La Comunità Ebraica di Cefalù

Ritratto di Salvatore Culotta

4 Febbraio 2015, 18:08 - Salvatore Culotta   [suoi interventi e commenti]

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Si è conclusa da poco la Settimana della Cultura Ebraica a Cefalù curata dalla Fondazione Mandralisca ed, in particolare, dalla Dott.sa Teresa Triscari  con grande impegno e competenza (vedi: https://www.qualecefalu.it/node/16219).
Ai contributi emersi in questa occasione e con la speranza che il tema venga ulteriormente approfondito vorrei qui aggiungere – non per chi li conosce già – ma per chi vuol cominciare a saperne di più sull’argomento, due ricerche, pubblicate a suo tempo sul Corriere delle Madonie, condotte da Nico Marino.
 
Il quartiere della Giudecca : cenni storici sulla comunità ebraica cefalutana
 
Non ci è dato di sapere quando la nazione Ebrea si instaurò in Cefalù, ma, a dire del Di Giovanni, essa fu tanto ben radicata nella città da far supporre persino l'esistenza di una moschea, così veniva chiamata la Timisia, la Sinagoga cioè. Tale edificio, secondo la religione ebraica doveva esistere non appena il numero degli adulti professanti avesse toccato le dieci unità.
Che gli Ebrei abbiano avuto solide radici in Cefalù lo dimo¬stra il perdurare del toponimo, ancora in uso, la Giudecca appunto, dato a quella porzione di città compresa, ali'incirca, tra l'attuale via Candelora e la cinta muraria settentrionale corri¬spondente, lì dove si trova la postierla . In questo quartiere, prossimo alla chiesa di S. Antonio, il Bianca (1758-1844), ripor¬tando frammenti tratti dal manoscritto di G.B. Spinola (1609-1643), parla di una strada, chiamata Giudecca, per la ragione che i Giudei erano stati gli abitanti di essa strada.
A Cefalù, il 13 dicembre 1287, presso il Notaio Ruberto, viene stipulato un contratto di mutuo di 24 once da Biviano di Baldo a favore di Baracha di Samuele, quest'ultimo giurò sulla legge di Mosè. Della presenza ebraica in Cefalù esistono, comunque, testimonianze precedenti. Tra i "Diplomi della Cattedrale", in alcuni atti, troviamo: la casa di Salomone medico giudeo (8 marzo 1262), il giudeo Brahen (12 maggio 1289), il Palacium del giudeo Charuso (1 agosto 1290) e nel più antico (1218) si cita un Nisaa giudeo.
Nell'ottobre del 1204 il Vescovo Cicala (1195-1216) dona a Pietro Barulo una casa sita in vico septem focorum che, dall'orientamento, potrebbe "corrispondere" ad una delle strade della Giudecca, individuano nei sette fuochi, le sette fiammelle del candelabro ebraico. Che gli ebrei fossero relegati in un preciso quartiere della città non era sufficiente, infatti, durante l'occupa¬zione araba della Sicilia furono costretti a portare, cucita sulle vesti, una toppa bianca con su disegnata una scimmia. Nel 1296 Federico III (1296-1336) decretò che nessun cristiano potesse avere assidua familiarità con i Giudei per non rimanerne travia¬to. Nel 1366 per riconoscere gli Ebrei ovunque andassero, fu loro imposto di portare, sempre cucita sull'abito, una pezza rossa, detta rindella o inanella, di grande dimensione e con la forma di sigillo regio, solo a Palermo fu concesso di portarla delle dimensioni di una moneta (carlino).Gli ebrei erano arrivati in Sicilia ai tempi di Gneo Pompeo, ci racconta Filone l'Ebreo, e vi rimasero fino a quando non ne furono espulsi. Il 31 marzo 1492 Ferdinando Re di Spagna, emanò un bando di espulsione per tutti gli Ebrei, pena la morte e la confisca dei beni. Poiché la discriminazione era sempre stata su base religiosa e non razziale, erano esclusi dal bando quelli che si fossero convertiti alla fede di Cristo. L'occasione prossi¬ma per la promulgazione del bando fu la difesa del cattolicesi¬mo, ma il vero scopo era di riprendere le fila di quei commerci, i più ricchi e opulenti, diventati nei secoli monopolio degli Ebrei. In Sicilia il bando arrivò il 18 giugno, venivano concessi tre mesi e quaranta giorni per i preparativi. A Cefalù arrivarono due dispacci di Don Ferdinando de Acugna, Viceré di Sicilia, il primo, del 12 agosto X ind.ne 1491-1492, al Segreto della città per far terminare l'inventarlo e far pervenire alla corte di Messina, tramite uno o due procuratori ebrei, il 4% sugli averi censiti, il secondo (XI ind.ne 1492-1493), fu inviato al Capitano oltre che al Segreto per accertarsi che fossero pagate, prima della partenza le quote relative ai 100.000 fiorini dovuti all'erario per arretrati e agli altri 5.000 per aver avuto accordata la proroga dello sfratto. Lo stesso de Acugna, prevedendo gravi disordini, il 28 maggio 1492, aveva posto gli Ebrei e tutti i loro beni sotto la protezione delle armi regie. Agli atti del Notaio Giovanni Castelluccio, il giorno 19 del mese di dicembre 1492, si vede, stipulato a Cefalù, l'atto di consegna dei beni fatto al Real Segreto da Arois de Xiatta, giu¬deo, per la vendita di case e muschita (moschea, sinagoga cioè, dallo spagnolo mezquita), questo a conferma oltre che della pre¬senza degli Ebrei anche dell'esistenza del loro luogo di culto.
 
