Seconda classe

Ritratto di Giuseppe Maggiore

7 Giugno 2014, 19:12 - Giuseppe Maggiore   [suoi interventi e commenti]

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SECONDA CLASSE
 ("in girum imus nocte et consumimur igni"...
...andiamo in giro di notte e ci consumiamo nel peccato...)

di Giuseppe Maggiore

 

Anche questa è una rivisitazione di un racconto a suo tempo pubblicato su “Il Corriere delle Madonie”, di sana memoria, che qui ripropongo per una nostalgica rievocazione di un tempo che fu (fugit irreparabile tempus!).

 

Un caro mio amico e maestro di vita, che non vedevo da tempo, noto per le sue rocambolesche avventure e per i suoi vittoriosi assalti a cuori femminili, esperto d’alcove e di collaterali scienze, che ebbi la ventura d’incontrare avant’ieri in occasione d’un familiare genetliaco, mi mise a parte della sua ultima conquista, che, per pubblico diletto o per universale riprovazione (a seconda dei personali punti di vista) vi riporto fedelmente qui appresso, così come mi è stata riferita, senza nulla aggiungere e nulla togliere, appunto per non intaccarne la freschezza.

 

“… Avvenne sul treno. Di notte. Di ritorno dal viaggio. In uno scompartimento di seconda classe. Sul sedile gremito di gente immersa nel torpore del primo sonno ritmato dalla regolare e monotona cadenza del convoglio in corsa sui binari.

Lei, stanca, era addossata a me; dormicchiava. E pure io dormicchiavo. Le teste inconsapevolmente reclinate, l’una verso l’altra, si sfioravano cullate dal dondolìo del treno.

Poteva avere venticinque anni. Eravamo entrambi giovani. Non la conoscevo neppure. Era salita con un coetaneo ad una stazione subito dopo Roma; poco dopo lui e lei si erano salutati e lui era andato via. Sicuramente era sceso ad un’altra fermata.

E lei era rimasta sola nel mio scompartimento. S’era seduta accanto a me, nell’unico posto disponibile. Era bionda di capelli e con gli occhi verdi, d’un verde intenso che riassumeva i molteplici colori del mare invernale. Ben formata. Indossava l’abito che imperava in quel momento: una minigonna abissale scura e una camicetta jeans.  

Il convoglio, intanto, correva nella notte, attraversando contrade anonime e paesi inconosciuti o irriconoscibili.

Fu, certamente, uno scossone più consistente degli altri o una brusca frenata che fece sfiorare anche le nostre labbra. Inconsapevolmente. E, sempre inconsapevolmente, poi fu il bacio. Un bacio impensabile, impremeditato, lunghissimo, caldo, disinibito, disponibile, spudorato, insinuante, liquefacente: un contatto infuocato, favorito dal dormiveglia, fra una naiade vogliosa che durante un’ipotetica vacanza s’era nutrita, certamente, di sesso, di cibo, d’aria e di svago, e un siciliano sempre pronto a ricominciare.

Ma, improvvisamente, lei si svegliò, di scatto; e, rendendosi conto dell’inusitato contatto, si ritrasse repentinamente come se fosse stata morsicata da una serpe.

“Che sta facendo?!” proruppe, risentita.

“E lei?” feci io, con una certa ironia.

“Che risposta è questa?!”  continuò lei con evidente stizza  “Lei mi stava baciando! Le sembra poco?!”

“Abbassi il tono della voce”  le consigliai  “Potrebbe svegliare gli altri e chissà cosa penserebbero”

“Che bel tipo che è lei!”  osservò, piccata, la fanciulla   “Approfittare, così, di una donna debole e indifesa… mentre dorme!”

“..Bè, indifesa non direi proprio….Non vede con che foga sta difendendosi adesso?”

“Si, ma prima mi ha dato un bacio! Se ne ricorda!?”

