18 Settembre 2015, 07:20 - Saro Di Paola [suoi interventi e commenti] |
No!
Assolutamente no!
Il nuovo porto a Fiume Carbone,
sul quale, si era “orientata” l’Amministrazione del Sindaco Guercio,
per superare le questioni di impatto ambientale sollevate dalla Soprintendenza,
era sì diverso da un “porto normale” perché, come Egli aveva detto, era concepito “con soluzioni tecniche avanzate, costituite da paratie particolari che si alzano col mare agitato e si abbassano col mare calmo” e, perciò, “ad impatto ambientale quasi zero”,
ma non sarebbe stato un porto-MOSE.
Sarebbe stato un porto atollo.
Cioè, un porto nel mare aperto.
Distante 500-600metri dalla linea di costa.
Ed anche più.
Una autentica invenzione, con la quale l’Architetto Vittorio Tarizzo aveva rivoluzionato la tradizionale concezione del porto.
Quella, per la quale, sin dall’antichità e su tutto il pianeta Terra, i porti erano stati progettati e realizzati in quei punti della costa, che, per avere una naturale protezione rispetto alle traversie provenienti da alcuni quadranti, richiedevano opere di difesa artificiali non a 360 gradi.
L’atollo al largo di Fiume Carbone.
Il porto, che, per essere stato spacciato per “galleggiante e ad impatto zero”, non esitai a definire una BALLA ricevendo, da parte del progettista, “l’invito a smentire pubblicamente” la mia definizione per evitargli l'incombenza di perseguirmi penalmente per diffamazione. Invito, al quale risposi ribadendo quella mia definizione, senza che, almeno sino ad oggi, nessuno mi abbia perseguito (https://www.qualecefalu.it/node/2772).
Il porto “galleggiante e ad impatto zero”
che avrebbe consentito l’attracco a Cefalù di yacht milionari e di navi da crociera, che, con “2.000/2.500 crocieristi per 30/40 sbarchi l’anno”, avrebbero invaso Cefalù a ciclo continuo.
Il porto “galleggiante ad impatto zero”, con il quale Cefalù, sarebbe riuscita a salvare, anche, la poseidonia. Quella, la cui sopravvivenza tra gli scogli di fronte all’hotel “Le Calette” era stata pesantemente minacciata dal progetto dell’Architetto Botta.
L’atollo al largo di Fiume Carbone, come gli atolli al largo di Albenga, di Montesilvano, di Peschici, di Città Sant’Angelo.
Solo per citarne alcuni e per restare nel Mare Nostrum.
L’atollo dal disegno straordinariamente simile alla sezione della coppia di ghiandole dell’apparato genitale maschile.
L’atollo universale, come universali sono quelle ghiandole.
L’atollo per i mari di tutte le latitudini del pianeta Terra, che andrebbe benissimo, anche e sopratutto, nel Mare della Tranquillità.
Peccato che, in quel mare, l’atollo non serva.
In quel mare, né grandi yacht, né navi da crociera.
Soltanto qualche navicella spaziale.
Per di più, piuttosto raramente.
Per quanto se ne sappia.
Però.
All’inizio del 2009, la notizia della rivoluzionaria invenzione del porto atollo arrivò da Torino a Cefalù.
Dalle parti di Piazza Duomo.
Per il Sindaco Guercio, fu un autentico colpo di fulmine.
Si innamorò del porto atollo a Fiume Carbone al punto di perdere la bussola e, con la bussola, la rotta per quello di Prissuliana.
Nel corso della campagna elettorale per le amministrative del 2012, ne tirò fuori “il progetto”, come autentico asso dalla manica.
Lo presentò nella sede del suo comitato elettorale, tenendo a precisare che “non si trattava di una iniziativa propagandistico-elettorale, ma di una iniziativa che la sua Amministrazione portava avanti dal 2009”.
“Il progetto” venne illustrato dal progettista e dall’avvocato Veroni, responsabile della società “Porto di Cefalù”, che era stata, o sarebbe stata, appositamente costituita.
Il porto atollo
sarebbe stato realizzato con un finanziamento, di poco inferiore a 100 milioni di euro messo a disposizione da un magnate del Sultanato dell’Oman.
Per Cefalù i milioni dall’Oman sarebbero stati autentica manna dal cielo.
Anche perché, oltre ai 100 milioni per realizzare l’opera, al Comune di Cefalù sarebbero andati milioni e milioni per le “opere di compensazione”.
Fior di quattrini per risolvere, finalmente, i più annosi dei suoi problemi.
Il completamento del porto di Presidiana, il suo arredo, il dragaggio dei suoi fondali e la sistemazione del lungomare.
Ma non solo.
Con le opere di compensazione, Cefalù avrebbe risolto, anche, l’ultimissimo dei problemi che, proprio nel 2009, le era piombato addosso.
L’inagibilità di una parte del martello centrale del porto di Prissuliana, a causa del collasso di due delle sue banchine.
(continua)
Saro Di Paola, 14 settembre 2015
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