"Padre mio, mi sono affezionato alla terra"

Ritratto di Rosalba Gallà

3 Aprile 2015, 00:07 - Rosalba Gallà   [suoi interventi e commenti]

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“PADRE MIO, MI SONO AFFEZIONATO ALLA TERRA”

 

Ciò che desidero proporre nella giornata del Venerdì Santo, giornata fondamentale non solo  per il mondo cristiano, ma per tutta l’umanità sofferente che trova espressione nell’immagine del Cristo inchiodato alla croce, è una “meditazione” tratta dalla Via Crucis al Colosseo del 1999, presieduta da Giovanni Paolo II. Il testo completo delle meditazioni è stato scritto dal poeta Mario Luzi, il quale, nella presentazione, affermava: “[…] l’immaginazione già in moto mi prefigurò un testo poematico di cui Gesù fosse l’unico agonista. In un ininterrotto monologo Gesù nella tribolazione della via crucis avrebbe confidato al Padre la sua angoscia e i suoi pensieri dibattuti tra il divino e l’umano, la sua afflizione e la sua soprannaturale certezza”.

Trovo intensa e struggente la meditazione della dodicesima stazione, quella in cui Gesù manifesta tutta la sua umanità nel profondo legame alla terra, dove egli è “nato quasi di nascosto”: si è affezionato alle contraddizioni dell’esistere, agli aspetti belli e terribili, gioiosi e dolorosi del mondo e congedarsene gli dà “angoscia più del giusto”, come ad ogni essere umano in procinto di conoscere il volto misterioso della morte.

La scultura di Sebastiano Catania, realizzata in argilla, elemento ‘terrestre’ per eccellenza, e con tecniche che attraversano le varie possibilità plastiche, dal bassorilievo al tuttotondo, bene si accosta alla meditazione e per questo mi piace incastonarla tra le due parti della stessa. L’opera esprime l’angoscia di Gesù mentre viene inchiodato alla croce, tra la violenza dinamica di chi lo tormenta e l’indifferenza statica di chi lo osserva. ‘Vediamo’ il suo grido di dolore non solo nella bocca aperta, ma in tutto il suo volto straziato, nei suoi muscoli tesi, nel costato drammaticamente pronunciato. Ne percepiamo l’umanità nel suo cercare il cielo, pur essendo ancora fortemente legato alla terra: “Sono stato troppo uomo tra gli uomini o troppo poco?”.

 

GESÙ È INCHIODATO SULLA CROCE

Padre mio, mi sono affezionato alla terra
quanto non avrei creduto.
È bella e terribile la terra.
Io ci sono nato quasi di nascosto,
ci sono cresciuto e fatto adulto
in un suo angolo quieto
tra gente povera, amabile e esecrabile.
Mi sono affezionato alle sue strade,
mi sono divenuti cari i poggi e gli uliveti,
le vigne, perfino i deserti.
È solo una stazione per il figlio Tuo la terra
ma ora mi addolora lasciarla
e perfino questi uomini e le loro occupazioni,
le loro case e i loro ricoveri
mi dà pena doverli abbandonare.
Il cuore umano è pieno di contraddizioni
ma neppure un istante mi sono allontanato da te.
Ti ho portato perfino dove sembrava che non fossi
o avessi dimenticato di essere stato.
La vita sulla terra è dolorosa,
ma è anche gioiosa: mi sovvengono
i piccoli dell’uomo, gli alberi e gli animali.
Mancano oggi qui su questo poggio che chiamano Calvario.
Congedarmi mi dà angoscia più del giusto.
Sono stato troppo uomo tra gli uomini o troppo poco?
Il terrestre l’ho fatto troppo mio o l’ho rifuggito?
La nostalgia di te è stata continua e forte,
tra non molto saremo ricongiunti nella sede eterna.

 

 

Padre, non giudicarlo
questo mio parlarti umano quasi delirante,
accoglilo come un desiderio d’amore,
non guardare alla sua insensatezza.
Sono venuto sulla terra per fare la tua volontà
eppure talvolta l’ho discussa.
Sii indulgente con la mia debolezza, te ne prego.
Quando saremo in cielo ricongiunti
sarà stata una prova grande
ed essa non si perde nella memoria dell’eternità.
Ma da questo stato umano d’abiezione
vengo ora a te, comprendimi, nella mia debolezza.
Mi afferrano, mi alzano alla croce piantata sulla collina,
ahi, Padre, mi inchiodano le mani e i piedi.
Qui termina veramente il cammino.
Il debito dell’iniquità è pagato all’iniquità.
Ma tu sai questo mistero. Tu solo.