Diocleziano e Renzi: la storia ripete i suoi errori

Ritratto di Angelo Sciortino

3 Giugno 2015, 23:29 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Io non so come e quale storia s'insegna nelle nostre scuole, per non dire delle altre materie, ma tante posizioni dei giorni nostri indicano che comunque dalla magistra vitae s'è imparato così poco, che ormai ogni giorno di più si ripetono molti errori commessi in passato; si ripetono come se di essi non se ne avesse conoscenza alcuna. E quando se ne ha conoscenza, essa non comprende il vero significato delle scelte del passato e le conseguenze negative, che ne sono derivate.

Questa situazione ha determinato una vera e propria palude intellettuale e morale, nella quale sguazzano come ranocchi i politici e i burocrati, i cui proclami, scritti o parlati, somigliano al gracidare incomprensibile delle rane.

È la prima volta che ciò accade nella storia umana? Non direi. Se si guarda anche al lontano passato, ecco venire alla luce un momento storico simile all'attuale. Si tratta del momento storico della grande crisi, che precedette la caduta dell'Impero romano. Il momento storico in cui, dopo lotte civili e crisi economiche, arriva al soglio imperiale Diocleziano.

Egli arrivò in mezzo a una palude intellettuale e morale simile all'attuale. Come Renzi, s'incaricò di riorganizzare la società con grande vigore. Sfortunatamente, il suo zelo superò la sua comprensione delle forze economiche in gioco nell’impero. Non comprese, anch'egli dimentico di quanto era accaduto nella storia greca secoli prima, che con la moneta di uno stato non si può giocare, per far tornare i conti. La moneta ha il valore che i cittadini le riconoscono per i vantaggi che dà loro. Invece, come si fa oggi con l'euro, egli decise di mantenerla sopravvalutata.

La ragione principale per la sopravvalutazione del valore della moneta era, ovviamente, funzionale al mantenimento di una grande armata ed una estesa burocrazia – l’equivalente di un governo moderno. Ogni provincia dell'impero aveva la sua burocrazia, che insieme a quella romana succhiava il sangue dei cittadini.

Diocleziano decise, come accadde con Berlusconi e come oggi accade con Renzi, che la deflazione, ottenuta riducendo i costi civili e militari del governo, era impossibile. Era impossibile allora ed è impossibile oggi. La sola differenza tra allora e oggi consiste nel fatto che l'Italia non è l'Impero, ma la provincia dell'impero europeo, per cui Renzi, come un antico governatore di una provincia romana, può dire che così vuole l'imperatore, nel nostro caso l'imperatrice Merkel. Egli, quindi, ha messo in moto una sequela di imposte, pur di non diminuire le spese dello Stato, che mantiene con alti emolumenti e vitalizi i suoi parassiti. E se il cittadino non può pagare le troppe imposte? Qui Renzi e i politici dimostrano di avere imparato bene la lezione di Diocleziano, che in un suo decreto così si esprime: si considererà colpevole anche chi, possedendo abbastanza beni per il vitto e l’utilizzo, abbia deciso di ritirarli dal mercato, poiché la pena [ovvero la morte] meriterebbe di essere più severa per chi causa la penuria che non per chi se ne approfitta contro le leggi.

Esattamente la stessa cosa che è accaduta e ancora accade con Renzi. E il decreto di Diocleziano, credetemi, è scritto in un latino, che somiglia tanto al pessimo italiano, in cui sono scritte le leggi e le circolari odierne.

Nessuno dice ai politici di oggi che l'epoca di Diocleziano fu seguita prima dalla spaccatura dell'impero e poi, poco più di un secolo dopo, dalla sua caduta. E nessuno dice a questi piccoli ignoranti che un secolo di allora potrebbe contrarsi oggi, grazie alla velocità di comunicazione, ad appena un decennio, dopodiché finirebbe anche l'Italia come finì l'Impero romano.