LA CHIESETTA DELL’IMMACOLATELLA
Via Mandralisca Cefalù.
Sul lato nord della via Mandralisca, quasi di fronte al Museo, anche se poco conosciuta, esiste la piccola chiesa dell’Immacolatella. La sua costruzione, che risale al 1661, si deve al sacerdote Don Matteo Piscitello, cosa che lui stesso attesta in un suo manoscritto. Nel 1798 Don Francesco Alessandro Bianca aggiunge, nel suo manoscritto, che alla chiesa fu assegnato in dote un piccolo terreno dietro il regio castello e il privilegio dell’indulgenza plenaria per tutti i fedeli che si fossero recati in visita alla chiesa nel giorno della festa . Festa istituita dalla reale casa spagnola con ordine trasmesso a Cefalù, come si legge sul libro Rosso, dove è riportata la formula del voto di giuramento fatto dal magistrato in ossequio all’Immacolata Conceptione in data 8 dicembre IX IND. 1655. L’anno 1661 come data della fondazione è ripresa da Mon. Giuseppe Misuraca nel 1960 il quale aggiunge che in detta chiesa aveva sede la Congregazione del Santissimo Salvatore composta di ecclesiastici e laici i quali avevano il compito di assistere i moribondi, notizia suffragata dal fatto che nella stessa chiesa era custodito un quadretto a olio rappresentante la Buona Morte, oggi al palazzo vescovile, e dal vicino vicolo che porta appunto il nome della Congregazione.
Ubicazione della chiesa
NOTE BIOGRAFICHE SULLA FAMIGLIA PISCITELLO
I Piscitello hanno avuto in Cefalù radici profonde: famiglia facoltosa formata da ricchi uomini di mare e padroni di barche. Nel XVI secolo troviamo un certo Minico o Domenico che sposa una certa Jacopa che lo rende padre di Gaspano. Gaspano sposa nel 1581 Francesca Magliolo figlia di Cola e di Pasqua, dal loro matrimonio nasce Gian Maria. Gian Maria sposa nel 1624 Catarinella Cefalù e genera Antonina, Domenico e Matteo. Antonina nel 1650 a soli quindici anni sposa Paolo Di Maio. Domenico nel 1689 sposa Rosalia Di Cesare. Matteo diventa sacerdote e alla sua morte, avvenuta il 10 novembre 1701, lascia per testamento erede universale la chiesa dell’Immacolatella. L’attività del padre ricco e facoltoso padrone di barche fu continuata dal fratello Domenico. Si suppone che i resti mortali dei membri della famiglia siano stati tumulati nella cripta della chiesa dell’Immacolatella.
L'ESTERNO DELL'EDIFICIO
L’ edificio si presenta con una facciata semplice con il tetto a falde inclinate o a capanna, con un portale in pietra locale che fa da cornice alla porta d'ingresso con un architrave a forma di parentesi graffa con una palla in pietra al suo vertice: unico nel suo genere a Cefalù. Al centro del prospetto una finestra circolare o rosone e al suo vertice una croce in ferro incastonata in una sfera in pietra, con ai lati due cantonali a forma di freccia con sulle punte di ognuna una palla in pietra. I due prospetti laterali danno sui vicoli Immacolatella e Ferrara ed hanno al centro una finestra rettangolare a sguancio o strombata. La parte absidale, la sacrestia e un vano di sgombero che ha la funzione di campanile sono inglobati nelle successive costruzioni alle quali si accede dai due vicoli. Nella parte della costruzione che dà sul vicolo Ferrara, forse a suo tempo la casa canonica, è visibile, sul primo piano, la parte esterna della nicchia che adesso ospita la statua lignea dell’Immacolata. Da voce popolare si apprende che un privato negli anni cinquanta, poichè era abbandonata e con la porta d'ingresso legata con un pezzo di filo spinato, se ne appropriò e dopo avere compiuto le formalità di legge la vendette a gente proveniente da un paese delle Madonie: forse Pollina.
Prospetto sulla via Mandralisca Cantonali in pietra lumachella Finestra sul vicolo Portale in pietra arenaria
Basi in pietra lumachella
L'INTERNO COM'ERA
L’interno si presentava a un’unica navata, a pianta rettangolare, con il tetto, in origine visibile, a capriate, allo stato attuale celato da controsoffitto in canne e intonaco. In origine senza abside, con sopra la porta d’ingresso una balconata, sorretta da otto mensoloni in pietra lumachella, che sicuramente fungeva, vista la presenza di un organo a mantice da cantoria o da matroneo, al quale si accedeva tramite una scala a chiocciola posta sulla destra dell’ingresso. L’ingresso nella parte interna era fiancheggiato da due acquasantiere semicircolari in pietra lumachella ognuna sorretta da una colonnina di stile Rococò. L’altare era addossato alla parete principale con sopra una grande pala, oggi in seminario, rappresentante l’immagine dell’Immacolata ed era sollevato rispetto al pavimento di alcuni gradini.