Il 12 gennaio 1493 gli Ebrei di Sicilia lasciano l'isola portando ciascuno una veste e tre tari. Restarono solo quelli che si conver-tirono e si lasciarono battezzare assumendo come cognome quello dei loro padrini o, come vorrebbe la leggenda, nomi di piante e fiori. Continuarono a vivere in Sicilia e molti di essi, spacciandosi per cattolici, continuarono, nascostamente a segui¬re i dettami della loro religione. Nei racconti dei vecchi Cefalutani si parla di tombe, con la stella di David dipinta su mattonelle di maiolica, che si sarebbe¬ro trovate nei pressi della chiesa di S. Antonio, per la quale è da escludersi una diceria che vorrebbe fosse la vecchia Sinagoga, sappiamo per certo infatti che la chiesa suddetta fu fatta costrui¬re nel 1566 dal Vescovo Faraone fuori dalla città e di rimpetto alla Porta detta della Giudecca, sulle rovine di un fortino che faceva parte di quella porzione della cinta muraria caduta in disuso. Dopo l'espulsione, gli Ebrei continuarono i loro commerci con la Siciliane con Cefalù tanto che, spesso, tra le spese dell'Università, nel Libro Rosso, torna una voce: elemosina per i convertiti, un incentivo economico a quanti, Ebrei o Maomettani, sinceramente o no, si fossero convertiti. Il Libro Rosso del Comune, inoltre, tra i capitoli della Scala Franca pub¬blicata in Messina il 15 agosto 1695 (fog. 203-205 r) riporta la seguente disposizione: ...Potranno Giudei e Maomettani tratte¬nersi in questa città di passaggio, e non di stato per tutto il tempo che sarà loro necessario la spedizione dei loro traffichi e negati, con questo però che la notte debbano ritirarsi nel luogo che con ogni comodità e proporzione loro si deputerà fuori delle mura di questa città e che i Giudei abbiano da portar per segno tutta la falda grande del cappello foderato al di sotto di color giallo, e del medesimo colore giallo le loro donne un velo in capo. Nel 1740 fu di nuovo permesso agli Ebrei di fermarsi in Sicilia per 50 anni, a Cefalù non v'è traccia del loro ritorno, anche a causa della durata effimera di tale permesso che, infatti, fu revocato nel 1747. 
Corriere delle Madonie: 15-30 giugno 1991
 
 
Cefalù : il quartiere della Giudecca
e, in premessa, il quartiere  “ de li rughi novi ”
 
