'Isnello piccolo e bello', di Giuseppe Riggio e Giuseppina Sepporta - ed. Arianna.

ritratto di Giuseppe Riggio

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Sabato 17 u.s., al Centro Sociale di Isnello, è stato presentato il libro 'Isnello piccolo e bello'. Riporto qui l'ottima presentazione fatta dal Sindaco Dr Giuseppe Mogavero.

"Sono stato incaricato dal prof. Riggio di un gravoso compito. Quello di presentare questo bellissimo libro.
Io lo ringrazio per la stima e, allo stesso tempo mi scuso con voi per quel tempo che impegnerete nell’ascoltarmi. Che cercherò di rendere meno noioso aiutandomi con delle diapositive.

“Questo libro, scritto a quattro mani, vuole essere un omaggio filiale a Isnello.
Isnellese puro sangue sono io, poteva dirsi: io sono isnellese puro sangue, in termini cioè di una narrazione più discorsiva e invece, la forma usata è di affermazione e di orgoglio: attenzione, isnellese puro sangue sono io, e continua e spiega per esserci nato e cresciuto, per avere qui i miei legami di sangue e di spirito, per averlo sempre portato con me in uno scrigno, lo ripeterà più avanti: tesoro conservato in uno scrigno, da custodire e da difendere, da non perdere, quale alto valore esistenziale della mia identità…”
Ed, ancora,
“… Guardo al mio paese natio con occhi d’innamorato: ogni squarcio è una visione, una finestra aperta sul passato che mi ripropone i luoghi e i momenti dell’infanzia spensierata, della giovinezza impegnata in ideali di mutamento di un ambiente immobile, che ineluttabilmente sarebbe scivolato verso la modernità, sollecitato da stimoli esterni ben più grandi di noi. La contemplazione nell’età matura, dopo avere metabolizzato esperienze varie, percorso strade che parevano inusuali, dato senso a rapporti e a cose, recuperato nella serenità di questa valle colori, suoni, gesti, visi, abitudini in umile atteggiamento di gratitudine.”

Colpisce ma non deve ingannare il termine “ineluttabilmente”.
Il termine viene dal latino: ineluctabilis composto da in negazione ed eluctari vincere lottando, a sua volta formato da ex uscire e lucta lotta. Una lotta da cui non si esce. Ineluttabile sta anche per fatale. A cui non ci si può opporre, il Destino, il Fato. Ciò contro cui non si può lottare.
Ma spesso la percezione negativa dell'ineluttabile è illusoria, cattivo frutto dell'attaccamento e della difficoltà di accettazione; ma in una connotazione positiva questa parola assume altri significati: l’ineluttabile amore di una madre per il figlio, l’ineluttabile positività dell'ottimista, l’ineluttabile abbraccio della primavera.
Non appaia inutile questa precisazione perché l’impressione negativa appare rafforzata dalla sensazione che esce fuori dall’intera prefazione: il vagheggiamento di un “piccolo mondo antico” che sta non solo nel ricordo ma vuole essere il presente e la speranza di un futuro che le giovani generazioni dovranno “costruire in originale continuità”, come chiude la prefazione.

