27 Aprile 2014, 13:06 - Giuseppe Maggiore [suoi interventi e commenti] |
L U D U S
“...nihil est in intellectu quod non fuerit prius in sensu...”
(nell'intelletto non vi è nulla che non sia stato prima nei sensi - San Tommaso)
de “Giuseppe Testa ed altri”
di Giuseppe Maggiore
Volendo allargare, per atto dovuto, la galleria degli artisti, personaggi rappresentativi nella nostra città che con le loro opere o prestazioni dànno lustro e rinomanza al comprensorio (ho trattato di pittori, scultori, poeti, letterati, attori), qui non mi resta, per completare la panoramica nell'ambito nostrano, che focalizzare la mia attenzione sul ramo musicale e sui suoi adepti.
La musica, unica armonia paradisiaca che il caos cosmogonico ci ha concesso!
Ora non che io sia una cima nel settore recensivo di cui mi sono occupato, arrogandomi il compito di occuparmene; ma nemmeno penso di essere un bircio, un biotto, un affetto da acribìa o un vessato da anacasmo, tanto da non essere in grado di valutare un’opera a qualsiasi filone dello scibile essa appartenga.
Mi dichiaro semplicemente simpatizzante di una cultura libera da condizionamenti di tendenza o di maniera nelle plurime direzioni in cui essa si dispiega, con qualche velleità artistica (e chi non ne ha?!) versata in più d’una disciplina.
Per il resto mi faccio sempre gli affari miei, diciamola così, e se mi lascio andare a mettere il naso nei vari meandri culturali lo faccio per mio esclusivo diletto, augurandomi di non dar noia a quanti mi fanno l’onore di seguire le mie chiose.
E, con buona pace di tutti, dopo questo opportuno e sicuramente non inutile preambolo, così continuo inoltrandomi nella materia.
Altrove ho già avuto modo di citare Salvo Leggio, cantautore virtuoso di chitarra, moderno compositore melodico nonché eclettico personaggio di consistente apporto scenico, esperto “vocalist” che con i suoi calibrati sottofondi musicali di accompagnamento a testi recitati o letti, e con le sue originali composizioni di natura prevalentemente intimistica, personalmente interpretate e profferte al pubblico, è salito con meritato successo agli onori della ribalta cefaludese facendo parte della compagine de “I Narratura”, sodalizio preminentemente letterario vernacolare ideato e abilmente condotto dal noto Antonio Barracato in più organizzative dimensioni introdotto.
Né sottaciamo l’estrema versatilità musicale di Livio D’Angelo, in altro campo pluriapprezzato specialista sanitario, che, con il complesso vocale da lui formato e diretto (Associazione Siciliana musica per l’uomo) riscuote innegabili successi ogniqualvolta si esibisce; né quella di Liana D’Angelo, di lui sorella, esperta virtuosa pianista e maestra nella materia, che per le sue professionali inappuntabili esecuzioni è favorevolmente conosciuta in tutta l'isola.
I due fratelli, Livio e Liana, accomunati dalla stessa bravura e dalla stessa passione artistica, rappresentano un duo musicale di provata esperienza, notissimo alle ribalte siciliane e altrove.
E non dimentichiamo neppure il M°. Francesco Di Fatta e il capobanda Cangelosi, anche loro professionisti di vaglia con un notevole bagaglio di pratica nel settore.
E se ve ne sono altri, così com'io credo che vi siano, o io non ne ho notizia o al momento non mi sovvengono. Tanto per chiarire.
Ma oggi, tra tutti, voglio qui considerare il giovane musicista, compositore e direttore d’orchestra (attualmente dirige la locale banda dell’Associazione Culturale Santa Cecilia, ma si è prodigato nella direzione anche su altri prestigiosi palcoscenici isolani con diverse ensemble) Giuseppe Testa, già stimato e tenuto in buon conto nel circondario e con al suo attivo diverse sillogi musicali contenute in CD.
Concerto di Buon Anno della Santa Cecilia, Chiesa di Santo Stefano, Cefalù, 4 gennaio 2014
(Immagini tratte dalla pagina facebook "Santa Cecilia - Cefalù")
Non che io abbia, poi, una specifica competenza della tecnica musicale intesa nel suo più accreditato senso critico: il pentagramma con le sue più riposte peculiarità mi è congeniale, si, e mi trasporta in un empireo favoloso che indubbiamente indora la vita con una luce tonificante che rende l’animo più temprato e reattivo nell'affrontare le difficoltà dell’esistenza; ma non ha l’esclusiva dei miei molteplici interessi culturali.
E qui, diciamolo (e mi sembra di essermi espresso in tal senso anche altrove; ma il fatto si è che, spesso, uno è indotto a ripetere sempre le stesse cose o perché le non poche primavere acquisite lo condizionano o perché è talmente convinto della propria congettura che non può fare a meno di ripeterla), mi si consenta di dirlo, dunque, che a ben guardare, l’esistenza, seppure con qualche gioia, è e rimane un coacervo di scocciature miserabili (la fatidica lotta per la vita!), di sofferenze, morali e materiali, di insoddisfazioni costanti (ciò anche perché ancor oggi il detto latino non si smentisce: “homo homini lupus”!) che tendono tutte immancabilmente all’apoteosi finale: la morte!
