Rosario Mileo: “libertà va cercando…”

Ritratto di Rosalba Gallà

21 Maggio 2014, 08:10 - Rosalba Gallà   [suoi interventi e commenti]

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ROSARIO MILEO: “libertà va cercando…”

di Rosalba Gallà

 

Presentare l’artista Mileo obbliga ad operare delle scelte, perché la sua produzione è così vasta e così varia per temi, contenuti, stile, tecniche e linguaggi da rendere inevitabile ritagliare un percorso, uno dei tanti possibili, e per questo sicuramente parziale e opinabile, e siccome sono scarse le notizie relativamente alla data di realizzazione delle sue opere, se non per qualche eccezione, risulta complesso riuscire a cogliere lo sviluppo, l’evoluzione e la maturazione dell’artista. Poche sono le certezze e sono relative agli anni ’70, in particolare al triennio 1975-77, a quella che possiamo definire la fase più matura dell’esperienza esistenziale e artistica di Mileo, che morirà nel 1982. Sono anche gli anni in cui partecipa a diverse mostre, rendendo visibile ad un pubblico più vasto la sua produzione, e quelli relativi ad una permanenza di qualche mese in Francia.

A questo periodo risalgono alcune opere pittoriche (sette per la precisione) datate dallo stesso artista, opere da cui si può prendere l’avvio per cercare di entrare nel mondo creativo di Mileo, procedendo più per ipotesi che per tappe certe e lasciandosi guidare dalle forme e dai colori più che da categorie astratte, ribadendo che si tratta di uno dei tanti percorsi possibili e, devo ammettere, il meno naif. Il titolo dell’iniziativa e della mostra è “Che strano naif questo Mileo”, affermazione di Michele Cutaia, che vuole evidenziare come il nostro autore, forse ingenuo e spontaneo in alcune sue manifestazioni artistiche, soprattutto in quelle giovanili, in realtà naif lo fu poco o, comunque, fu  un “naif colto”.

Credo, infatti, che dietro alla maggior parte delle opere che ho potuto visionare vi sia una certa ricerca e sicuramente conoscenza e consapevolezza di quelle che erano state le maggiori correnti avanguardistiche del ‘900. D’altra parte, ha frequentato dal 1919 al 1925, anche se in maniera discontinua e senza conseguire il titolo di licenza, la Regia Scuola Professionale di Disegno fondata nel 1905 da Diego Bianca Amato, e ha avuto come insegnanti lo stesso Diego Bianca Amato, fine ebanista e liutaio, che sicuramente lo avrà aiutato in quello che sarà il suo lavoro di falegname e intagliatore, Giovanni Ferrara per la Cultura generale, Salvatore Culotta, per l’aritmetica e la geometria,  e soprattutto Paolo Cicero, insegnante e bravo pittore di Castelbuono, morto prematuramente nel 1932, a cui è stata dedicata una mostra retrospettiva nel 1995 nella sua città natale. Mileo seguì, inoltre, in maniera episodica e fuori dai regolari corsi, qualche lezione in Accademia.

Pippo Forte testimonia il fatto che Mileo frequentasse il centro di cultura tedesco Goethe di Palermo, dove si tenevano incontri e mostre d’arte e visitava gallerie di pittori del Novecento. Questo sicuramente ha avuto effetti importanti sulla sua formazione e sull’educazione del suo gusto che lo condussero ad una produzione ampia e variegata, al cui interno è complesso muoversi. A questo bisogna aggiungere che, viste le precarie condizioni familiari ed economiche, probabilmente dipingeva adeguandosi a richieste stilistiche precise, nella speranza di racimolare qualche soldo: da questo punto di vista è interessante la testimonianza del signor Pino Curcio che parla di due opere realizzate nello stile di Picasso per andare incontro al proprietario del bar che si trovava dove sarebbe poi sorto l’Ufficio postale, alla Villa per intenderci. Tutto ciò ci fa comprendere come queste sette opere, pur essendo contemporanee, sono in realtà molto diverse tra di loro e riconducibili a correnti artistiche diverse.