E a me, questo ragionamento interessa e molto. E’ il tema. Un paese che deve vivere nel ricordo e nelle belle tradizioni del passato, cioè viverci dentro, con lo sguardo perennemente rivolto all’indietro, preclusi al presente e, maggiormente, di conseguenza, ad un futuro che è evanescente, anzi, un non futuro. Una immobilità che non accetta il cambiamento e i cambiamenti di abitudini e costumi, e modi di essere. Un gattopardesco sentire, che tutto cambi perché e purchè tutto rimanga come prima. Un non senso. La contemplazione di un passato “perfetto”, “noi siamo Dei”, dice il Principe di Salina, “siamo perfetti”, perché allora dobbiamo cambiare? Contempliamo il passato, appagati dalla contemplazione dell’età dell’oro, non ci mettiamo niente di nostro, Isnello, la Sicilia che non hanno identità ma multidentità, non costruite ma imposte dalle dominazioni susseguitesi nel corso di secoli e millenni, dove la novità e il cambiamento hanno da sempre comportato sovvertimenti degli ordini sociali e dei privilegi acquisiti, quindi, paura del nuovo, passivi, “calati juncu ca passa a china”, aspettare momenti più opportuni, opportunità, opportunismo.
Ad esempio:
Vi è un cifrato nel libro, tratto da De rebus...di Malaterra, che narra le vicende relative alla conquista di Sicilia da parte del conte Ruggero:
"Qui (prato di Maniaci) i cristiani che erano rimasti nella Val Demone, erano tributari dei Saraceni. Avendo gioito per l'arrivo dei cristiani (normanni) andarono loro incontro e offrirono molti doni e tesori, adducendo contro i saraceni questa scusa, e cioè che avevano fatto ciò (essere stati tributari) non per amore, ma per difendere se stessi e i loro beni, e (dicevano) che avrebbero conservato inalterabile la loro fedeltà per loro (i normanni)."
Trapela che il Malaterra non si fida della fedeltà dei Greci siciliani, ortodossi e da poco si era consumato lo scisma e forti erano le tensioni con i latini: come avevano tradito i saraceni, non avrebbero avuto difficoltà a tradire i normanni.
Il facile adattarsi ad ogni nuova dominazione, ad ogni cambio politico, il non mettere nulla di proprio, il rifuggire dall’essere protagonisti della propria storia, di condizionarla, il facile disimpegno sociale, ed anche personale, il perverso meccanismo della delega che è un passare le responsabilità ad altri. Dovranno essere gli altri a pensare anche a noi. Spinto ancora avanti questo ragionamento, che facciano pure i loro interessi, a me non riguarda, qualcosa daranno pure a noi. Ecco, io penso che noi ci portiamo tutte queste cose dietro, siamo figli di quella storia, vagheggiamo il passato per non guardare al presente e al futuro. E il passato non può che essere l'età dell'oro che così giustifica la nostra contemplazione.

Un passato perfetto ove non si intravedono gli errori che, invece, anche questi si tramandano. Uno scivolare verso un sentire di illegalità nel senso che le norme a garanzia di un vivere sociale sconvolgono quelli si ritiene essere diritti “a prescindere”. Perché impegna accettare che i diritti derivano dai doveri. I diritti naturali, quelli sì “ a prescindere” ma quelli che derivano da un’organizzazione di società che ti da garanzie, quelli non sono “a prescindere”. Quelli derivano dai doveri che lo Stato moderno codifica con norme. I diritti, liberté, fraternité, egalité, quei diritti sono stati conquistati e sono e in ogni parte del mondo non vengono esportati ma lì si conquistano. Ma se non si accetta il cambiamento, anzi, se non si è pronti a cambiare, anzi, se non si è pronti ad anticipare il cambiamento, allora si è tagliati fuori, niente futuro che va, invece costruito, che comporta mettersi in discussione, aperti appunto a riconsiderare e modificare sentiri e azioni, che comporta fatica e impongono atteggiamenti responsabili.

“Tutti questi governi, sbarcati in armi da chissà dove, subito serviti, presto detestati, e sempre incompresi, che si sono espressi soltanto con opere d’arte per noi enigmatiche e con concretissimi esattori d’imposte spesso poi altrove: tutte queste cose hanno formato il carattere nostro, che così rimane condizionato da fatalità esteriori, oltre che da una terrificante insularità d’animo.”