In occasione del cinquecentenario dell'espulsione, dalla Sicilia, delle comunità ebraiche, voluta da Ferdinando il Catto¬lico con bando del 31 marzo 1492, si è tenuto a Palermo, dal 15 al 19 giugno, un convegno internazionale per analizzare l'importanza delle comunità ebraiche siciliane In rapporto alla storia sociale ed economica detta nostra isola. Il convegno, sul tema La stona degli Ebrei in Sicilia, in occasiono dei 500 anni dall'espulsione, ha cercato di studiare la dislocazione del quartieri ebraici nelle città della Sicilia. Sollecitato da questo avvenimento ho voluto qui porre l'accento sulla comunità ebraica cefalutana per trattare la quale è necessario un piccolo pream¬bolo
Il Rollus rubeus, voluto da Fra' Tommaso da Bufera nel 1329 e redatto da Ruggero da Mistretta, maestro notaro della Curia Vescovile raccoglie in un unico volume atti, bolle e privi¬legi della Chiesa e Vescovato di Cefalù. Esso, ha avuto, ne! tempo, un prosieguo in quello che viene comunemente chia-mato Libro Rubeo (da ora L. R. Catt.) e del quale, grazie alla cortesia del Direttore Ammini¬strativo della Curia Vescovile, ho potuto esaminare il volume relativo agli anni che vanno dal 1570 al 1678. Al suo interno troviamo transunti di atti e privi¬legi, elenchi di censi dovuti per concessioni enfiteutiche (case, terreni e feudi) e conti relativi alle spese di manutenzione della Cattedrale, del Palazzo Vescovile e dei loro rispettivi arredi.
Di alcune gradite sorprese, venute fuori dalla consultazione del medesimo, ho già avuto modo dì parlare in altre occa¬sioni (Corriere delle Madonie: 31 luglio 1991, Il Convento della Mercé ed il vero Osterio Piccolo e gennaio 1992, Mostra della Iconografìa storica di Cefalù.). Quello che mi preme sottolineare in questa sede è l’impor¬tanza delle notizie, che da esso si evincono, atte ad identificare la situazione urbanistica di Cefalù, con ampi ragguagli sulla porzione di città compresa tra due linee parallele ideali: la prima, data dalla cinta muraria settentrionale, va dal Bastione (oggi Belvedere) alla chiesa di S. Antonio Abate; la seconda viene fuori dalla congiungente la Cattedrale e Piazza Duomo, lungo le falde della Rocca, alla cinta muraria di levante. Questa porzione è, in particolare, quella che in passato ospitava il quartiere della Giudecca (Corriere delle Madonie: 15-30 giugno 1991, Il quartiere delta Giudecca). Dalla serie delle concessioni enfiteutiche raccolte nel suddetto volume (L.fl. Catt 1570-1678) vengono fuori, oltre ai nomi degli enfiteuti, ampi ragguagli sui confini dell'oggetto delle concessioni stesse. Da esse si evince che, intorno alla metà del "500, sì verifica a Cefalù un fenomeno di espansione del tessuto urbano all'interno della cerchia muraria. Questo grazie al Vescovo che, concedendo in enfiteusi i terreni limitrofi alla Cattedrale, fino a quei momento destinati a vigne ed orti, permette la creazione dì un nuovo quartiere chiamato di li rughi novi ossia delle strade di nuova impostazione, due almeno, ognuna delle quali è indicata come ruga nova senza indicazione se non quella "chi va versu lu bastiuni” o "vicinu a lu bastiumi", "che si va a la Giudecca" o "sotto l'Episco¬pato", al contrario di quelle storiche che hanno già toponimi ben precisi. Due le caratteristiche che accomunano queste nuove strade: la loro dislocazione a nord della Cattedrale e l'orien¬tamento est-ovest, lo stesso della strada che congiunge la Platea o Piazza inferiore alla porta detta della Giudecca.
La porzione di terre, oggetto delle nuove concessioni e dove si può costruire solo col consenso del Vescovo, è ben delineata in una nota: dalla punta della vanella del Santìs¬simo Salvatore in costo li scali granni della Cattedrale, prose¬gue vanella vanella fino al Bastione a li mura di la città e continua mura mura fino alla porta della Giudecca. Nella accennata delimitazione non si fa menzione del quartiere della Giudecca anche se si accenna all'omonima porta, c'è da pensare quindi che esso si trovi all'esterno della delimitazione stessa. Ho spesso identificato (vedi succitato articolo) il quar¬tiere ebraico come quella porzione della città compresa tra la via Candeloro e la cinta muraria settentrionale corri¬spondente, il risultato degli studi da me nuovamente condotti smentisce questa dislocazione. Tra le concessioni registrate sul Libro Rubeo, quelle relative alla zona in questione, non si accenna mini¬mamente a case o terreni siti all'interno della Giudecca, anche se troviamo una strada che si va alla Giudeca o un piano dinanti la porta Giudeca.  Nessun accenno viene fatto in atti, relativi alla stessa zona, di epoca più antica. Voglio citarne uno dell'1 agosto del 1290 (Pergamene della Cattedrale, Bibl. Mandralisca, vol. 2°, pag 139) in cui, pur comparendo in vico porticelle il palacium Charusi Judei, non si accenna alla Giudecca cosa che per la strata di la porticella del XVI secolo si ripete puntualmente e, in entrambi gli atti, si fa riferi¬mento alla postierla della cinta muraria settentrionale, C'è da aggiungere che dagli atti del XIII secolo sì evince che, anche al di fuori del loro quartiere, i componenti la comunità ebraica possedevano case e terreni.
 