 

 

Opera che per certi versi può rientrare nell’ambito dell’astrattismo, in realtà presenta elementi di complessità, per una serie di ragioni: sicuramente risente della tendenza del cosiddetto cubismo analitico, in cui le forme vengono ridotte ad elementi semplici, i piani sono scomposti, ribaltati e assemblati senza tener conto delle regole della prospettiva. In questo caso la scomposizione cubista della realtà è complicata dalla presenza di particolari elementi figurativi (e in questo senso ricorda Braque, uno dei massimi esponenti del cubismo), a cominciare dalla parte centrale del quadro in cui, delimitato da un capitello, si apre uno spazio esterno dove è facilmente riconoscibile un sentiero, una serie di cespugli e un albero. La stessa apertura si ha in basso a destra. È come se emergesse l’esigenza di andare oltre i limiti spaziali dominanti e si imponesse il bisogno di una fuga verso profondità libere. È un tema ricorrente anche in altre opere, espressione, probabilmente, del desiderio di superare i limiti esistenziali in cui Mileo si sentiva costretto, con riferimento anche alle sue dolorose vicende biografiche.

 

 

“Guardo i dipinti di Rosario Mileo e vedo in essi la perfetta sintesi del Novecento. Uno in particolare, e che a me sembra il più bello, potrebbe benissimo esserne un manifesto. È una composizione in cui s’intravedono i più disparati strumenti di lavoro, mescolati ai tipici attrezzi dei pittori, al centro, esaltato da geometrie squisitamente pittoriche, un pesce. Semplicemente questo, ma in quel pesce e in ciò che lo circonda, c’è tutto Carrà, tutto Sironi, tutto Marussing, tutto De Chirico. Tutto il Novecento, appunto, quel terribile e meraviglioso secolo che in pittura, come in letteratura, ha dato quanto di meglio l’arte può dare” (Matteo Collura, Per Mileo, nel Catalogo della Mostra)

Sicuramente quest’opera risente della tendenza metafisica nella pittura e, a mio parere, per scendere più nel dettaglio, c’è il richiamo all’opera La nostalgia dell’ingegnere di Giorgio De Chirico o a La camera incantata di Carlo Carrà.

In queste opere, come in quella di Mileo, l’accostamento di oggetti eterogenei dà all’osservatore l’impressione di trovarsi di fronte ad un rebus la cui interpretazione e soluzione è tutta nelle sue mani, senza un indizio da parte dell’autore che, anzi, sembra voler confondergli le idee. Nell’opera di Mileo emergono elementi legati alla cultura, come i libri in alto, legati al mondo dell’arte, come gli attrezzi sparsi nell’opera, e al lavoro manuale, come la ruota dentata ed altri oggetti. Tutti questi elementi ritornano in altri dipinti, come a dire che la cultura, l’arte e il lavoro fossero i valori fondamentali della vita del nostro artista.

 

 

In questo caso, si può parlare più semplicemente di astrattismo geometrico, che si caratterizza per particolari e arditi accostamenti cromatici.

 

 

Quest’opera può essere collocata tra surrealismo e cubismo orfico e ricorda, soprattutto per i colori e le forme, alcune opere di Robert Delaunay e, soprattutto, della moglie Sonia, che si allontanarono dall'ortodossia del cubismo, fondando la corrente che Guillaume Apollinaire definì orfismo (termine che deriva da Orfeo, mitico musico della mitologia greca) per l’intima natura musicale, in cui la scomposizione e ricomposizione del colore creano figure che acquistano un valore autonomo, indipendente dagli oggetti rappresentati, donando ritmo alla superficie pittorica, con effetti di simultaneità e dinamismo. Il legame ad Orfeo è esplicito nelle note, quasi ali di questo vascello misterioso che non scivola sulle acque del mare, ma vola, quasi mongolfiera. Surreale la figura umana e tutta la composizione in cui sono presenti elementi decorativi che si ripetono in altre opere di Mileo, in particolare gli elementi conici, quelli marini e quelli sinuosamente avvolgenti, come virgole, che esaltano la sua sensibilità per il colore e le forme dinamiche.