Pur non avendo, quindi, un sensibile interesse primario nel ramo musicale, mi permane, tuttavia, il normale gusto dell'appassionato fruitore d’un’opera d’arte, d’un recettore di suoni bene assortiti, nel presente caso; suoni attraverso i quali l’humus dell’autore o dell’esecutore si esteriorizza appalesando la propria personalissima concezione di un reale soggettivo, puro e veridico, che inevitabilmente viene a confronto con altre sensibilità soggettive, con altre interiorità recepenti, con le quali interagisce amalgamando i comuni elementi caratteriali che lo contraddistinguono.
Sinonimi, questi, che rappresentano le prerogative basilari dell’arte, intesta nel suo più ampio primordiale significato; arte che si fonda sulla sensibilità, sulla cultura, sull’estrazione sociale, sul carattere e così via, di chi tende ad essa, la pratica e la fà sua.
Qual’è, infatti, lo specifico, il “leitmotiv” dell’esistenza, se non il potersi spiritualmente elevare grazie alla inimbrigliabile fantasia, crescendo e tracimando gli estremi limiti che la provvida (o non provvida) natura ha posto all'uomo?
Chaplin stesso, nel suo impareggiabile film “Luci della ribalta” (film in cui ha fatto tutto, da quel pigmalione ispirato che era: soggetto, sceneggiatura, riprese, montaggio, musica, edizione) ha detto che “...il tema della vita è il desiderio e che il più bel giocattolo che abbiamo è il cervello...”.
La capacità di emozionarsi, quindi! Prestigiosa dote dell’ “Io”. Nobile qualità dell’animo.
Non a caso, secondo il mio modestissimo parere, il musicista Testa ha dato titoli semplici alle sue composizioni; nomi non impegnativi, umbratili, discreti, anche umili, forse, che presuppongono, tuttavia, un entroterra creativo di preponderante valenza intellettuale. Quasi a non voler ostentare il proprio valido contributo all’espressione artistica.
Trascriviamone alcuni: “Giochi di note”, “Solo per una donna” (che comprende brani per un unico strumento), “Note di banda” e “Du...etti di musica” (“...conveniunt rebus nomina saepe suis...” - spesso i nomi sono adatti alle cose cui appartengono - Riccardo da Venosa).
Tale collage di numerosi brani musicali, antologia policroma di plurimi stati d’animo, quasi un interludio di emozioni, di pensieri, di concetti, di sensazioni, di proposte armoniche attraverso l’apparente disarmonia di certi suoni, concerta un iter pseudomelodico di indubbia valenza “pittorica”, se l’usato termine può essere riferito alla musica.
“Pittorico” nella misura in cui le note combinate con lo stile siano in grado di creare immagini, dalle quali, poi, inevitabilmente e conseguentemente, scaturiscono parvenze, sentimenti e, quindi, emozioni e collaterali rivelatori stati d’animo.
"Dentro il concerto", Cefalù, 26 luglio 2013 - Foto di Giuseppe Ardizzone
Ascoltando con la massima curiosa attenzione i parecchi brevi componimenti contenuti nei CD sopra menzionati e volutamente ritornando su qualcuno di essi, quasi a volerne studiare la struttura per meglio interpretarne il più recondito senso dalle note sgorgante, leggendo fra le righe e andando oltre, i suoni che ad un possibile ascoltatore distratto e superficiale potrebbero ingenerare il convincimento di un’apparente discrasia, di una disarmonia concettuale lontana parente di una sinfonia dodecafonica, mi sono emersi coinvolgenti e pregni di una loro intensa ispirata impostazione.
E m’è venuto, spontaneamente, d’accoppiare le immagini che mi sono state suscitate da questo particolare tipo di composizione con la poesia di alcune delle opere filmiche più immediatamente rappresentative delle tematiche del primo Antonioni: che so, con “Gente del Po”, per esempio, con “L’amorosa menzogna”, con “Superstizione”; filmiche esternazioni nelle quali l’apparente desolazione scenografica fà sì che la realtà esistenziale dell’assunto balzi viva all’osservazione oggettiva determinando un sentito coinvolgimento emotivo nello spettatore.
Da “Gente del Po” di Michelangelo Antonioni
Immagini quasi oniriche che assurgono con evidenza all’attenzione, insomma.
E Testa, in questi suoi corrispondenti felici momenti musicalmente creativi, pare, appunto, rifarsi a motivi di natura prettamente evanescente, onirica addirittura (oniricità sicuramente derivante dagli accadimenti della vita vigile), onde scandagliare la dimensione dello spirito tentando nuove strade nella ricerca di una liricità assoluta.