“E come potrei dimenticarlo! E’ vero. Più di uno, per la verità… Ma anche lei me li ha restituiti tutti…”

“...Così è?...”

“Così è!”

“Che potevo fare… non sapevo che facessi… dormivo…”

“Se me li ha ricambiati, anche nel sonno, vuol dire che sentiva di darmeli. Non le sembra?  Il che dimostra che si sente attratta da me!”

“Ma se nemmeno la conosco! Senti questo! Attratta da lei! Ma chi le mette in testa queste idee? Lo sa che è un bel vanitoso?”

“Grazie per il  - bel - …”

“Ah! Così la prende, invece di scusarsi?.....  Ho detto - bel - tanto per dire, in tono ironico. Non si capisce? Avrei dovuto darle del bellimbusto, piuttosto!”

“L’aggettivo - bello -  c’è sempre, comunque!”

“Noto che lei coglie solo il lato positivo delle cose. Ciò che le torna utile, insomma, e tralascia ciò che non le conviene. Non è così?”

“Perché, è sbagliato? Dovrei fare altrimenti? Bisogna essere sempre ottimisti, per vivere meglio. Non  le pare? Il mio è un pregio; non un difetto.”

“E ha sempre la parola pronta, vedo. Non si scoraggia mai, lei!”

“Dovrei farlo?”

“Che cosa?”

“Scoraggiarmi”

“Ma, allora, continua! E’ recidivo, eh?”

“Ma continuo a far che?”

“A sgusciarmi dalle mani come un’anguilla, qualsiasi sia l’argomento che stiamo trattando!”

“Ah, perché, stavamo trattando un argomento?”

“Bè, ho capito: lei ha voglia di scherzare! Sono capitata con un burlone!”

“E va bene! Non scherzo più. Sarò serio. Mi chieda ciò che vuole, se vuol chiedermi qualcosa”

“Io non ho da chiederle niente. Ma una cosa, per curiosità, vorrei saperla”

“Dica pure: sono tutto orecchi.”

“Mi dirà la verità?”

“Lei faccia la domanda; poi vedrò.”

“Ebbene, eccola: fà così con tutte, lei? Eh?”

“Le dò, proprio, questa impressione?”

“Veramente si…”

“E si sbaglia! Io sono una persona seria! Che crede!”

“Seria?…Bè, lasciamo andare!”

“Quindi non mi crede, eh?”

“Dovrei crederle?  Come posso, dopo il suo atteggiamento di poco fa?”

“Allude al bacio, per caso?”

“E a cosa dovrei alludere se non a quello?”

“E allora ci risiamo: torniamo al discorso di prima… Così non la finiamo più, cara amica!”

“Ah, siamo anche diventati amici, ora?”

“Le dispiacerebbe?”

“Insolente! Ecco quello che è: un bellimbusto insolente!”

“Ma sempre - bello - però!”

“Ah, ma allora lei è di legno! Non vuol capire che deve smetterla di scherzare?”

“No, no. Non  scherzo più...Piuttosto vorrei farle una domanda, io, adesso, se me lo permette...posso?.....Non vorrei abusare...”                                                                                         

“Si è permesso, prima, cose ben più gravi…Che fà, è rientrato nel seminato? Bè, faccia la sua domanda. Sono proprio curiosa di sapere cosa ha da chiedermi”

“Solo questo: ha provato piacere quando l’ho baciata?...”

“Perché, avrei dovuto provarne?”

“… Non so…Glielo sto chiedendo…”

“Queste sono domande che non si dovrebbero mai fare ad una donna”

“Perché, scusi?”

“Perché… perché non potrei mai essere sincera, ecco perché…”

“E perché, scusi, non potrebbe mai essere sincera, eh?”

“E’ disdicevole per una donna consegnarsi  legata mani e piedi al nemico…”

“Al nemico! Legata mani e piedi al nemico! Perché, sarei io il nemico? Ma che ragionamenti fà?..”