 

 

È sicuramente l’opera più complessa, realizzata per un concorso presso il Conservatorio di Parigi. In basso a destra si può leggere la scritta “Fondateur Bernard Sarrette 1795”

Bernard Sarrette fu un musicologo e militare francese (fece parte della Guardia Nazionale nel corso della Rivoluzione francese, dove curava la banda musicale), fondatore di una scuola di musica che appunto nel 1795 assunse la definizione di Conservatorio.

In questo dipinto, i monumenti in alto a destra sono quelli di Bordeaux, perché lì era nato Sarrette; le sette fanciulle, con gli abiti di diverso colore, possono considerarsi allegoria delle note musicali; il pentagramma riproduce le note de La marsigliese; il leone alato che campeggia su strumenti musicali può essere interpretato come riferimento a Venezia e alla  Scuola veneziana, espressione con cui si intende l’insieme dei compositori operanti nella città dal 1550 al 1610 e la musica da loro prodotta, che si caratterizzava per le composizioni  policorali  e per lo stile antifonale che risolveva il problema del ritardo del suono provocato dalle grandi dimensioni Basilica di San Marco. Inoltre, per la prima volta, i gruppi di cantori furono accompagnati da strumenti musicali: questo spiegherebbe il leone alato sugli strumenti. La parte a sinistra è di difficile interpretazione: potrebbe trattarsi, vista la presenza di animali e la particolare disposizione, di un omaggio al pittore Chagall, appassionato di musica.

 

 

Opera contemporanea a quelle precedenti, ma legata all’iconografia religiosa tradizionale, realizzata forse per partecipare alla mostra “San Francesco e le sue opere”.

 

 

Negli anni ’70 realizzò una mostra all’interno del Club Mediterranee e in quell’occasione fece stampare questa cartolina, tratta da una sua opera realizzata per l’occasione, cosa di cui andava fiero.

Fino ad ora, le opere datate: quelle seguenti, invece, non hanno indicazioni temporali.

 

 

Questo dipinto potremmo considerarlo il manifesto del cubismo di Mileo e anche in quest’opera è presente una veduta esterna rispetto all’agglomerato di elementi geometrici. Dal suo esame, io presumo che l’autore conoscesse bene opere di artisti di livello internazionale come, ad esempio, Case all’Estaque di Georges Braque, nei  confronti della quale per la prima volta venne utilizzato il termine “cubismo”, indicante la scomposizione della realtà in forme geometriche elementari; oppure Fabbrica di mattoni a Tortosa di Pablo Picasso e Il castello di La Roche-Guyon di Braque. Tra l’altro, Braque era reduce dall’esperienza fauve e dall’uso dei colori vivaci e squillanti,  e questo è possibile che abbia influito sulle tre opere seguenti dove, alla riduzione cubista delle forme e all’assemblaggio dei singoli elementi, si aggiungono forti elementi cromatici. Interessante la cornice lignea di una delle tre opere, realizzata dallo stesso Mileo.

 

Un esempio di astrattismo

 

 

Nelle opere seguenti l’arte di Saro Mileo si complica con il surrealismo, in maniera sempre più netta ed evidente. Lascio al lettore e all’osservatore l’analisi dei vari quadri, all’interno dei quali è possibile compiere un ‘viaggio’ alla scoperta di figure, forme, immagini che sviluppano e approfondiscono quanto detto sino a questo momento, invitando  alla visione diretta delle opere esposte presso la Corte delle Stelle di Cefalù, dove è possibile trovare anche il catalogo e il CD.

 

 

Per renderci conto della poliedricità stilistica dell’artista Mileo, ho voluto, a titolo di esempio non esaustivo, porre a confronto alcune opere relative allo stesso tema, ad esempio due nudi di donna.

 

 

Nella prima opera, a parte le figure inquietanti sullo sfondo, la pennellata è indecisa, i lineamenti approssimativi, il tratto incerto; nella seconda, l’immagine è scultorea, plastica, prorompente di fisicità.

Altri contrasti sono evidenti nella rappresentazione di ambienti.