Tutto ciò premesso, c'è da pensare che, escludendo la zona adibita dal Vescovo a nuove concessioni, il quartiere della Giudecca fosse relegato nella zona compresa tra le falde della Rocca a meridione, le vigne e gli orti del Vescovato ad occidente, la strada che condu¬ceva alla porta detta della Giudecca a settentrione e la cinta muraria a levante, lì dove si trova la chiesa di S. Antonio. Ciò è confermato dall'Auria (1656, pag. 62) che a tale proposito cita Giovan Battista Spinola (1609-1643) riportandone un frammento che mi piace presentare nella versione del Bianca (1798) quando, a proposito delle cospicue vesti-gia di antichità sulle quali varrebbe la pena dì indagare, dice che esse si scorgono alla Porta dì S. Antonio - che è la stessa della Giudecca  annota il Bianca-  in qual luogo dicesi che un tempo vi fosse una strada che anche oggi dì appellasi  Giudecca, per quella ragione che i Giudei fossero stati gli abitanti di essa strada. In altra occa¬sione il Bianca (1798) aggiunge; Fuori della città esistono anche delle chiese pubbliche .,.()... la più vicina è quella dedicata a S. Antonio Abate eretta dal Vescovo Faraonio nel 1566, sulle antiche muraglie di un fortino che guar¬dava la città dal lato orientale dirimpetto alla porta detta della Giudeca, Si evince che la cinta muraria di levante, una volta estesa fino alla chiesa di S. Antonio Abate, si sia ritratta per qualche ragione, cui concorse certamente la partenza degli ebrei da Cefalù per via dell'e-spulsione del 1492, fu allora che il quartiere della Giudecca, ormai demotivato nell'uso, pur se in parte ancora abitato da marrani, conversi e nuovi acqui¬renti si ritrasse anch'esso. Nella tradizione cefalutana si identifica come Iurìeca il complesso di costruzioni che si affaccia su quella parte dì via Candeloro che presenta le costruzioni solo sul lato monte e che non hanno altra via di accesso se non quella della suddetta strada, questa va a conforto della nostra ipotesi
 