A corollario, mi vien qui da citare ciò che Cicerone, nella sua opera “De divinatione”, sancisce: “…nell’animo si agitano i fantasmi dei pensieri e delle azioni della veglia…”, (sic); e lo stesso Freud aggiunge che “…nel sogno, il materiale rappresentativo viene sottoposto a spostamenti e sostituzioni mentre gli affetti restano inalterati…”.
A ciò, ripeto, mi pare che Giuseppe Testa voglia rifarsi, con queste sue espressioni musicali; in esse, infatti, m’è dato di interpretare che i freudiani “affetti”, gli interessi emozionali, cioè, collimano integrandosi l’un con l’altro in uno sviluppo armonico che ne realizza l’unicità.
Testa è un autore indipendente, maturo, che vive con determinazione artistica il suo presente.
In siffatto clima di ricerca lo stesso Nietzsche assume con autorità che “..è di pochi essere indipendenti perché l’indipendenza è privilegio dei forti…” e che “…la maturità dell’uomo è aver ritrovato la serietà che da bambini si metteva in gioco…” e che, infine, “…grazie alla musica le passioni godono di se stesse…”.
E nell’arte, com’è risaputo, ogni artista trasfonde la propria sensibilità che proviene dal proprio vissuto, vigile o onirico che sia, la propria realtà emozionale forgiata, plasmata e condizionata dalle proprie intime pulsioni.
Tale condizione umana, eminentemente introspettiva, profferta ad una fruizione altruistica, è nichilismo ascetico o palese ostentazione dell’ “Io” ?
Né l’uno, né l’altra. E’ e rimane, sostanzialmente ed unicamente, la trasmissione del proprio recondito esistenzialismo, sincero e irripetibile, per una conoscitività esclusivamente aliena.
E, Nietzsche conclude asserendo che “… l’arte è investita della capacità di riscattare il disgusto dell’esistenza attraverso immagini di sogno…”.
Nel nostro caso attraverso suoni.
Ma i suoni, come avviene, sono evocatori di immagini e in quanto tali, quindi, produttori di forti emozioni.
Così, tentando a nostra volta di volgarizzare l’involuto concetto nietzscheiano, possiamo a nostra volta concludere, sperando di non errare, che l’arte non fa altro che produrre sensazioni emozionanti a copertura della cruda realtà che il quotidiano non manca mai di elargirci a piene mani.
E di tale crudezza ne ho dissertato sopra!
Nella produzione di Testa, nella quale interagiscono apprezzabili giuochi di note con i loro limpidi assolo prodotti da vari singoli strumenti e con la fragranza del ritmo che a volte dilaga in sereno allegretto, il filo conduttore, sottile, nascosto, ma costantemente decifrabile nell’apparente assenza di leitmotiv, è sempre presente.
Il tema musicale spesso mi evoca visioni di pianure senza sole, di desolati greti di fiumi, di lande deserte, di armenti al pascolo, di corsi d’acqua limacciosi, di turbe di bambini in aperto dissenso in lontananza sul prato, di vita claustrale e di ambienti scarni da film neorealisti di rosselliniana e desichiana memoria. Visioni non certo gioiose, si, ma non negative nella misura in cui rispecchiano particolari stati d’animo dove la tristezza è imperante.
E la stessa tematica, ancora, a tratti mi fà pensare a scene di gnomi, di folletti in amore nel bosco incantato, a immagini surreali di campagne brulle, di foschi tramonti, di autunni brumosi; materiale eletto, questo, per catalizzare documentari d’ambiente su particolari grottesche sagre paesane e film di pensiero alla Bergman o alla Dreyer, non certamente la paccottiglia fallimentare dei cosiddetti film di cassetta, che spudoratamente e immancabilmente invadono il mercato, a iosa, nelle feste comandate.
E’ una musica, quella di Testa, che avrebbe sedotto Fellini.
Gli strumenti usati, il clarinetto, il fagotto, il flauto, la tromba, il trombone e il pianoforte rappresentano i “medium” atti a sondare le profondità esistenziali dell’Autore.
Dalla foto-gallery del sito www.giuseppetesta.com
Per le mie particolari predilezioni musicali improntate al più puro classicismo (per la qual cosa nelle mie esternazioni filmiche, di statura preminentemente indipendente, ho sempre utilizzato brani di Mozart, Beethoven, Rachmaninov, Albinoni ed altri consimili per stile e sostanza) fra le composizioni del Nostro ho molto apprezzato i pezzi al pianoforte che reputo tendere allo stile delle sonate del grande bonniano.
E’, comunque, indubbia la tendenza al moderno di Giuseppe Testa, la cui determinazione poetica credo sia quella di uscire dagli usuali schemi universalmente conosciuti perseguendo un’originalità di concreto valore artistico.
Non v’è dubbio, poi, che l’autore rimanga culturalmente figlio del suo tempo, pur affondando le sue radici esistenziali nell’humus tradizionalmente classico.
Cefalù, Aprile 2014 Giuseppe Maggiore
- Accedi o registrati per inserire commenti.
- letto 1680 volte