18 Maggio 2014, 14:57 - Angelo Sciortino [suoi interventi e commenti] |
Confesso che ho, nella generalità dei casi, un rapporto quasi conflittuale con l'arte contemporanea, perché spesso essa è contemporanea solo a se stessa, senza trascendenza né verso il passato né verso il futuro. È, infatti, come se la realtà avesse ceduto all'egemonia del segno, dell'immagine, del simulacro.
Nel caso di Saro Mileo dobbiamo però rovesciare la formula. Non più il segno o l'artificio la fanno da padrone, ma cedono a vantaggio di un reale assoluto; di una realizzazione del mondo assoluta e senza appello.
Altri, meglio di me e con maggiore conoscenza, hanno commentato o commenteranno la mostra di Saro Mileo, fortemente voluta da Salvatore Culotta, Franco D'Anna, Giuseppe Forte, Italo Piazza e altri, che con impegno certosino hanno rintracciato opere dimenticate o malamente conosciute, per presentarle oggi a un pubblico più vasto, perché non ci si dimentichi di questo artista. Di questo artista che si definisce naif, trascurando il fatto che, quando la sua opera è una realizzazione del mondo assoluta e senza appello, non possono darsi definizioni o farne il rappresentante di scuole artistiche. Egli è soltanto un Artista, che ha saputo cogliere una verità sfuggente e indefinibile, riportandola nelle sue tele. I disegni e i colori dipintivi fanno dei suoi quadri la rappresentazione della sua contemplazione della realtà, vista attraverso il sentimento di un innocente.
Chi lo ha visto nel basso magazzino, dove Mileo sembrava isolarsi dal mondo intero e dove dipingeva con la stessa freschezza di un bambino, che colora il foglio bianco soltanto per divertire se stesso, non può avere altro aggettivo, se non innocente, per descriverlo.
Non è, quindi, un “grande artista”, ma quella che Pessoa definiva una solitudine, che non ha altri interlocutori, che la memoria delle sue impressioni e delle sue emozioni. Impressioni ed emozioni, che riporta nelle sue opere, ma con semplicità, trattandole con la delicatezza con cui maneggiamo un oggetto raro, per non romperlo.
Ecco, se una cosa mi sento di poter dire di Saro Mileo, essa è questa: egli non adoperò mai gli strumenti della sua arte per rompere le sue impressioni, ma per mostrarle agli altri e perfino a se stesso come gli si stampavano inconsapevolmente nel cuore e nella mente, senza vergognarsene e senza pretendere di mandare un messaggio. Questo messaggio, però, è sempre presente nelle sue opere e non potrà sfuggire a un occhio educato, come si spera che sia quello dei visitatore della mostra.
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