13 Aprile 2015, 13:17 - Marcello Panzarella [suoi interventi e commenti] |
VIAGGIO IN SICILIA
Oggi ho preso l'autostrada Palermo-Catania e sono andato sulle Madonie, per vedere con i miei occhi quali sono e quali potranno essere le conseguenze sulla vita di tutti i giorni del dissesto del viadotto Himera, abbattuto dalla enorme frana.
Uscita obbligatoria allo svincolo di Scillato. Vietato scendere per la via che sottopassa il viadotto che ha ceduto. Allora su, verso Polizzi Generosa, per la strada statale già chiusa per più frane e riaperta al traffico ieri sera, di corsa, dopo qualche spalata di cumuli di terra e sassi e il rabberciamento di numerosi "scalini". Una mandria di vacche che procede sulla strada mi costringe presto ad accodarmi a passo di bovino, buon ultimo di una lunga colonna di auto.
Penso che domani, lunedì, si riverserà su questo budello tutto il traffico tra Catania e Palermo di una regione di cinque milioni di abitanti. Per tornanti stretti, scansando buche e fossi, mi inerpico su verso Polizzi, assisa come una sfinge sul suo alto balcone, aperto alla vista di tutta la Sicilia interna. Dentro il paese la strada si fa assai più stretta. Lo attraverso tutto e, uscitone, ridiscendo per altri tornanti verso le Petralie, lungo la SS 120.
Mi fermo a Castellana Sicula, dove ho appuntamento al Municipio col Sindaco e con l'Assessore all'Urbanistica e ai Lavori Pubblici, un architetto laureatosi con Pasquale Culotta e con me. Mi mostra i suoi disegni per una soluzione di bypass provvisorio del viadotto franato, che usa il tracciato sterrato della strada del cantiere di costruzione dell'autostrada, chiuso quarantadue anni fa. Mi pare fattibile. Ma fossero solo questi i problemi! Il Sindaco scuote la testa. Le istituzioni, la Regione, lo Stato, l'Anas, dovranno essere tallonati, perché il rischio è che si ripeta qui la costosa tela di Penelope della Salerno-Reggio Calabria. Come costituire una forza che spalleggi i Sindaci del territorio? Come costruire una solidarietà univoca? Come istruire un programma di priorità? Cosa fare se lo Stato dirà di non avere i danari? Tocco con mano la solitudine di ognuno di questi paesi, e l'assenza di un cemento capace di legarne l'azione, e di estenderla al resto della Sicilia, che pure, in varia misura, è gravemente colpito dal disastro. Il Sindaco mi dice: hai fatto bene a rievocare Danilo Dolci sui tuoi post di FB. Chi più di lui ci manca oggi, e cosa ci servirebbe di più, se non la sua capacità di aggregazione? Discutiamo su cosa serva e come fare per costruire una serie di comitati civici tra loro coordinati. E poi, come avere le giuste consulenze? Come comunicare all'opinione pubblica locale e nazionale? Gli interrogativi si intrecciano, nulla è chiaro, le risposte mancano o sono aleatorie.
Ma si è fatta l'ora di recarci a Caltavuturo, a decine di chilometri di distanza, dove è indetta un'assemblea popolare. Qui in piazza, in piedi di fronte ad alcune centinaia di cittadini, troviamo il deputato Giannopolo, che è già stato Sindaco, impegnato ad analizzare meticolosamente il da farsi per cercare di mettere in sicurezza la frana, che si trova nel territorio del Comune.
Naturalmente il suo è un riporto dei pareri dei tecnici e dei geologi che ha già consultato. Prospetta quindi un paio di soluzioni di variante studiate dall'UTC, per la strada, anch'essa franata, che legava il paese al vicino svincolo autostradale di Scillato. Ad alcune di queste cose potrebbe provvedere l'esiguo bilancio del Comune, ma al resto? Il Sindaco interviene subito dopo, e dalla sua ricostruzione emerge la storia articolata di un lungo assordante silenzio delle Istituzioni sovraordinate, sistematicamente inerti di fronte alle segnalazioni più che decennali del Comune riguardo ai dissesti idrogeologici, incipienti e progressivi. Il pubblico dei cittadini ascolta muto. Nessuno interviene. Il silenzio è surreale e inquietante. Sgomento? Paura? Incapacità? Rassegnazione? Osservo: quasi tutti anziani. I giovani sono pochissimi. Sarà dura. Il Sindaco invita a firmare chi voglia far parte di un comitato civico. Molti si alzano e si mettono in fila per firmare, sempre in silenzio. Ma squilla un telefono: è la Prefettura che informa che è stata firmata una ordinanza di chiusura, per dissesto, della SS 120, l'unica via di fuga dal paese e l'unica che gli resta per scendere a Termini Imerese e a Palermo. Ed è allora che la gente comincia a urlare, disperata. Blocchiamo tutto! Blocchiamo tutto! Come dire: muoia Sansone con tutti i Filistei.
