Che cosa manca a Cefalù per essere libera?

Ritratto di Angelo Sciortino

27 Giugno 2014, 17:24 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Una visita allo scultore Roberto Giacchino mi ha suggerito le riflessioni, che seguono. Egli mi ha mostrato, infatti, una scultura su legno ancora non finita, che rappresenta la libertà sostenuta dalla cultura e appoggiata all'arte. Quando la scultura sarà terminata, sarà donata a un Comune madonita.

Ecco di seguito le riflessioni suggeritemi.

Diceva Paul Valéry che “il diploma è il nemico mortale della cultura”. Se fosse possibile esserlo, esso sarebbe molto più mortale, quando avesse un valore legale, come accade in Italia.

Se a questa riflessione aggiungiamo questa di Camus: “Senza cultura e la libertà che ne deriva, la società, anche se fosse perfetta, sarebbe una giungla.”, allora tutto diventa più chiaro.

È da queste riflessioni che dobbiamo partire, se vogliamo spiegarci perché a Cefalù oggi si vive come se si fosse in una giungla; perché oggi viene consentito anche ciò che è dannoso, magari servendoci dell'escamotage di definirlo non conforme, ma compatibile. Una definizione che nessuno ha voluto stigmatizzare come meritava, perché era pronunciata da un titolare di diploma. E non solo egli era ed è titolare di un diploma, ma in forza di tale diploma è pure un membro del peggiore dei tiranni, che l'uomo abbia avuto: la burocrazia.

Accade poi, come accade oggi a Cefalù, che i politici eletti a rappresentare i cittadini, anche per difenderli da questa tirannia, preferiscano invece stringere alleanza con essa, al fine di averli disponibili ad accettare le loro decisioni, anche quando esse sono frutto di arroganza e di clientelismo. Si genera così un circolo vizioso, che finisce con l'imprigionare ogni libertà.

Qualche spirito libero potrà magari denunziare quali e quanti pericoli si corrono, ma sarà difficile che egli ottenga ascolto da questo duplice potere, che o tace o reagisce con querele, sentendosi offeso o diffamato. Gli altri, tranne rare eccezioni, non intervengono e lasciano che il potere eserciti tutta la sua arroganza, unita a una incredibile incompetenza. Non intervengono, perché ritengono uno sforzo inutile opporsi e aspettano, invece, che si ripresenti l'occasione delle elezioni per cambiare.

Per cambiare che cosa, però? Nulla potrà essere cambiato, se non si provvede prima di tutto a cambiare se stessi; se non si prende atto che l'esercizio della democrazia e della libertà non può limitarsi all'espressione del voto, ma ha soprattutto necessità di partecipazione, che non può aversi, se manca la cultura. Soltanto con la partecipazione consapevole dei cittadini il “potere” limiterà la propria tirannia su di essi e rinuncerà anche all'esercizio della mistificazione, per coprire la propria incapacità a comprendere i problemi veri della società e a risolverli in modo corretto.

Che fare, allora? Invitare e aiutare tutti a costruire una cultura vera, dalla quale ricavare quella mente aperta, che sola può consentirci di difenderci.