Dipinto dell'Immacolatella dopo la pulizia nel 1969 , ca. 1,50 x 2,00
Le pareti erano dipinte secondo il gusto dell’epoca: figure di santi martiri, cartigli, vasi con fiori, puttini, volute e altro, artificiosi ma piacevoli. Davanti all’ingresso esisteva una botola di marmo dalla quale tramite una scala in pietra si accedeva alla cripta. Nel 1800 l’edificio subì radicali cambiamenti e forse in seguito al seppellimento di persone morte di colera fu imbiancato con calce viva per motivi igienici. In un secondo tempo per cercare di dare più spazio alla chiesa si utilizzò parte della casa canonica e sventrando la parete di fondo si realizzò un’abside alla quale si accedeva tramite un arco e dentro di essa, sempre sopraelevato, fu sistemato l’altare riutilizzando base e gradini originali e sopra fu realizzata una nicchia dove trovò posto una statua lignea dell’Immacolata. Ai due lati si aprirono due porticine e si realizzarono due vani che ricordano un po’ la protesi e il diaconico delle basiliche: uno ha la funzione di sacrestia l’altro di ripostiglio e di campanile. La balconata fu demolita e ricostruita più grande, i mensoloni che la sorreggevano depositati, per fortuna, dentro la cripta e la grande pala, una volta staccata, spostata e appesa sopra il matroneo, dove rimase per anni.
I MALDESTRI LAVORI DI RESTAURO DEGLI ANNI ‘60 / ‘70
Su interessamento di chi badava alla chiesa e grazie a un finanziamento di un benefattore italo-americano, mister Geppi, la chiesa subì restauri maldestri con modifiche e rifacimenti. Furono rifatti la pavimentazione, la facciata e il portone d'ingresso. Per l’occasione la tela che si trovava nel soppalco fu ripulita e portata in seminario. Due quadretti forse appartenenti alla congregazione del Santissimo Salvatore che, come già detto, aveva come sede la chiesetta furono ripuliti e anch’essi portati al Palazzo vescovile.
I due dipinti della Congregazione, ca. 30 x 40, donati poi al Vescovo Cassisa
Durante i lavori furono scrostate le pareti per poi procedere alla pitturazione e sotto lo strato d'imbiancatura a base di calce affiorarono delle pitture secentesche. Un conoscitore nel vederli si rese conto dell’importanza della scoperta e lo fece presente agli operai ma gli fu risposto che erano di poco conto e di scarso valore e quindi da coprire. Cosa che fu fatta dopo averle lavate con acido muriatico. Nel rifare il pavimento, la cripta fu aperta, i mensoloni della balconata furono tirati fuori e, per fortuna, trasformati in panche. La cripta fu richiusa e il pavimento rifatto. Le due acquasantiere furono trasformate in altarini coprendole con lastre di marmo dello stesso colore.
Le due acquasantiere trasformate in altarini
GLI ULTIMI RESTAURI
Passano gli anni e alle soglie del terzo millennio l’ edificio ebbe bisogno di lavori di manutenzione e si conferì l’incarico a un esperto in lavori di pitturazione e a un suo aiutante: Masetto e Saro per la cronaca. Fu montato un ponteggio in tutto l’interno ed egli con il suo aiutante si mise all’opera scrostando la vecchia imbiancatura. Erano appena iniziati i lavori quando uno studioso trovandosi a passare da lì, com'era sua abitudine fin dai tempi della signorina Vincenzina Di Francesca, che si occupava della chiesa, si fermò ed entrò. Da precisare che oltre ad essere da sempre uno studioso della Cefalù antica era anche un attento osservatore. Salito sul ponteggio, dopo un attento esame dell’intonaco, disse a Masetto di eseguire alcuni saggi in quanto sicuro che tutte le pareti fossero affrescate come quelle della chiesa di S. Maria al Borgo. Masetto un po’ intimidito li fece, dopo essere stato rassicurato che era esentato da ogni responsabilità ed ecco affiorare da sotto l’intonaco volute, cartigli, vasi con fiori, figure di santi martiri, ecc. Per correttezza professionale Masetto avvisò uno dei responsabili della chiesa il quale, per paura di noie da parte delle autorità competenti, sentenziò che si doveva coprire tutto lasciando visibile solo un cartiglio racchiuso in un medaglione di stucco. Per la cronaca il detto responsabile telefonò a Masetto ben due volte per sospendere il lavoro di scrostatura. Lo studioso avvisò il Diacono Don Vincenzo Camilleri, che era uno dei responsabili e, grazie a lui, il lavoro continuò. Come per incanto sotto le abili mani di Masetto e di Saro affiorarono quasi tutte le pitture: cartigli, puttini, fiori, volute, figure varie e in alto quelle sbiadite dal lavaggio con l’acido: una con in mano una palma, sicuramente una martire; degli elementi architettonici ed altro. La finestra rotonda, al suo interno, è contornata da festoni e fiancheggiata da due figure femminili: una con in una mano una palma e sull’altra uno stendardo che svolazza con dipinta una croce rossa, l’altra con in una mano una palma e sull’altra una croce. Poi Santa Cecilia con il suo spartito e dietro un organo. Sono dipinte anche le pareti che affiancano la scala a chiocciola che porta al soppalco. In definitiva tutto l’interno era in origine un’esplosione di pitture: esse vanno oltre il controsoffitto e toccano le capriate del tetto. Fu trovata una soluzione contro il salnitro da passare sulle pitture, soluzione che fu acquistata in un negozio specializzato di Palermo, cosa che fecero con zelo Masetto e Saro.
Decorazioni delle pareti laterali
S. Cecilia, sul lato destro della Cantoria
Decorazione intorno al rosone sul fronte
S. Cecilia e altre figure
Il controsoffitto che taglia gli affreschi e nasconde le capriate della copertura
Decorazione floreale sull'arco dell'abside
Le decorazioni sbiancate con l'acido nel 1968
Decorazioni nella parte bassa delle pareti laterali
Per concludere c’è soltanto da ringraziare chi, con passione e competenza, ha realmente scoperto gli affreschi riuscendo a preservarli e sarebbe corretto che gli venisse pubblicamente riconosciuto questo merito, e varrebbe la pena di approfondire lo studio di questa piccola chiesa.