Vado via, avvilito in cuore. Via da quella disperazione. Decido di provare a tornare verso la costa proprio per questa "via di fuga", da Caltavuturo a Cerda, che a momenti dovrà essere chiusa al traffico. Credo di essere stato uno degli ultimi a passarci. Percorrendola, ho capito il perché del provvedimento prefettizio che ne dispone la chiusura. È stato un viaggio allucinante, tra lunghe frane da monte, estese fino a metà della carreggiata, e almeno quattro abissi aperti a valle, con la carreggiata ridotta a poco più di due metri. Per non dire delle buche, dei gradini, dei dissesti, dei lunghi pezzi sterrati, o degli avvallamenti improvvisi, con pendenze che paiono vicine ai 45° in discesa e risalita. I dissesti si susseguono senza alcuna sosta. Eppure si tratta di una strada statale, quella in cui negli anni Venti si correva la mitica Targa Florio.
Perché l'Anas l'ha lasciata ridursi in uno stato così incredibilmente pietoso? E perché qualcuno ha premuto solo adesso per ottenerne la chiusura, senza che ai Sindaci nella riunione di ieri ne fosse fatto il minimo cenno? Il perché di questa azione, fatta tra la sera e il mattino, praticamente a tradimento, è intuibile facilmente: finché c'era l'autostrada la strada statale poteva marcire. Ora che l'autostrada non c'è più si avanza il timore che in una strada abbandonata per decenni a se stessa un aumento improvviso del traffico possa provocare incidenti. Giusto, ma come mai non hanno provveduto prima? Risultato: da domani Caltavuturo (un posto bellissimo, che sembra dipinto dal Mantegna) è collegata solo con le Alte Madonie e con la provincia di Enna, al centro dell'isola. Peccato però che i suoi giovani debbano recarsi a studiare ogni giorno a Cefalù e a Termini Imerese, città di costa. Come faranno? Non si sa. Quei giovani però hanno diritto all'istruzione. E quegli anziani e quelle partorienti hanno diritto a raggiungere in tempo e in sicurezza gli Ospedali, ormai divenuti troppo lontani. Né si potrà sempre contare sull'elicottero del 118, che di notte non vola. E il resto della popolazione? Camionisti, commercianti, agricoltori, che non hanno più la possibilità di trasportare, approvvigionarsi, recarsi sui propri campi! E così via. Un'Apocalisse.
ECCO, È PROPRIO VERO: QUI LO STATO MOSTRA IL SUO VOLTO PEGGIORE. QUI LO STATO SI COMPORTA COME NEMICO.
Rifletto, guido e penso intensamente, nel buio della notte sopravvenuta. La strada corre ora lungo la costa, liscia, diritta.
Passo accanto alle rovine di Himera, distrutta dai Cartaginesi nella notte dei tempi. Oggi è invece un sistema di frane, a distruggere il cuore della Sicilia. Un nemico che ha un potente alleato, che non è Cartagine ma il nostro Stato italiano.
Qui, penso, è divenuta etica la disobbedienza civile.
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Commenti
Marcello Panzarella -
Sto pensando a Danilo Dolci
STO PENSANDO A DANILO DOLCI
adesso che la Sicilia è spezzata, fratturata, privata delle sue arterie e vene, franata.
MUOVERSI PER NON MORIRE!
Ecco la parola e la voce di Danilo.
Un conforto e un esempio che ci commuove a 45 anni di distanza e ci esorta a muoverci per non morire:
Messaggio introduttivo della trasmissione di Radio Libera, letto da Danilo Dolci.
S O S
S O S
Qui parlano i poveri cristi della Sicilia occidentale, attraverso la radio della nuova resistenza.
S O S
S O S
Siciliani, italiani, uomini di tutto il mondo, ascoltate: si sta compiendo un delitto, di enorme gravità, assurdo: si lascia spegnere un’intera popolazione.
La popolazione delle Valli del Belice, dello Jato e del Carboi, la popolazione della Sicilia occidentale non vuole morire.
Siciliani italiani, uomini di tutto il mondo, avvisate immediatamente i vostri amici, i vostri vicini: ascoltate la voce del povero cristo che non vuole morire, ascoltate la voce della gente che soffre assurdamente.
Siciliani italiani, uomini di tutto il mondo, non possiamo lasciar compiere questo delitto: le baracche non reggono, non si può vivere nelle baracche, non si vive di sole baracche. Lo Stato italiano ha sprecato miliardi in ricoveri affastellati fuori tempo, confusamente: ma a quest’ora tutta la zona poteva essere già ricostruita, con case vere, strade, scuole, ospedali.
Le mani capaci ci sono, ci sono gli uomini con la volontà di lavorare, ci sono le menti aperte a trasformare i lager della zona terremotata in una nuova città, viva nella campagna con i servizi necessari, per garantire una nuova vita.
