23 Luglio 2014, 08:49 - Quale Cefalù [suoi interventi e commenti] |
È passato un anno dalla dipartita del Dottore Santo Curcio, nostro illustre concittadino, che, per oltre mezzo secolo, a Cefalù e nel circondario, non solo madonita, è stato conosciutissimo e stimatissimo medico.
Quale Cefalù Lo ricorda riproponendo il profilo umano e professionale che, in occasione della Sua dipartita, ne ha tracciato Saro Di Paola.
Oggi alle ore 18,00, nella Chiesa di San Pasquale sarà celebrata una messa in Suo suffragio
ADDIO DOTTORE CURCIO, UOMO E MEDICO D'ALTRI TEMPI. ADDIO SANTO, AMICO FRATERNO
Ieri, 23 luglio, il dott. Santo Curcio ha risposto alla chiamata del Padre.
A novembre avrebbe compiuto 89 anni.
Ancor prima di conseguire la laurea e di specializzarsi in Tisiologia Egli cominciò a dispensare consigli a quanti, nella malattia,
in Lui avevano, già, riconosciuto un punto di riferimento,
in Lui riponevano la speranza per una pronta guarigione,
a Lui si rivolgevano per riceverne aiuto.
Erano, in particolare, uomini di campagna, contadini.
Lo aspettavano sotto la casa paterna di vicolo Seminario,quando sapevano che Egli, ancora militare,sarebbe tornato a Cefalù per licenza.
Era gente umile.
Come la mamma Rosa ed il papà Pasquale,che lo mantennero agli studi sino a farlo laureare.
Con grandissimi sacrifici e con tantissime rinunce.
Il Dottore, orgoglioso delle Sue umili origini, teneva a ricordarlo.
Sempre e a tutti.
Conseguita la laurea, nel 1950, giovanissimo cominciò l’esercizio della professione medica.
Il suo primo studio fu nella casa paterna.
In via Seminario.
Sin da quegli anni, il dottore Curcio, pneumologo e medico generico,
pur introverso nel carattere e spesso scorbutico nei modi,
fu punto di riferimento per Cefalù e per il circondario.
Per ammalati e per giovani colleghi.
Era al dottore Curcio di Cefalù che, nei casi più gravi e più complicati, si ricorreva.
Anche dai paesini del messinese.
Sin da quegli anni e per almeno tre decenni, quando il dottore Curcio entrava nelle nostre case per visitare un familiare ammalato,
tiravamo tutti un sospiro di sollievo.
Ci sentivamo tutti più tranquilli per quello che sarebbe potuto essere il decorso della malattia del nostro familiare.
Al riguardo, tantissimi sono gli aneddoti che, negli anni, abbiamo ascoltato dalla viva voce di quanti hanno avuto modo di sperimentarne la professionalità e la competenza.
Un aneddoto per tutti.
A raccontarlo è una signora di Pettineo, madre, oggi, molto anziana di un giovane, che, una quarantina di anni addietro,era stato curato perfettamente dal dottore Curcio dopo che altri medici, radiografie alla mano, gli avevano diagnosticato una malattia ai polmoni tanto grave da fare temere il peggio.
Quella stessa madre di Pettineo racconta che, due anni addietro, a seguito di una ricaduta, le condizioni del figlio le erano sembrate talmente gravi da farle pensare “stavuota a me’ figgi mancu u dutturi Curciu lu sarba”.
La donna, nella disperazione, provò a telefonare a casa del dottore per chiedere un consulto.
Le fu risposto che il dottore, da anni, non esercitava più.
L’insistenza della signora di Pettineo fu tale che, a casa Curcio, non potettero fare a meno di informarne il Dottore.
Pur in precarie condizioni di salute e già incerto sulle gambe il Dottore scese allo studio ed incontrò il paziente.
Nonostante i tantissimi anni che erano trascorsi lo riconobbe subito.
Guardò le lastre, si ricordò del caso e confermò la diagnosi che aveva fatto all’incirca quaranta anni prima.
Con grandissimo sollievo del paziente e dei familiari.
Il mio primo personale ricordo del Dottore Curcio è legato ad un episodio avvenuto proprio nel suo primo studio in via Seminario.
Si era nella immediata vigilia del Natale di uno degli ultimi anni 50, la mia nonna materna mi affidò la commissione di recapitare in quello studio l’involucro con una cassata che aveva preparato in casa per il Dottore.
Voleva "disobbligarsi".
Voleva ricambiare le premure con le quali il Dottore si era adoperato per guarire il nonno dalla gravissima infezione che aveva contratto per il morso di un mulo.
