21 Gennaio 2015, 22:31 - Quale Cefalù [suoi interventi e commenti] |
La Settimana della Cultura Ebraica a Cefalù, intende ricordare la Shoah tramite uno dei più grandi valori trasmessi dalla civiltà ebraica, la Memoria. Memoria come presente di tutto ciò che ha senso e valore, di tutto ciò che «fa parte della storia del cosmo», per citare un passo di Singer.
Memoria come senso di coralità tra gli uomini; Memoria come rapporto con la propria identità; Memoria come libertà;
Memoria come lotta a quelle dittature che cercano di cancellare la Storia, di alterarla, falsificarla o distruggerla scavando paurosi abissi fra le generazioni.
La memoria ebraica può parlare a nome di tutte le vittime della Storia. La memoria guarda avanti; si porta con sé il passato, per salvarlo, per ricondurlo in quella Patria, in quella casa Natale che ognuno, dice Ernst Bloch, il filosofo dell'utopia e della speranza, crede trovarsi nell'infanzia e che si trova invece in un futuro liberato.
La Cartha delle Judeche di Sicilia, fondata nel 1999, che ha visto Cefalù, tra i primi soci fondatori, ha lo scopo di riportare alla luce tutte le tracce della millenaria permanenza del popolo ebraico in Sicilia, metasito dello Shalom. La presenza di Cefalù nella Charta ha una sua importante valenza che conferma tra l'altro che, all'epoca di Ruggero II, la nostra Città era diventata luogo centrale e privilegiato nel Mediterraneo, dove si incontravano e convivevano, in felice sintesi, quasi un "ecumene" in microcosmo, etnie, culture, lingue, religioni diverse che spaziavano dalle regioni scandinave a quelle mediterranee: bizantini, ebrei, arabi, normanni, costituivano il vario e variegato tessuto socio-culturale della Cefalù ruggeriana. E di questa Cefalù multietnica e multiculturale, la comunità ebraica costituiva un elemento essenziale dal punto di vista socio-economico, pur mantenendo le sue peculiarità nel campo culturale e religioso. Un felice periodo di sincretismo religioso, oltre che culturale, per Cefalù, al centro di un dialogo internazionale.
Cefalù e la sua Giudecca
La Porta della Giudecca è una delle quattro porte storiche di Cefalù, tra la via Candeloro e la cinta muraria settentrionale. Il toponimo "Giudecca", "a' Jureka", testimonia la presenza di una comunità ebraica, sia pure numericamente limitata, in un arco di tempo che va da un periodo imprecisabile, comunque molto lontano, al 1492, data dell'Editto di Granada con cui Ferdinando il Cattolico decreta la cacciata degli Ebrei da tutti i territori del Regno. La Giudecca di Cefalù comprendeva, molto probabilmente, ben due sinagoghe, la scuola, il bagno, il macello, l'ospedale. La toponomastica e l'onomastica, e non solo, ci hanno consegnato un pezzo di storia molto intensa, fatto di ricchezza e cultura dove, per altro, Cefalù rivestiva, nel Mediterraneo, un suo ruolo di centralità.
Il Programma
Lunedì 26 gennaio - ore 18.00 - Via Mandralisca, 9
Inaugurazione della mostra "Ebraica" di Vincenzo Ognibene (pittore) e Manlio Geraci (scultore). Letture a cura di Vincenzo Giannone.
La mostra rimarrà aperta fino al 28 febbraio.
Martedì 27 gennaio - ore 18.00 - Via Mandralisca, 9
Film "Jona che visse nella balena" (1993) di Roberto Faenza.
Autobiografia sconvolgente di un bambino olandese deportato a Bergen Belsen nella baracca accanto ad Anna Frank. Vincitore di 3 David di Donatello, Unicef Award, Efebo d'oro.
Ingresso libero
Mercoledì 28 gennaio - ore 18.00 - Via Mandralisca, 9
Film "Anita B." (2014) di Roberto Faenza.
Recentissimo film, tra il sussidiario e la favola yiddish, sulla Shoah e sul coraggio della memoria. Per non dimenticare.
Ingresso libero
Giovedì 29 gennaio - ore 18.00 - Via Mandralisca, 9
Film "Memoria" (1995) di Ruggero Gabbai.
Autori: Marcello Pezzetti e Liliana Picciotto.
Documentario girato ad Auschwitz con testimonianze di sopravvissuti
II film, selezionato al Festival di Berlino del 1997, ha ottenuto riconoscimenti in tutto il mondo.
Ingresso libero
Venerdì 30 gennaio - ore 18.00 - Via Mandralisca, 9
Film "II viaggio più lungo. Rodi - Auschwitz" (2013) di Ruggero Gabbai. Autori: Marcello Pezzetti e Liliana Picciotto.
Il film, attraverso testimonianze di sopravvissuti, ripercorre le vicende
degli ebrei rodioti, dagli anni dell'amministrazione italiana fascista, fino all'8 settembre 1943 quando l'isola passò sotto il controllo nazista.
Il film è stato selezionato al 30° Festival del Cinema di Gerusalemme e presentato in anteprima al Museum of Jewish Heritage di New Jork.
Il 27 gennaio 2014, il regista Ruggero Gabbai è stato insignito del Premio Mario Francese per i suoi alti meriti sul valore della Memoria.
Ingresso libero
Sabato 31 gennaio - ore 18.00 - Via Mandralisca, 9
Tavola rotonda sul tema della Memoria.
Intervengono: Evelyne Aouate, presidente dell'ISSE di Palermo; Miriam Ancona, vicepresidente dell'ISSE; Giovanna D'Amico, docente di storia contemporanea - Università degli Studi di Messina; Liborio Asciutto, teologo-filosofo, presidente Centro Ecumenico "La Palma" di Cefalù.