“Proprio così. Se le dicessi che m’è piaciuto, non si sentirebbe lei autorizzato a riprovarci?”

“… Magari!…”

“Ecco, vede?”

“Ma, no. Dicevo così per dire…”

“Per dire! Non sia ipocrita! Conosco perfettamente la mentalità maschile!”

“E, allora, le dico che io non sono così!”

“Già! Lei non è così!  E com’è, allora?”

“Non sono così e basta. Le ripeto: sono una persona seria!”

“Certo, che mi può dire lei?”

“Solo la verità! …. Allora, non le è piaciuto, il bacio, si o no?...”

“… Potrei dirle che… non mi è piaciuto…”

“Viva la sincerità!”

“.. Ma potrei.. anche mentire…”

“Allora... le è piaciuto?...”

“Chi l’ha detto?”

“Lei me lo fà capire”

“Io non le faccio capire un bel niente! E’ lei che ha fatto tutto!”

“Crede?”

“Insomma, dove vuole arrivare con la sua loquela? Cosa vuole ancora da me?”

“Che mi dia un altro bacio!”

“Ah, si? Sfacciato! E a che titolo?”

“Intanto me lo dia. A che titolo ci pensiamo dopo…”

“Spiritoso! Da dove le prende tutte queste battute, dal sacco?”

“Non porto mai sacchi, come vede…”

“Spiritoso due volte! Risponda, piuttosto. A che titolo vorrebbe un altro bacio?”

“… A titolo… a titolo…”

“Ecco, lo vede? Non lo sa neanche lei. Lo so io, invece, a che titolo lo vorrebbe… e non faccia la vittima con l’espressione… Lei ha tutte le migliori intenzioni di portarmi a letto… Non è così? Eh?.. Confessi!”

“Eh, via, a letto!... Che dice mai!.. Semmai, al divano…”

“Ma come mi fa ridere, lei, con queste sue battute cretine! Non si accorge che mi conferma appieno l’immagine che mi son fatta di lei? Quella di un volgare pappagallo da strada! Al suo posto mi vergognerei di giocare al gatto e al topo!”

“Perché, io sarei il gatto e lei il topo, eh?”

“La smetta!”

“Ma se ho detto solo una battuta!”

“No, no! Non è solo una battuta!.. Tante volte, scherzando scherzando, affiora la verità e ci palesiamo per quello che veramente siamo: dei subdoli individui con l'intento, subdolo o palese, di abbindolare il prossimo!”

“Il fatto è che lei è una formalista della più bell’acqua!”

“Formalista, io? Ora passa all'attacco? Si fà presto a dire formalista, quando non si ha altro da dire!”

“E, allora, me lo dà? Si o no?”

“Ancora col bacio! Non demorde, lei! Insiste! E’ la sua tecnica, questa, per ottenere qualcosa: quella della goccia d'acqua che tanto cade sino a bucare la pietra?”

“… E anche se fosse?”

“… Per lo meno, debbo ammettere che non è  ipocrita…”

“Se n’è accorta? Ho molte altre buone qualità, anche…”

“Davvero? E quali sarebbero?”

“Sono onesto, sincero e leale…”

“Leale? Uhm. Ho i miei dubbi che lei sia leale”

“Perché, cosa le fa pensare che io non lo sia?...”

“Niente di concreto, in verità… D’altronde, non la conosco nemmeno. E così un dubbio m’è venuto.. “

“Ah, un dubbio! E per un semplice dubbio, senza alcuna prova concreta, si manda un bravo giovane come me allo sbaraglio?”

“Come, allo sbaraglio? Io non la sto mandando per niente allo sbaraglio! Cerco, soltanto, di farle capire una volta per tutte che desidero essere lasciata in pace. Questo significa mandarla allo sbaraglio?”

“Eccome no!  Non volendo darmi ancora un bacio (perché le ricordo che prima me ne ha ricambiati già parecchi!) mi condanna a pensare sempre a lei e a questa occasione perduta. Altro se non è sbaraglio, questo!”