Stavo consegnando l’involucro con la cassata a Salvatore, il Suo primo infermiere, quando il dottore uscì dalla sua stanza.
Mi vide, mi riconobbe, capì tutto.
Mi disse di ringraziare la nonna e mi mise qualcosa in tasca.
Non ero ancora fuori dallo studio e frugai nella tasca.
Mi ritrovai con una banconota da mille lire.
Di quelle grandi.
Non credevo ai miei occhi : il Dottore aveva fatto ricco il mio Natale.
Non avevo ancora dieci anni e quell’episodio restò scolpito nella mia mente di bambino.
Lo raccontai al Dottore, da grande.
Quando il rapporto da assistito che avevo con Lui cominciò a diventare più confidenziale.
Il Dottore, quasi imbarazzato, si schermì.
Non ricordava nulla dell’episodio pur avendo nitidi i particolari dell’infezione patita da mio nonno.
Qualche anno dopo, fu il Dottore a mettere in imbarazzo me.
Mi fece l’onore di chiedermi di chiamarlo “Santo”.
A me veniva difficilissimo.
Lui insistette sino a pretenderlo.
Riuscii a darGli del “tu”.
Il nostro rapporto da confidenziale cominciò a diventare amicale.
Una amicizia che gli anni hanno consolidato sino a farla diventare fraterna.
Dopo il 1999, quando a 75 anni Santo è andato in quiescenza, sono state le mattine dei sabati a scandire i nostri incontri nel suo studio.
Non dovevo più aspettare il turno per intrattenermi con Lui.
La scena era sempre la stessa.
La porta del Suo studio aperta, Santo nel suo inseparabile camice bianco seduto dietro la scrivania con i gomiti poggiati su una pila di giornali e riviste.
Intento a leggere.
Con gli occhiali sulla punta del naso.
Dalla porta lo chiamavo.
Santo riconosceva la mia voce, alzava lo sguardo, si toglieva gli occhiali e mi faceva cenno di entrare.
Il tempo di sedermi e cominciavamo a scambiare quattro chiacchiere.
I Suoi commenti sulla politica nazionale e su quella locale per provocare i miei.
Il Suo pensiero sul libro che stava leggendo, o che aveva finito di leggere, per suggerirne a me la lettura.
I nostri pronostici sul gran premio di formula uno se l’indomani ve ne fosse stato uno.
Tra una chiacchiera e l’altra, il caffè.
Quello fatto in casa dalla signora Irma.
Con la schiuma.
Come piaceva a Lui.
Condizioni meteo permettendolo, i nostri incontri del sabato si concludevano con un appuntamento per il primo pomeriggio.
Alla Piana.
Santo aveva il piacere e l’orgoglio di mostrarmi i frutti del Suo Amore per la campagna.
Diversi di stagione in stagione : brasiliani, mandarini, pompelmi, pomeli, fragoloni, ortaggi, annoni, frutti esotici, ….. rose, pomelie, strelizie.
Di quei frutti Santo aveva il vezzo e la gioia di raccogliere i più belli.
Per farne dono a me ed a tantissimi altri, che onorava, e che ci onoravamo,della Sua Amicizia.
Da circa tre anni i nostri incontri del sabato non sono stati più allo studio.
Alla Piana, con Santo, non siamo più andati.
Dei frutti del Suo Amore per la campagna mi è rimasto il ricordo.
In alcune foto.
Le pubblico.
Certo di farGli cosa gradita.
Da circa tre anni i nostri incontri del sabato avevano cambiato sede.
Prima nel soggiorno di casa, negli ultimi mesi, nella Sua stanza da letto.
Di volta in volta divenivano più radi e più brevi.
Lo scorso sabato, Santo era a letto.
Assopito, in dormiveglia.
L’ho chiamato.
Gli ho chiesto se mi avesse riconosciuto.
Mi ha risposto : “sono vecchio ma il mio cervello ancora funziona”.
Non me la sono sentita di aggiungere altro.
Quel nostro incontro, tra tutti, è stato il più breve.
Mi sono congedato da Lui.
Mai, però, avrei pensato che sarebbe stato per l’ultima volta.
Addio Dottore Curcio, Medico e Uomo d’altri tempi.
Addio Santo, Amico fraterno.
Saro Di Paola, 24 luglio 2013
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Commenti
Franco D'Anna -
Ricordo di Santo Curcio
Passando per il primo viale del vecchio cimitero lo trovo nella cappella che ha voluto progettata da me tanti anni fa.
Il suo ricordo resterà per sempre in tutti quelli che gli siamo stati amici
Hai detto bene caro Saro: "Uomo e Medico d'altri tempi".