rilevare che col mio tenace permanere nel mio buon ritiro per tutto il periodo estivo lontano dal rutilante pullulare delle molteplici urbane indizioni ho irrimediabilmente perso tutte le estroverse manifestazioni che hanno proficuamente caratterizzato la rinomata estate cefaludese; manifestazioni nelle quali, secondo colui, io avrei anche potuto distinguermi o addirittura primeggiare, data la mia ipotizzata verve. Bontà sua!

A questo qualcuno ho invariabilmente ammannito, così come ho già fatto con altri altrove, una dichiarazione mutuata da un noto personaggio televisivo: e, cioè, che io “coltivo passioni, non perseguo successi!”

Certo, l’amarezza di lasciare i cani che si sono abituati per quasi quattro mesi a vederci, me e la mia famiglia, mattina, mezzogiorno e sera ed a rimpinzarsi senza ritegno continuativamente e che, sicuramente, col nostro rientro in città subiranno un trauma o il dispiacere di partirmi dai luoghi amati, vagheggiati nell’assenza ed in essa sentimentalmente rimembrati (sensazioni od “affetti”, come li chiama Freud, che mi generano una profonda commossa malinconia anche perché l’estate che è tramontata si porta dietro un periodo della nostra vita più o meno appetibile), non mi sono per niente congeniali.

Un acuto saggio cinese assumeva che noi, in tutti i luoghi in cui per un motivo o per un altro permaniamo, lasciamo un pezzo della nostra essenza.

Tali profondi sentimenti, infarciti di intuizioni, ragionamenti, ricordanze e quant’altro, è umano che alimentino una nota di disagio che mi turba, mi prostra, mi rattrista rendendo la mia realtà meno serena.

Alea iacta est.

Sono tornato, insomma! E mi reinserisco nel quorum divulgativo di questo pregevole (atteso Chi vi opera) telematico foglio e nel cittadino tran-tran giornaliero in cui l’usuale analessi rappresenta l’immancabile preminente diapason.

Mia moglie (beata lei!), per esempio, non prova questa estrema accoratezza prodotta dal distacco dalla campagna; ciò perché lei ama il mare ed il ritorno ad esso, dopo il periodo agreste che non esita a definire  “esilio”, le è più che gradito e desiderato.

Fra l’altro quest’anno, poi, è palese, le stagionali feste paesane del contado che allietano e caratterizzano il periodo (tranne le rituali processioni religiose che sono, comunque, rimaste) non ci sono state a causa del problema della pericolosità dei cinghiali (nella fattispecie i suidi) che hanno spadroneggiato in lungo e largo per l’ambiente.

Per debellare questi ultimi pare che manchi ancora qualche formalità burocratica. Nella nostra nazione si garantisce tutto, anche i microbi, per eccesso di legittimità; però, sì operando, forse sfugge che spesso si ledono i sacrosanti diritti alla sicurezza di ogni cittadino.

Mah! Così va il mondo: sul piatto della bilancia, in questo caso, una firma si contrappone  alla vita di un uomo!

Quindi non mi è stata, purtroppo, data l’occasione di riapprezzare la valentìa affabulatoria del cattedratico amico Pino Simplicio nelle prestigiose sue vesti di speaker, indossate, come sempre, in tali particolari occasioni culturali con estrema eleganza e professionalità, né di deliziarmi ingoiando a due palmenti panini imbottiti, vino e sarde, che rappresentano un efficace richiamo gastronomico in siffatti incontri.

Comunque, eccomi qua: a distrarre (distraendomi anch’io) con le mie prose o ad infastidire.

Eppertanto ho il privilegio di ritrovarmi fra voi amici, col cordoglio, tuttavia, perché qualcuno è venuto a mancare.

Al piacere d’incontrarvi!

Cefalù, 25  di Ottobre dell’anno del Signore 2015.

                                                                                     Giuseppe Maggiore