La spietata diagnosi del Principe di Salina pervade una percezione corrente e diffusa della storia siciliana e, quindi, della nostra storia. Quella che vede contrapposto ad un “noi” immutabile e quasi metastorico la successione degli “altri”, venuti “da chissà dove” ed impadronirsi dell’isola fino alla successiva invasione, al successivo cambio di dominio. Di fronte alla storia degli “altri” padroni dell’isola, la storia di “noi” è quella di una radicale negazione, di una chiusura ermeticamente orgogliosa, sterile, disperata.
E' un ragionamento che mi sta a cuore ma è forse una delle considerazioni più forte e più interessante che origina dalla lettura di questo bel libro.
Ho avuto modo di parlarne con l’Autore, della percezione negativa che il termine può ingenerare. Che è giustamente lontano dalle sue intenzioni. Una modernità che arriva e, questa sì, che può stravolgere l’identità di un paese. L’identità culturale ma anche fisica, nel suo costruito stratificato nei secoli, nel suo assetto urbano, nel come sono stati edificati i luoghi, ragion d’essere di un necessario vivere diverso da oggi.
Gli assetti urbani, se non dettati da processi speculativi imposti, nascono da abitudini di vita e necessità. Sarebbe interessante che ulteriori lavori narrassero la storia di questo paese a partire, appunto, dal sito, dalla particolare orografia che disegna oggi il nostro paese come uno dei più interessanti dal punto di vista paesaggistico. Basta fare due passi e ti appare ed è diverso.

E’ un bel libro.
Io non lo ritengo un saggio storico, che interesserebbe, al più, gli specialisti, e neppure un memoriale, che riguarda, spesso, solo chi lo scrive. Penso, invece, che il libro appartenga al genere narrativo perché esprime la forza rievocativa del racconto e comunica l’emozione del “reportage”.
Un reportage da Isnello, a partire dal suo lontano passato, che si legge con curiosità e si è subito appagati da precisazioni puntuali, richiami bibliografici, anzi è ampiamente cifrato e bibliografato, mi si passi il termine. E, ad ogni rigo, si intravede l'amore dell'autore per il suo paese. La storia passata, non solo i fatti e le date, che sono l'epidermide della cultura storica, ma si addentra nei processi di cultura e sociali. La storia passata ma anche quella più vicina, quella che ha vissuto nella sua infanzia e giovinezza e che viene raccontata con linguaggio semplice e appassionato.
I rimandi sono, per la parte storica il Virga, il Grisanti e Francesco Renda nella sua prefazione al libro del Virga. Vi è una propria e autorevole disamina delle vicende di un comprensorio vasto. D’altronde, la storia del nostro paese, come giustamente precisa l’autore, ha necessariamente una diretta connessione territoriale con un comprensorio allargato che supera anche le Madonie e qui è interessante il racconto delle vicende storiche a partire dalla conquista Normanna e fino ai Borboni.
Interessantissima, al proposito, la descrizione dell’organizzazione ecclesiastica a seguito della conquista Normanna. E si comprende bene come quelle vicende siano perfettamente conosciute dall’autore, legate alle sue applicazioni di studio.
Qualche parola a proposito di quando l’Autore parla di “soggezione quasi schiavistica” nel corso del dominio arabo, che si contrappone, invece, ad una lettura storica di tolleranza e di integrazione.
Per la verità è una costante, legata anche a ragionamenti che a tutt’oggi persistono nel momento in cui ci si interfaccia con una civiltà e una storia a noi diversa ma che ci è molto vicina.
Per la gran parte veniamo anche da quella storia e da quella civiltà, ma è una civiltà che è sull’altra sponda del mediterraneo, un mare che da un lato unisce ma che, a seconda, rappresenta una distanza oceanica, che divide e contrappone.
Basti pensare alle crociate, diversamente intese nell’una e nell’altra parte, alla spoliazione di Costantinopoli del 1204 nel corso della IV crociata o alla fine dell’Impero d’Oriente, del 1453.
Per quanto riguarda la Sicilia non può certamente considerarsi una soluzione generalizzabile la cosiddetta strage dei vinti che accompagna ogni conquista, anche se qui, per la verità, il processo di invasione fu lungo, tempi più lenti riguardano infatti le modificazioni sociali, etniche e culturali che accompagnano i fatti politici e militari. L’eccidio dei combattenti nemici, per quanto fosse un fatto non eccezionale fu, comunque, una eccezionalità. Molto più spesso la sottomissione avvenne dietro negoziati. Ai cristiani che scendevano a patti, ad esempio, veniva concessa l’aman (sicurezza). Da quel momento erano considerati “protetti” (in arabo ahl adh-dhimma, “gente del patto”) dei musulmani. Ad essi veniva riconosciuto il diritto all’incolumità ed alla libertà personale, al proprio credo religioso, alle proprie usanze, agli averi.
Fu quindi una sottomissione “protetta” che comportava il pagamento di una imposta personale, la giziah, e di un tributo fondiario, il kharag.
Ovviamente non tutti i cristiani di Sicilia si ritrovarono contemporaneamente nella condizione di “protezione”. Alcune comunità mantennero a lungo la propria indipendenza, altre si sottoposero per anni al pagamento di tributi. Una condizione quindi di protezione ma anche di “subordinazione” ma, in genere un carattere tollerante delle norma. A Palermo, quando la città fu espugnata dai normanni nel 1072, officiava ancora un arcivescovo greco
Dopo la stabilità del regno normanno, Isnello segue la sorte di altri paesi dell’isola, assegnato dai sovrani di turno ai vari Vescovi, baroni e Conti. E, comunque, le vicende del nostro paese sono strettamente legate a quelle dei Ventimiglia di Geraci, e qui l’Autore ci offre una conoscenza che manca negli usuali richiami del Virga e del Grisanti.