“Ah, la mette su questo piano?”

“E su quale piano vuole, allora, che la metta?”

“Ma bravo! Anche il ricatto, adesso! Vuole lasciarmi col rimorso! Che tecnica!  Falliti altri tentativi, ora cerca di prendermi dal lato sentimentale! Ho capito perfettamente che stratega è lei!”

“Pensi ciò che vuole. Ma il fatto, quello che è, resta”

“Mentre, se le dessi un altro bacio?…”

“Bé, se mi desse un altro bacio, io mi troverei più che soddisfatto, non pretenderei più nulla e la partita sarebbe definitivamente chiusa, con buona pace sua e mia!”

“Definitivamente??!!”

“Glielo giuro!...”

Quasi quasi sarei tentata di darglielo questo benedetto bacio; così non avrebbe più altre scuse da accampare…”

“E me lo dia, allora e finiamola! Non perda tempo!”

“Mi dà la sua parola che poi mi lascerà in pace?”

“Le sottoscrivo anche una dichiarazione giurata, se vuole”

“No, non ce n’è bisogno; voglio fidarmi…”

E mi porse di nuovo le rosse labbra, all’apparenza vogliose come non mai, con una remissività insospettabile e, comunque, degna di miglior causa.

Io non stiedi là a perder dell’altro tempo e m’incollai ad esse come il naufrago al rottame alla deriva. Chiusi gli occhi e mi persi nel vuoto incolmabile di quell’appassionato momento. La mia mano, sbadata, scendendo dal di lei viso dove carezzevolmente indugiava, ai fianchi, non le s’impigliò nel corpetto e non le fece saltare un bottone, l’unico, quello deputato alla chiusura dell’ampio spacco frontale del vestito, causandone la provvida apertura?

Ma ella neanche se ne accorse, impegnata, così com’era, nell’improvviso certame. Lo spazio intorno a noi divenne esiguo e più volte mi trovai a pestare qualche callo a vicini dormienti.

Alla buon’ora! Non potevo, mica, distrarmi per simili inconsistenti inezie. Non so se fossero scintille, quelle che vedevo a tratti negli occhi di lei o luci riflesse di qualche dimenata stazione dinanzi alla quale il treno transitava a grande velocità.

Né so dirvi quanto durò l’incontro. Il fatto si è che m’immersi talmente in esso da perdere completamente la nozione del tempo e dello spazio.

Quando, poi, ritornai a far parte cosciente dell’esistenza (la mia buona stella me ne fè benignamente grazia) era già giorno chiaro e il treno era fermo sul traghetto per Messina; ma mi avvidi che la mia dolce compagna non c’era più. Non sapevo né come si chiamasse, né dove fosse andata.

La cercai un po’ sul ponte e al ristorante della nave; tuttavia infruttuosamente. Evidentemente era scesa a qualche stazione precedente.

I miei compagni di viaggio avevano mutato fisionomia ed io, sconosciuto fra sconosciuti, mi sentii veramente solo in mezzo a loro…”

 

 

Il narratore concluse il suo racconto, mi gratificò di un largo sorriso (che mi diede contezza del fatto ch’egli avesse urgente bisogno di sottoporsi alle intense cure di un bravo dentista) e, guatandomi, con lieve tono di commiserazione constatò: “.. Vedi, a te avventure di questo tipo non ne potranno capitare mai; perche tu mai viaggi…”.
E’ vero. Tranne che per raggiungere il “Granato”, io non mi muovo mai; e in questo breve tragitto, sempre coperto con mezzi personali, è difficile che capitino.
Ma non bisogna mai disperare; chè l’inconoscibile sorte che ci governa a volte premia le insospettate ed insopite attese.

 

Cefalù, Aprile 1994.                                                                                                                                  Giuseppe  Maggiore