“Manna e Miele Ferro e Fuoco” - Villa Palamara

ritratto di Pino Lo Presti

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Questo resoconto della serata di domenica 31, a villa Palamara, non è - nè potrebbe essere - di natura letteraria; è solo un servizio fotografico con, al margine, degli appunti di mie personalissime impressioni su quanto dagli attori di quella sera mi è arrivato.

Se questi erano in tre (la Torrregrossa col suo libro, la villa Palamara con la sua sapienza, la fondazione Mandralisca con la sua capacità recuperare gemme dal nostro territorio) uno era il protagonista di cui essi unitariamente - come per una meditata intesa - si ponevano al servizio: un messaggio.

Del romanzo di Giuseppina Torregrossa, più di quanto possa dire io, che non l’ho ancora letto, dicono queste brevi note in copertina e l’ascolto della lettura di alcune sue pagine di Stefania Brandeburgo (nel seguito).

Dell’autrice ascoltandola, guardandola mi sono fatto l’idea di una persona di una arguzia rara, con un provocatorio orgoglio-amore per l’universo femminile, capace di una scrittura sapiente, da “mavara” dell’arte antica e femminile del “cuntu”.

La ricerca della identità della nostra terra - figlia e madre divorante di culture -, vista come distillato di un sapiente processo di sintesi della varia “manna” secreta dai loro corpi, è un marchio distintivo, da alcuni anni, della attività culturale della fondazione Mandralisca.

Gemme, anche modeste, della linfa di questo singolare albero che è la nostra terra di Sicilia, vengono scoperte, recuperate e senza alcuna retorica poste alla riflessione-disintossicazione di quanti, tra noi, indugiando si interrogano su cio che di sè riflettono gli “specchietti” fornitici dai moderni colonizzatori, riconoscendovi solo apparenze prive di sostanza, non trovandovi qualcosa - per quanto non si sappia spesso bene cosa - però di sè.
Su questa linea anche l’appuntamento che la Fondazione ha dato alla villa Palamara.

Cosa sia villa Palamara, per chi non la conoscesse, possono in parte dire alcune foto.

Un raro esempio, nel nostro territorio, di cosa significhi non specchiarsi su omologanti “specchietti” di importazione. L’orgoglio della propria storia non traspira solo dalla dignità delle vecchie mura ma dal rapporto tra ciò che l’uomo ha costruito e la natura.

Pochi sono, dalle nostre parti, i luoghi rimasti in cui è possibile sentire l’odore di radici così solidamente ancora ancorate alla terra: archetipo del “femminile” per eccellenza e quindi della sapienza atavica.

- Francesco Palamara fa gli onori di casa orgogliosamente ricordando come sia “merito” suo aver fatto incontrare la Torregrossa con Gelardi

- Il critico Andrea Purgatori

Vi è stata certo anche questa ragione nella scelta dell’Autrice di questo luogo come utero per la gestazione del suo romanzo.

Ma vi è stata anche la prossimità ad un “pozzo” unico - da cui ha molto attinto - dell’esperienza della natura e del rapporto tra l’uomo e la natura, quale è Giulio Gelardi, un vero “guru” nella “produzione”, in territorio di Castelbuono, di un prodotto molto particolare (non solo nei suoi aspetti simbolico-biblici): quello della Manna: un uomo capace di comunicare con gli alberi!

Qualcosa è magico quando reagisce, ossia “risponde” indipendentemente dai vincoli delle leggi fisiche e del tempo. Un tale tessuto comunicativo, una tale sintonia, s’instaura però soltanto quando la “frequenza” è quella di un animo non disturbato dal magnetismo dell’ego (la forza separante del “peccato originale”): quella di una innocenza non ancora persa (come per la protagonista) o, dopo un lungo cammino iniziatico, ritrovata (come per Gelardi).

- Il critico Margherita Gigliotti

E’ questo universo “magico-animistico”, in qualche modo edenico, pre-natale, che l’autrice mi e sembrato abbia voluto porre come punto di partenza della ispirazione del suo romanzo e della sua protagonista: Romilda, capace di parlare con le api e con gli alberi di frassino.

- L’attrice Stefania Brandeburgo legge alcune pagine del romanzo

AUDIO

E’ quello un mondo in cui il miele di un’ape, la manna di una “muddìa”, l’amore di una persona non sono oggetti, prodotti, da possedere ma il frutto, libero-dono di un rapporto d’amore non toccato dall’ego ma dal sentimento della “fratellanza” fra tutti gli esseri, creature partecipi di un unico linguaggio, di un unica Ragione.

Una pratica, ancora una volta, “femminile” - perchè includente -, quella della “Manna e del Miele”, opposta a quella della rapina, dell’urto “maschile” (perchè escludente), del “Ferro e Fuoco”, tanto più violenta quando, in più, allo status basato sul “potere” e sulla “proprietà” non corrisponda alcuna nobiltà dell’animo, come accade non solo al “nobile” Ventimiglia che nel romanzo la giovane Romilda “prese” in sposa.

Se oggi, nello stato degenerativo attuale della cultura della nostra società - basata sul voglio in quanto “posso” più che sul voglio in quanto “giusto” - una speranza volessimo porre nel punto dell’orizzonte più lontano, credibilmente lo potremo fare solo poggiandoci su una ritrovata consapevolezza etica del rapporto con ciò che ci è più vicino: la natura interna ed esterna a noi.

Per ultimo, a voler essere anche “pratici” come non comprendere che il vuoto che induce tanti (turisti) come “zombi” a vagare è creato proprio dalla perdita di questo filo con la dimensione magica del naturale nella loro vita metropolitana.
La Sicilia, come una grande madre arcaica potrebbe dare risposta a questo vuoto, solo che non provassimo ancora a volerla ad imitazione di una “velina”, ad uso e consumo delle frustrazioni, dell’ego più becero, metropolitane.

La nostra terra può dare risposte a zone ben più alte e più profonde del bisogno di senso dell’essere moderno.