 
Alla prima riduzione dell'area del quartiere ebraico ne seguì una seconda quando i! Vescovo Vanni (1798-1803) acquistò e demolì alcune case dell'attuale via Candeloro (Misuraca, 1962; pag. 167) per dare più spazio al giardino vescovile. Se la porzione dì città dove collocare il quartiere della Giudecca è quella venuta fuori dall’appena concluso ragiona¬mento, è facile rendersi conto come l'area sia troppo piccola per aver potuto contenere tutte quelle strutture, oltre alle abita¬zioni, di cui un quartiere ebraico non poteva fare a meno : Sina¬goga e relativo luogo per i bagni rituali delle donne, il macello, il cimitero. Da qui la necessità di supporre un suo restringimento e la probabile esistenza di tracce da ricercarsi nei terreni della zona presa in esame, alle falde della Rocca. 
Ho dato notizie, nel succitato articolo, di alcuni nominativi di persone appartenute alla comu¬nità ebraica cefalutana, tratti dalle Pergamene della Catte¬drale, dalle stesse, altri ne sono venuti fuori (Perg. Catt.Bibl. Mandralisca vol. 2°, pag. 458 e seg.). Si tratta dell'atto di erezione di una confraternita cefalutana, forse la più antica della Sicilia, già attiva nel 1212 {vedi precedente numero del Corriere delle Madonie); tra coloro che danno un contributo annuale troviamo un Eliachiu, un David e un Aminarda de Daviit. Tra il materiale documen¬tario dell’ avv. Salvatore Misuraca (1838-1901) trovo notizia dì un'altra pergamena della Cattedrale del 21 febbraio 1307 che altro non è se non un Transunto autentico nel quale sifa memoria dei giudei e servi della Chiesa di Cefalù e del Palazzo Vescovile dei quali servivasi il Vescovo  nella festa del SS. Salvatore pei forestieri ospiti nel suo palazzo. Le notizie riguar¬danti ciò che rimase della comunità ebraica cefalutana sappiamo poco o quasi nulla, il Libro Rosso del Comune (da ora L.R. Com.).  In un esito dell'Università del 1753 (LR. Com, pag, 443, f. 273) troviamo la voce elemosina ali convertiti alla S. Fede e, in data 2 dicem¬bre 1733 (LR. Com, pag. 467, f. 291), in un ordine circolare per il mantenimento della guar¬dia di Sanità, l'imperativo di reperire i fondi imponendo una tassa che tutti dovevano pagare, inclusi quelli di religione ierosolimitana. Sui libri della Parrocchia Cattedrale troviamo invece alcuni nominativi di sicura discendenza ebraica: Moises Carpinteri  viene sepolto nella chiesa di S. Sebastiano il 16 agosto del 1640, Dominicus Isaia si sposa il 13 gennaio del 1704 e Flora, moglie di Salva¬tore Mosè viene sepolta nella Chiesa dell'Annunziata il 21 dicembre 1798. Nel già citato Libro Rubeo (anni 1570-1678) troviamo Disiata di Israel che paga un censo per una proprietà confinante con terri vacanti di Leonardo Israel.
Leggo in Antonio Mogavero Fina (1992) del rinvenimento da lui fatto nel 1965, presso la Chiesa Madre di Caccamo di due libretti in lingua ebraica: Libri liturgici degli Ebrei che nella metà del sec, XVIII si rifu¬giarono in Caccamo, assegnata insieme a Castelbuono e Cefalù come città asilo - un'altra scritta dice- Libri di preghiere usati dagli Ebrei in Sicilia e accolti nei comuni di  Caccamo, Castelbuono e Cefalù. È probabile che la creazione di città asilo, le suddette, sia da riferirsi ad un editto del1740 col quale si permetteva egli Ebrei di fermarsi in Sicilia per 50 anni, revocato nel 1747, mise in diffi¬coltà quegli Ebrei che già si erano stanziati in Sicilia, si sentì pertanto la necessità di dare loro la possibilità di raccogliersi in alcuni centri ben precisi. Le cronache cefalutane non parlano di questo evento, purtroppo, contribuendo cosi a rendere più fitto il mistero.
Studi mirati, condotti sulla base di ricerche d'archivio e, perché no, di probabili scavi potrebbero dare chiarezza a questo nostro particolare momento storico, importante per la sua valenza culturale e per quelle influenze che certa¬mente abbiamo assorbito nei nostri usi e costumi, il dialetto di Cefalù, per esempio, proprio quello della zona del quartiere della Giudecca, ha caratteristiche sue proprie, sicuramente originate dalla lingua parlata dagli ebrei, l'arabo, che essi continuarono ad usare anche dopo la dominazione araba. Teniamo ciò da conto quando nel nostro dialetto diciamo a mià, a tià (a me, a te) o quando usiamo diminutivi correnti del tipo: 'Gnazziné, Vicè, Pippiné e Sariné.
                                                         Nico Marino
 
BIBLIOGRAFIA
1656 - Vincenzo Auria, dell’origine ed antichità di Cefalù
1798 - Bianca Francesco Alessandro, Notizie Istoriche sull'antichità e pregi della Piacentissima città di Cefalù (m.s.)
1962 - Giuseppe Misuraca, Cefalù nella Storia.
1989 - Domenico Portera, Trascrizione del Libro Rosso del Comune di Cefalù.
1992 - Antonio Mogavero Fina, Gli Ebrei a Castelbuono
Corriere delle Madonie,  6 Luglio 1992
 
In ultimo, così come ha fatto Nico Marino, vorrei mettere l’accento proprio sulla necessità di condurre opportuni scavi nell’area della Giudecca, rimpiangendo peraltro che ciò non sia stato fatto in 0ccasione dei diversi lavori che hanno interessato quell’area.
 
Le immagini che accompagnano questo testo sono alcune vedute della Giudecca nonché particolari delle due mostre ancora visitabili al Mandralisca ( sino al 28 febbraio) di Vincenzo Ognibene e Manlio Geraci. ( Mi scuso per la bassa qualità delle immagini a colori )