 

 

E’ evidente l’azzeramento cromatico nelle opere dove le figure umane sono assenti o scarse, l’uso esasperato e, talvolta, improbabile del colore dove c’è la presenza umana. Forse il colore, quello della vita, per Mileo nasceva solo dalla presenza degli altri, presenza che può ravvivare la tristezza di una vita solitaria.

Interessanti, nella produzione di Mileo, anche le opere scultoree, anzi, bisogna evidenziare che lui si considerava fondamentalmente uno scultore.

 

 

Questo è il modello del monumento ai picciotti, per un concorso nella ricorrenza dell’impresa dei Mille: opera di grande modernità, supera il figurativismo per approdare a pure forme prismatiche dal forte valore simbolico: due piramidi a base triangolare si incontrano nel vertice, mentre un tripode collega la bassa piramide inferiore con quella capovolta, tripode che in realtà non ha alcuna funzione di sostegno. Solo sulla base sono presenti figure, rappresentate come in movimento. Saro Mileo, “verosimilmente, aveva previsto quel progetto in grande, fuso nel bronzo, a sovrastare una piazza. Egli, ispirandosi, forse inconsciamente, alla rigorosa poetica del Neoplasticismo, pervenne alla pura astrazione delle forme con quell'insolita, complessa, struttura piramidale, rivelando ai posteri il suo simbolico messaggio universale - secondo le sue intenzioni - di tante eroiche vicende umane […] come un incontro tra stalattiti e stalagmiti, a simboleggiare, forse, una clessidra che scandisce lo scorrere del tempo”. (Michele Cutaia, nel Catalogo della mostra).

 

 

Di grande modernità la figura femminile, tra cubismo e futurismo, essenziale nelle sue forme stilizzate, ma nello stesso tempo espressiva e dinamica.

Poi ci sono i lavori di intaglio del legno, in fondo il suo vero mestiere, dove l’artista manifesta la sua esperienza e perizia.

 

 

In questo portone, emerge tutta la sua maestria di intagliatore: nella fascia centrale è rappresentata la scena biblica relativa ad Adamo ed Eva e al peccato originale; in alto e in basso, figure di animali.

 

 

Utilizzando le parole di Italo Piazza, si tratta di “un manufatto ligneo che rappresenta il volto bellissimo di Gesù sofferente, in legno di olivo”. Probabilmente è la stessa opera  di cui parla Domenico Portera ne Il libro d’oro della città di Cefalù (Marsala editore, 2001) ma, se così non fosse, resta il fatto che le sue parole aderiscono perfettamente a questa scultura:  “Un volto del Cristo in legno, sua composizione quasi giovanile, costituisce, a mio modo di vedere, una delle sue maggiori opere. Ma la sua innata modestia, portata quasi agli estremi dell'indifferentismo o della bizzarria, gliel'ha fatta considerare qualcosa di secondaria importanza. Invero, si nota in questo volto tutto il tormento umano che è in un'ultima analisi, la trasposizione del proprio io in Cristo, simbolo del dolore umano”.

E infine le sculture in pietra lavica, di cui è facile parlare visto che lo stesso Mileo ci chiarisce il senso di questa originale pratica artistica nell’intervista RAI di Pino Badalamenti.

        

L’artista dichiara di vedere la materia in maniera diversa da come la può vedere chiunque altro e nella lava vede il tormento del fuoco, tormento che lui vuole accentuare con la sua lavorazione attraverso lo scalpello, il trapano e la fiamma ossidrica.

Tormento che forse è la chiave di lettura della sua personalità e che è alla base di quella ricerca di libertà che è stata messa in evidenza sin dalla prima opera di questo percorso e per questo le parole di Dante poste nel titolo, “Libertà va cercando”, possono considerarsi la cifra esistenziale dell’uomo e dell’artista Mileo.

 

Le fotografie sono dell’architetto Salvatore Culotta.

Commenti

Che dire di questa interessante disamina critica di Rosalba Gallà, se non il fatto che essa muove i suoi passi dall'immaginazione, ma poi ordina ogni cosa con la potenza dell'intelletto. Le sue ipotesi divengono così verità ben argomentate, che rendono giustizia a Saro Mileo, senza però dargli più meriti di quelli che egli ha.

Grazie per avermi dato la soddisfazione di questa lettura.