L’Autore riprende poi l’evento straordinario del 1788, ampiamente già riportato da Renda nella sua prefazione al libro del Virga, il riscatto dalla feudalità e la riconquista della libertà, se realmente poi avvenne, un quarto di secolo prima che ciò avvenisse per gli altri comuni, con la Costituzione siciliana del 1812. Il fatto è probabilmente certo, mai però documentato con atti, mai riscontrati nelle ricerche d’archivio notarili fatte per lungo tempo dallo storico Renda.
Il libro prosegue poi con un interessante capitolo che riguarda economia – società e cultura e, di necessità, il richiamo al Folklore di Isnello del Grisanti è evidente ma anche qui, specie sulla religiosità del nostro paese, l’apporto del professore Riggio è oltremodo interessante e significativo.

Sulla Casazza, che il terzo capitolo del libro, l’Autore ha già scritto e a quella pubblicazione rimanda ma qui il copione è soggetto a disamina puntuale e interessante e, cosa di estremo pregio, è la proposizione di 31 foto inedite della Casazza del 50, raccolta privata di Pino D’Angelo, foto bellissime, panoramiche, che presentano i quadri nel contesto urbano e del pubblico, e nelle quali si coglie una immediatezza, una istantaneità dalle quali trapela la genuinità e la sincerità della celebrazione di quel dramma. Il termine di celebrazione riferito alla Casazza è molto caro all’Autore.