Gli uomini di tutto il mondo protestino con noi: L’Italia, il settimo paese industriale del mondo, non è capace di garantire un tetto solido e una possibilità di vita ad una parte del proprio popolo.
Uomini di governo: lasciate spegnere bambini, donne, vecchi, una popolazione intera. Non sentite la vergogna a non garantire subito case, lavoro, scuole, nuove strutture sociali ed economiche a una popolazione che soffre assurdamente? Se si vuole, in pochi mesi una nuova città può esistere, civile, viva.
Chi lavora negli uffici: di burocrazia si può morire. I poveri cristi vanno a lavorare ogni giorno alle quattro del mattino. Occorrono dighe, rimboschimenti, case, scuole, industrie, strade, occorrono subito.
Questa è la radio della nuova resistenza: abbiamo il diritto di parlare e di farci sentire, abbiamo il dovere di farci sentire, dobbiamo essere ascoltati.
La voce di chi è più sofferente, la voce di chi è in pericolo, di chi sta per naufragare, deve essere intesa e raccolta attivamente, subito, da tutti.
S O S
S O S
Qui si sta morendo.
La nostra terra pur avendo grandi possibilità sta morendo abbandonata. La gente è costretta a fuggire, lasciando incolta la propria terra, è costretta ad essere sfruttata altrove.
S O S
S O S
Qui si sta morendo.
Si sta morendo perché si marcisce di chiacchiere a di ingiustizia. Galleggiano i parassiti, gli imbroglioni, gli intriganti, i parolai: intanto la povera gente si sfa.
S O S
S O S
Qui si sta morendo.
E’ la cultura di un popolo che sta morendo: una cultura che può dare un suo rilevante contributo al mondo. Non vogliamo che questa cultura muoia: non vogliamo la cultura dei parassiti, più o meno meccanizzati. Vogliamo che la cultura locale si sviluppi, si apra, si costruisca giorno per giorno sulla base della propria esperienza.
S O S
S O S
Qui si sta morendo.
Ciascuno che ascolta questa voce, avverta i propri amici, avverta tutti. La popolazione della Sicilia occidentale non vuole morire.
S O S
S O S
Facciamo appello all’ONU e a tutti gli organismi internazionali che hanno a cure la vita dell’uomo e lo sviluppo pacifico del mondo: premano sul governo italiano affinché sia costretto ad agire subito e bene.
S O S
S O S
Il mondo non può svilupparsi in vera pace finché una parte degli uomini è costretta alla disperazione.
S O S
S O S
Qui parlano i poveri cristi della Sicilia occidentale attraverso la radio della nuova resistenza.
S O S
S O S
Costituzione italiana, articolo 21:
“Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
Cosa significa “tutti”? Vi deve essere esclusa la gente che lavora più faticosamente? Vi deve essere esclusa la gente che più soffre?
Il diritto-dovere alla verità, da esigenza morale, diviene via via nella storia, riguardandola nelle sue linee essenziali pur tra contraddizioni, diritto-dovere anche in termini giuridici. Il diritto alla comunicazione, alla libertà di espressione, all’informazione, non vi è dubbio sia determinante allo sviluppo di una società democratica: deve essere garantito attraverso i moderni strumenti audiovisivi che il progresso scientifico e tecnologico ci mette a disposizione. Non possiamo non valerci, non episodicamente ma strutturalmente, di quanto ci viene garantito – sta a noi conquistarlo di fatto – dalla Carta dell’uomo alla Costituzione, alla parte più avanzata del Diritto internazionale e non.
Nelle attuali condizioni storiche italiane, se ha un senso preciso l’impegno affinché la radio – televisione sia affidata allo Stato , occorre:
ottenere precise garanzie affinché si possano esprimere attraverso questo strumento, monopolio dello Stato, le diverse posizioni culturali e politiche democratiche;
e soprattutto portare avanti la possibilità concreta, attraverso mezzi idonei, della comunicazione dell’attuale “basso”: le voci dei lavoratori, di chi più soffre ed è in pericolo.
Una precisa conquista in questo senso non ha solo significato locale, può riuscire a produrre reazioni a catena.
S O S
S O S
Amici, organizzate gruppi di ascolto e diffusione nelle fabbriche, nelle università, nelle scuole, nelle piazze dei Comuni, nei Circoli culturali, nelle case del popolo, nelle cooperative, dovunque sia utile.
Chi vuole documentarsi esattamente, ci richieda documentazione.
Discutete l’iniziativa.
Documentate i giornali di ciascuna delle vostre iniziative.
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Qui la voce della Sicilia che non vuole morire.
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Questa lettera è stata trasmessa minuti fa al Capo dello Stato italiano, al Capo del Governo e al Ministero degli Interni.
Partinico, 25/03/1970