Coordina: Teresa Triscari.
Letture a cura di Vincenzo Giannone.
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Gli Espositori:
Vincenzo Ognibene e la morfologia del suo linguaggio
Pittore e poeta, intellettuale politicamente impegnato, Ognibene da anni coniuga, come in un doppio registro linguistico, la memoria della Sicilia contadina con le radici dell'ebraismo siciliano in un itinerario complesso e composito (spesso autobiografico) attraverso temi e simboli delle civiltà mediterranee, attraverso quell'allontanamento dai clamori della vita quotidiana che consente il ripiegamento dell'animo su se stesso e il dialogo con il mondo circostante. Dialogo, monologo, ricerca nostalgica delle proprie origini sia antropologiche sia culturali. Ed è proprio sulle note di tali ricordi che Ognibene penetra nella grande lezione dei nostri maestri - Cezanne, De Chirico, Klee - uscendone carico di ricordi che si dilatano e creano il suo stile; un'espressione fatta di colori a volte evanescenti, tanto da far pensare al restauro; a volte fortemente radicati alla nostra Terra, e i cui ritmi sono determinati da continue cesure cromatiche poste, ad arte, laddove il tono, diluendosi e stemperandosi, tende ad esaurirsi: ecco lì c'è la cesura e il ritmo riprende come in un'opera lirica quando la musica improvvisamente divampa.
Il colore, in Ognibene, subisce una forma, per così dire, di dominio mentale venendo ad essere sotteso al pensiero e, comunque, sempre legato alla sua terra, anche in forma intimistica. La cifra linguistica si fa rarefatta. Su quei brani di tela fluttua la lezione degli impressionisti, dei metafisici, dei surrealisti in una filigrana di segni che sono presenze-assenze e comunque espressioni dell'essere. Tra sogno e realtà, visibile e invisibile, in una scrittura di archetipi, in una ragnatela di segni, in un divagare del pensiero, si muove Ognibene dando vita a situazioni che lo fanno approdare a se stesso in modo tale che il suo excursus appare spesso un ritorno, o "quasi un ritorno", come direbbe lui, con quel suo "quasi" raffinatamente poetico, una forma di filtro linguistico. Una morfologia di un personalissimo, polisemico linguaggio, sia pittorico che poetico.
Vincenzo Ognibene (1947)
Ha al suo attivo numerose esposizioni, in Italia e all'estero, in sedi di prestigio e di sicuro valore storico, come Cracovia, Varsavia, Mosca, Mannheim, Venezia, Milano, Torino, Piacenza, Reggio Emilia, Palermo, Catania, Siracusa ecc. in una carriera artistica ormai quarantennale. E’ autore di una raccolta di poesie, "Villaurea Signura quasi Himera". Degna di nota la sua partecipazione a conferenze e dibattiti.
Manlio Geraci e la spiritualità delle sue costruzioni
Architetto, restauratore, scultore di materiali vari, dalla terracotta, al gesso, al mosaico, alla pietra, Geraci, partendo da un'indagine di tipo filosofico, sviscera la Storia in scene di frammenti tragici e silenziosi che riannodano la presenza pudica di corpi e oggetti al dramma indicibile dell'Olocausto. Distillando ogni volta la specifica spiritualità finale in un processo esecutivo che è riconoscimento della Memoria, Geraci riprende temi di tragica attualità, con un approccio intellettuale e spirituale insieme, esplorando, con eleganza e stile, la tematica ebraica e stabilendo un colloquio silente con la materia.
Calandosi nelle proprietà, insieme tattili e simboliche di materiali vari, l'artista offre uno spaccato del dramma ebraico, dai libri che bruciano ai piedi che lasciano la loro Terra, alle mani che implorano in una forma di sincretismo di pensiero. L'anima colta dello scultore si coniuga con la Storia in un afflato di pensiero e di emozioni che riesce a trasmetterci con forza.
Verso una sempre maggiore idealizzazione tendono le ultime sculture, la cui superficie è movimentata da tessere musive e da foglie dorate, capaci di nutrirsi di tutti quei significati taciuti e sottesi, racchiusi da ciascun corpo in ogni singola opera. In questi ultimi lavori sembra accentuarsi il gusto per l'astrazione, alla ricerca di un archetipo, di una forma di primordialità, un percorso alla Brancusj potremmo dire.
Da anni il suo lavoro è incentrato sul simbolismo ebraico e sul pensiero cristiano evidenziandone aspetti culturali e immaginifici.
L'elemento luce riveste un ruolo fondamentale nelle installazioni, di Geraci il quale, nell'uso del bianco monocromo, è come se volesse condurci a una condizione tendente all'elevazione.
La sua è sempre una ricerca di immaterialità, di archetipi visivi, di fattezze, di simulacri come fisionomie della sensibilità umana. Tutto questo trova nelle sue sculture, soprattutto nel linguaggio che applica a "Le mani dei Giusti", il suo compimento e la sua rarefazione in un percorso che ci ricorda Auguste Rodin.
Manlio Geraci (1949)
Ha al suo attivo numerose esposizioni in Italia e all'estero, in sedi di sicuro prestigio e valore storico come Parigi, Berlino, Lussemburgo, Roma, Milano, Siena, Ferrara, Macerata, Forlì, Palermo. Partecipa a conferenze e dibattiti con una ricca tematica sull'ebraismo. Sue opere sono esposte in collezioni pubbliche di sicuro richiamo come la Scuola di specializzazione in Storia dell'Arte dell'Università di Siena.
Testi tratti dal pieghevole:
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