22 Novembre 2012, 14:38 - Angela D. Di Fr... [suoi interventi e commenti] |
I turisti, specialmente stranieri, hanno un occhio addestrato a saper cogliere le architetture che parlano del passato, e di fronte al porticato, agli archi, alla cancellata di ferro, non rinunciano a una foto, anche se pochi hanno l’audacia di superare la barriera psicologica delle sedie che si sporgono in vista del corso. Se lo facessero, potrebbero vedere l’antica lapide con epigrafe in latino, datata 1806, con i nomi di Dini, Bianca e Maria, “padri coscritti” come li definisce Giuseppe La Calce De Franchis nel suo libro “Sotto la Rocca” (Kephagrafica 1996). Ma sicuramente non entrerebbero nella sala con le ampie poltrone rosse e i grandi specchi. L’interno del Circolo Unione non è mai stato visitato dai turisti, ed è stato per lungo tempo – prima che gestioni più aperte ai nuovi tempi e alle nuove esigenze lo aprissero ad eventi culturali – sconosciuto alla maggior parte dei cefaludesi, per non parlare delle cefaludesi.
Il locale, secondo quanto affermato da Nico Marino, ospitava il forno pubblico di Cefalù e risaliva all’epoca della dominazione spagnola, motivo per cui egli vi ambientò una rievocazione storica dal titolo “Il pane del Re”. Ma la sua connotazione caratteristica, rimasta immutata negli anni, è la struttura e ambientazione primo Novecento. I grandi specchi macchiati dal tempo conservano il riflesso di pagliette e lobbie, di gilè e bastoni a canna. Niente grandi cappelli, niente piume e fiori, niente dell’abbigliamento femminile che siamo abituati ad associare all’epoca dei Florio.
Con tutta probabilità, nessuna donna varcava mai la soglia del Circolo Unione, regno incontrastato della complicità maschile delle classi nobiliari e alto-borghesi.
Il Circolo Unione attraversa la storia cefaludese per la sua caratteristica di Circolo dei Civili, di “naturale contenitore di quel campione di uomini che, nei primi del secolo, per i difetti e le virtù possedute, per le personali e particolari condizioni di ambiente e di vita vissuta, riuscirono a impersonare comunque il carattere della cefalutanità” (Giuseppe La Calce De Franchis).
Nel 1930, riferisce La Calce, “il Circolo aveva le stesse sale di oggi, (1996, ndr), uguali mobili, le stesse cancellate, i medesimi portici”. Carlo Botta ne fu il primo presidente, carica che mantenne per oltre trent’anni. Nel Circolo avevano luogo i pettegolezzi, le discussioni politiche, le partite di poker. Anche in tempi più recenti, quelli descritti da Antonio Castelli nel suo libro “Gli ombelichi tenui” (Lerici 1962), che vi dedica parecchie pagine, l’atmosfera del Circolo appare immutata come l’arredamento: “Un gran salone, con un anello di poltrone e divani di un vivido rosso cardinale, grandi specchi alle pareti, un tavolo di mogano, il giornale del mattino…”. Nel capitolo “I talenti della noia” è descritta con ironia l’“attività” del tipico socio del Circolo, secondo lo scrittore basata sul pettegolezzo e “sforbiciamento”, al punto che, all’ora di chiusura, nessuno vuole lasciare il locale prima degli altri per timore che “gli venga letta la vita” dai soci restanti; oppure centrata sui commenti di fatti di cronaca, o sulle “previsioni del tempo” effettuate da qualcuno dei tanti colonnelli a riposo, presenti “in numero lampantemente sproporzionato rispetto alla popolazione così poco combattiva”.
L’immobilismo del Circolo Unione, la placida serenità dei suoi saloni e dei suoi abitanti viene scossa repentinamente un gennaio del 1978, quando si verifica qualcosa di assolutamente inaspettato, qualcosa che mai era accaduto e mai si pensava potesse accadere: un gruppo di donne si presentano, ciascuna con la propria domanda di iscrizione.
Sono donne del locale Circolo Udi (Unione donne italiane) e della Fidapa; è il periodo delle grandi battaglie per la parità dei sessi, e le organizzatrici del Circolo Udi hanno inventato questa “provocazione” per dare visibilità al tema. Il presidente del Circolo è allora Nino Giardina, il quale sorridendo risponde che se vogliono essere iscritte dovranno cambiare sesso: lo statuto centenario e mai modernizzato non prevede socie; le mogli potranno accedere accompagnate dai mariti quali “gentili ospiti”. Le domande sono respinte, e il giorno dopo un manifesto appare davanti al Circolo. “A Cefalù il tempo si è fermato!”, con il resoconto dell’accaduto. Il sociologo De Masi in vacanza a Cefalù è incuriosito e trasmette la notizia all’Ansa. Cefalù diventa meta di inviati speciali, si scrivono articoli, si susseguono le interviste. Un terremoto travolge la pacifica comunità del Circolo, si aprono dibattiti, si minacciano – e qualcuno mette in atto la minaccia – dimissioni se lo Statuto non sarà cambiato. Della faccenda si occupano il Gr1, il Corriere della Sera, Repubblica, Il Messaggero, La Stampa, tutti i maggiori giornali. I vari circoli maschili italiani sono in allarme, Il Corriere pubblica un “grido di dolore” del presidente del Circolo del Whist di Torino, viene denunciata una professoressa che aveva solidarizzato con le donne dell’Udi definendo i soci del Circolo “antiquati obelischi”, si verificano episodi di vandalismo nei confronti dei locali dell’associazione Udi e l’invio di inquietanti lettere anonime alle “ribelli”. Ma nel frattempo qualcosa è cambiato, al Circolo si discute, si valutano le nuove situazioni e le nuove esigenze sociali. Da allora niente sarà come prima e lo Statuto finisce con l’essere cambiato adattandolo ai tempi, e non solo per quanto riguarda il sesso ma anche per quanto riguarda le classi sociali. Così il vento di modernità apportato dalle donne fu benefico anche per questo sodalizio per troppo tempo ingabbiato in schemi ormai superati.
Per la prima volta Cefalù ebbe una rilevanza nazionale nei media, e paradossalmente fu proprio un organismo conservatore come il Circolo Unione a dare impulso – obtorto collo – a un movimento di avanguardia quale era, in quegli anni, quello delle donne a Cefalù.
Come sempre avviene, il punto di forza è anche, visto da un’altra angolazione, il punto di maggior fragilità. Il Circolo Unione, come abbiamo visto da questo breve excursus, ha rappresentato per tanto tempo una parte della collettività cefaludese ospitando culture e personaggi salienti e caratteristici della nostra “storia patria”, ma questa sua peculiarità lo ha reso estraneo al gruppo sociale dei “comuni” cittadini cefaludesi, non consentendo un richiamo affettivo, un attaccamento orgoglioso per questo edificio che nell’immaginario collettivo è vissuto come “invisibile”. E che invece esprime una parte importante e insostituibile del nostro patrimonio culturale e artistico.
Angela D. Di Francesca
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