18 Giugno 2014, 15:31 - Angelo Sciortino [suoi interventi e commenti] |
A metà degli anni Ottanta Cefalù era passata, da oasi in un deserto di mentalità mafiosa, a oggetto delle attenzioni della mafia stessa, che trovava in essa un ricovero sicuro dal controllo poliziesco, perché la vita vi si svolgeva in tutta tranquillità sociale, ma anche la possibilità d'investirvi, visto che il suo turismo ne aveva fatto il secondo polo della Sicilia.
Ad alcuni mafiosi bastò trovarvi referenti locali dediti all'imprenditoria e associarglisi. In questo modo essi investivano senza alcun timore i proventi delle loro attività illecite svolte altrove e si preparavano a recitare il nuovo ruolo di integerrimi imprenditori.
Questa scelta di Cefalù come rifugio fu necessaria, perché Falcone e Borsellino, insieme a molti loro colleghi magistrati, avevano dato impulso alla loro battaglia contro la mafia a partire dai primi anni Ottanta, forti della collaborazione dei primi pentiti, fra i quali spiccava Masino Buscetta, che proprio a Cefalù aveva un suo referente.
E così, dopo le centinaia di omicidi ripetutisi negli anni precedenti a Palermo, furono arrestati oltre quattrocento uomini legati a vario modo alla mafia. Alcuni di costoro si diedero alla latitanza e trovarono rifugio tra Caccamo, Termini Imerese e Cefalù. In questi paesi potevano contare sul sostegno di altri associati ben inseriti nel loro ambiente, ma a Cefalù potevano contare in particolare sul sostegno di quelli che potremmo definire gli utili idioti.
Costoro erano certamente degli insospettabili, ma erano nelle mani di colui che in quell'epoca era in grado di decidere persino della vita e della morte dei disubbidienti. Non per nulla Cefalù e il territorio vicino furono funestati da omicidi, fino a oggi rimasti impuniti. A ciò aggiungasi che, essendo cresciuta enormemente l'influenza statale con le sue sempre più numerose regole, oltre alla politica guadagnò potere anche la burocrazia. Con l'una e con l'altra i mafiosi trovarono un'ulteriore possibilità di connivenze, che permise loro d'imporsi anche in forza del loro essere garanti dell'accresciuto clientelismo: vuoi una licenza a costruire; vuoi un posto di lavoro; vuoi che tutto proceda con più celerità? Bene, rivolgiti a chi è ammanigliato.
E così questo Paese, un tempo oasi felice, fu inghiottito dal deserto dell'illegalità. Qualcuno per fortuna si ribellò e con una sua denunzia permise l'apertura di indagini, che scoperchiarono questo pentolone di connivenze. La conseguenza fu il cosiddetto blitz delle Madonie, al quale non seguì però un approfondimento delle indagini, per cui tutto si concluse quasi con un vogliamoci bene, che lasciò ancora potere a chi fino a quel momento non l'aveva gestito nell'interesse della società.
Da allora sono trascorsi trent'anni e chi allora denunziò è ora quasi un vecchio. Non ha le forze per difendersi, come si difese allora, né la sua mente è capace di grande memoria. Queste debolezze fisiche e mentali ne limitano l'azione, che il suo cuore lo spinge a compiere. Se ne resta pertanto impotente a guardare come attorno a lui tutto è tornato come allora. Di tanto in tanto vorrebbe intervenire, ma glielo impedisce persino la possibilità di verificare di persona quante e quali sono le realtà che sono figlie di un'atmosfera simile a quella degli anni Ottanta, anche se con l'assenza di colui che può comandare, perché ormai troppi sono coloro che comandano in un mondo povero e senza futuro. Il mondo di Cefalù, in cui basta creare lavoro, perché tutti accettino ogni offesa a loro stessi e al loro Paese. Quel Paese che sarebbe ancora una meta prediletta, se, invece che a comandare e guadagnare, in tanti pensassero con più raziocinio.
Ecco perché scrivo, pur sapendo dei rischi che corro e delle inimicizie che mi procuro. Spero che qualcuno mi ascolti e faccia qualcosa per evitare il ripetersi delle situazioni ante anni Ottanta.
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