Un intero capitolo è dedicato al filmato Passione a Isnello, di Ugo Fasano, un bellissimo saggio. Bellissimo. Alla stessa maniera e con le stesse considerazioni mi è capitato di discuterne con Enrico Ghezzi, nell’occasione di una sua venuta a Isnello.
Ed anche nel, diciamo “raffronto” che non è, né può averne la pretesa di esserlo, con quell’opera magistrale di Pier Paolo Pasolini che è il Vangelo secondo Matteo. Per quanto mi riguarda l’opera è una delle più belle di cinema che io abbia mai visto. E vi confesso che l’ho rivisto una ventina di volte. Il testo fedele di Matteo, la fotografia, il montaggio, la musica, gli attori, i volti, i piani, i dettagli, il ritmo, la poesia, la scenografia e i costumi spesso ispirati alle immagini pittoriche dei grandi artisti del quattrocento, uno fra tutti Piero della Francesca, un’opera bellissima, non solo per i suoi tratti di estetica ma anche per la efficacia nella trasmissione di un messaggio che prende anche chi, come me, crede secondo una sua maniera. Il film è stato programmato per una visione la scorsa domenica ma, per motivi tecnici, non è stato possibile vederlo tutto. Una bellissima presentazione del prof. Grisanti e quanto abbiamo visto ci ha dato comunque l’idea di quel capolavoro che è. Con più fortuna troveremo una prossima occasione per rivederlo.
Io penso che il professore Riggio ne parla non solo per un dovuto e d’obbligo accostamento alla Casazza e a Passione a Isnello di Fasano, ma, ne sono certo, anche lui ama quell’opera di quel grande artista che fu Pier Paolo Pasolini che ebbe modo di conoscere qui a Isnello e di discutere con lui.

Un capitolo è poi dedicato alla descrizione delle celebrazioni in onore di San Nicola, la ricerca del senso della festa … e non solo. Una lunga e interessante esposizione che, muove, da un’analisi sociologica del contesto di paese degli anni passati e, dove, la Donna è la domina della sua casa, riferimento educativo dei figli, protagonista nelle relazioni sociali e, in definitiva, “a gnura ma”, l’identità di una società rurale magari in disagio economico ma vissuto con grande dignità.
E, in maniera sorprendente, il richiamo al monumento equestre la Madre Madonita, l’opera di Pietro Giambelluca colta dal professore Riggio, nel suo vero e alto significato.
La festa di san Nicola, i ricordi d’infanzia ma anche una lettura dell’intera liturgia da esperto qual è l’Autore.

Le frottole. Altro capitolo interessante, l’identità di un paese, tra storia, cultura, fede e tradizione.

Impellitteri e Carlo Levi che ne scrisse sulla sua venuta a Isnello nel 1951.
Una maniera e l’occasione, intanto, per conoscere Levi e quel genere letterario di “romanzo”, una rivisitazione del libro per conoscere una pagina della nostra storia, come dice Riggio, ma non solo quella del nostro paese e qui sono anche presenti i ricordi d’infanzia, ma anche la realtà siciliana e la sua storia drammatica dell’immediato dopoguerra, una terra ancora, di fatto, feudale, ove ancora imperavano campieri e baroni, le misere condizioni dei braccianti, il durissimo lavoro, le lotte per il riscatto, la mafia, la strage di Portella, Placido Rizzotto, Accursio Miraglia, le lotte di Salvatore Carnevale ucciso a Sciara nel ’55, Danilo Dolce, o le vicende dei zolfatari di Lercara.
Una storia non estranea al nostro paese.
Anche qui, nel dopoguerra, la lotta per le terre, anche qui, il 50 per cento degli isnellesi lavorava nei feudi e aveva a che fare con campieri e baroni e mafia.
Molto bello questo capitolo del libro. Una riforma agraria che doveva sollevare le sorti economiche dell’isola, il suo fallimento legato a motivi che in altre sedi possono anche più lungamente svilupparsi, l’opposizione tenace, cavillosa dei baroni, la povertà delle terre assegnate, un’agricoltura che stava cambiando e che non venne sostenuta dai governi dello Stato se non in sparute realtà, l’emigrazione che riprende e raggiunge i numeri del primo novecento in pochissimi anni.
Tutte queste cose sono descritte egregiamente nel libro, chiuso da 10 splendide, toccanti poesie. Ne presento e ne leggo una:

Croco per te

Nella radura ho colto
un mazzetto di croco
per te.

E’ l’ultimo fiore dell’estate
richiama il bucaneve
nunzio di primavera.

Nell’età matura
m’arde dentro fuoco d’amore
perdura giovinezza.

Dr Giuseppe Mogavero