Troppo centralismo ed Enti locali come asili infantili

Ritratto di Angelo Sciortino

6 Giugno 2015, 18:09 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

Versione stampabileInvia per email

La città di Roma, la Città Eterna, in mano ai farabutti e ai loro accoliti politici. Tante altre città italiane nella stessa situazione, al Nord come al Sud. L'Italia, nonostante i movimenti autonomisti e indipendentisti di molte regioni e nonostante i campanilismi sempre vivi, oggi supportati dal tifo calcistico, non è disunita, ma più unita che mai. Non l'hanno unita la diplomazia di Cavour, le guerre d'Indipendenza, due guerre mondiali e neppure la Resistenza; l'hanno unita gli Italiani, che hanno scoperto le loro indiscutibili verità.

Al momento della proclamazione del regno unito sotto la dinastia dei Savoia, Massimo D'Azeglio ebbe a dire: l'Italia è fatta, adesso bisogna fare gli Italiani. Per fare gli Italiani ci sono voluti, però, più di centocinquant'anni. Oggi, finalmente, eccoli gli Italiani! Sono all'Expo, a Venezia con il Mose, sono a Roma con Roma Capitale, sono in Sicilia con gli ospedali in chiusura e con i viadotti crollati, sono in Liguria sommersa dai torrenti straripati, sono in Puglia con gli ulivi morenti, sono in Calabria. Sono ovunque in tutto il Paese, indistinguibili come fratelli gemelli omozigoti, non fratelli di sangue però, ma fratelli di malaffare!

Perché, confessiamolo, questo filo conduttore, che accomuna l'Italia, non ci piace. Non ci piace che ogni giorno vengano calpestati i diritti e la giustizia, proprio da coloro che ne dovrebbero essere i difensori: i politici e i burocrati.

Lo fanno certamente per arricchirsi illecitamente, ma la loro non è soltanto una disonestà materiale, ma anche una disonestà intellettuale. Soltanto questo tipo di disonestà permette a costoro di razziare persino il pane quotidiano dei più deboli e di mentire spudoratamente sulle loro intenzioni. Anzi, alla menzogna aggiungono l'inganno, consistente nel dichiararsi gli unici onniscienti e onesti, in grado di fare il bene del popolo. La loro stupida convinzione, però, è che il bene del popolo coincide con il loro bene personale, per cui, ottenutolo, si ritengono sazi e soddisfatti. Non si accorgono, purtroppo, che questa coincidenza tra i due beni esiste soltanto nella loro fantasia di politici senza tensioni ideali e di burocrati incompetenti e dalla vista corta; non si accorgono che dissestare il territorio o mungere lo Stato, come se fosse una vacca, finisce con il distruggere anche il futuro.

Personalmente, i miei studi e le mie letture mi hanno convinto che la politica comunale e il suo esercizio, dibattendo problemi noti ai cittadini, perché essi sono come i problemi di casa propria, è la prima scuola di democrazia. Eppure, questa autonomia comunale oggi non esiste più. Non siamo più padroni in casa nostra e la servitù, che dovrebbe tenerla in ordine, non risponde più a noi, ma a i suoi referenti politici, ai quali chiede sostentamento per sé e per il proprio Comune.

Tutto ciò permette loro di dire che non è colpa loro se per la crisi economica dell'intera Italia, sono vincolati ai patti di stabilità. Se andiamo in dissesto finanziario è colpa del passato; se facciamo varianti al PRG, queste permetteranno che qualcuno investa anche in barba al rispetto della sanità del suolo; se non abbiamo approvato un Piano di Utilizzo del Demanio Marittimo, è colpa dei pochi soldi disponibili. Insomma, se ci dimostriamo incapaci, incompetenti e irresponsabili, è sempre e soltanto colpa di qualcun altro.

Così, però, non si può continuare. Riforme elettorali e riforme del lavoro non riusciranno mai a cambiare la strada verso l'abisso, che l'Italia sta percorrendo rapidamente. E quando dico l'Italia, dico tutti i Comuni d'Italia, compreso quello di Cefalù, che mostra di scivolare sull'olio viscido della continua mistificazione, messa in opera dalla sua politica.

Certo, Cefalù non è l'unico Comune italiano indebitato, ma possiede ricchezze e opportunità superiori a quelle di tanti altri. Non averli saputi sfruttare, non è soltanto una colpa, ma un'imbecillità.