Ruggero II, il Re dalle due anime

ritratto di Angela Di Francesca

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Difensore della cristianità,ma due volte scomunicato e per gran parte della sua vita in lotta con l’autorità papale, “costruttore” di Cattedrali (tra cui quella di Cefalù,la prediletta,dove avrebbe voluto essere sepolto), ma incoronato da un antipapa e profondamente affascinato dalla civiltà araba,Ruggero II è figura dalla personalità enigmatica e complessa.

Alla morte di Ruggero I,il Gran Conte, Ruggero II si trovò ad essere Conte di Sicilia a soli 10 anni. Fu la madre, contessa Adelasia, donna determinata e di grande abilità politica, ad assumere la reggenza fino ai suoi 17 anni e a fargli dare,a Palermo,un’istruzione raffinata con precettori greci ed arabi. Con la madre Ruggero ebbe sempre un rapporto di grande rispetto e affetto; alcuni storici ipotizzano che il suo sostegno con navi ed armi alla II Crociata fosse dovuto alla volontà di vendicarsi del re Baldovino di Gerusalemme che aveva sposato Adelasia ingannandola per motivi di interesse e poi l’aveva ripudiata.
L’obiettivo di Ruggero di riunificare tutti i possedimenti normanni in Italia meridionale e Sicilia, entrò naturalmente in collisione con un Papato preoccupato di difendere il proprio potere temporale: Onorio II gli lanciò la scomunica, evento che non impedì a Ruggero di concludere vittoriosamente la sua impresa e di ottenere dallo stesso Onorio il riconoscimento del titolo di duca di Puglia. Nel corso dello scisma sorto alla morte di Onorio, si schierò,- attirandosi una nuova scomunica del Papa Innocenzo II-, con l’antipapa Anacleto II e si fece incoronare re di Sicilia da un suo rappresentante, a Palermo, nel Natale del 1130.
Per poter assolvere alla funzione di spettacolarizzazione, importante allora come oggi,la cerimonia era stata studiata in modo da suscitare ammirazione e stupore, con una cavalcata in cui cavalli adornati di drappi preziosi e finimenti d’oro e d’argento attraversavano Palermo, con l’eleganza del corteo, con la dovizia e raffinatezza del banchetto in cui le posate erano solo d’oro e anche i servitori avevano vesti di seta. La funzione religiosa con i cori sacri, la suggestiva vestizione, il minuzioso cerimoniale, creava una dimensione quasi irreale, dove il sovrano era circonfuso da un’aura divina.
Il famoso mosaico della Martorana, realizzato quasi 20 anni più tardi, ci consegna la rappresentazione dell’evento quale Ruggero desiderava che fosse trasmessa ai posteri. Il re vi appare in vesti orientali, quale "basileus", e assomiglia al Cristo che gli porge la corona, senza intermediarii. L’immagine trasmette il messaggio che il monarca è secondo solo a Dio, a cui è in qualche modo “simile”.


Dopo l’incoronazione, Ruggero II pose in atto un successivo livello del suo programma politico e del suo sogno personale. Egli avvertiva che la sua autorità avrebbe tratto maggior legittimazione dall’accentuazione della caratteristica di difensore della Cristianità. Se fino al 1130 le sue monete portavano impressa la formula religiosa araba “non c’è altro Dio che Allah che nessuno ha per compagno”, e come simbolo una T che non raffigurava direttamente la Croce, dopo l’incoronazione la T divenne una Croce con la scritta in greco “Gesù Cristo vive”. Morto Anacleto, dopo 10 anni di lotte, durante i quali Ruggero si trovò contro, oltre al Papa, il bizantino Giovanni Comneno, Lotario II di Germania, i baroni ribelli, le Repubbliche marinare di Pisa, Genova e Venezia, Ruggero riuscì a prevalere su tutti infliggendo a Innocenzo II una dura sconfitta. Anche se proveniva da una stirpe di coraggiosi guerrieri, Ruggero non amava la “cultura della guerra”; valoroso combattente quanto avveduto diplomatico, non abusò della vittoria ma, gestendola con equilibrio, ottenne nel 1240 la legittimazione del suo regno da parte di Innocenzo II, -ufficialmente come “vassallo della Chiesa”.


In realtà nessun monarca poteva vantare un potere più completo e assoluto: grazie alla Apostolica Legatio a suo tempo concessa a Ruggero I, egli poteva anche nominare vescovi e prelati; ed essendosi spinte le sue conquiste fino a Costantinopoli e alle coste dell’Africa Settentrionale, ben poteva affermare, tramite il motto inciso sulla sua spada “Apulus et Calaber, Siculus mihi servit et Afer”.
Ruggero era, come scriveva Giovanni di Salisbury, “rex, legatus apostolicus, patriarcha, imperator et omnia quae volebat”, e, cosa inconsueta per un re occidentale, gli si doveva la “proskynesis”, l’adorazione dei sudditi, vescovi compresi, che dovevano prosternarsi davanti a lui.
Il regno si connotava per una rigida ed efficiente organizzazione militare e amministrativa di cui facevano parte sia militari che funzionari arabi; alla comunità araba era concesso una sorta di autogoverno retto dal "qaid". Ruggero pensò anche a dargli un assetto legislativo con le Assise di Sicilia (Assise di Ariano), un “corpus” di norme e divieti che costituisce, pur con i limiti che la mentalità dell’epoca imponeva, una grande opera legislativa, ponendo le prerogative e i poteri del Re nell’ambito della giurisprudenza.


Con le Assise il sovrano intendeva far cosa gradita a Dio mettendo in atto “ciò che costituisce la Sua stessa essenza, cioè misericordia e giustizia”; ed è interessante notare che lo studioso del Medioevo B.Brenk vede dietro la figura del Cristo Giudice della Cattedrale di Cefalù, accompagnata dalla scritta “Redemptor iudico corporeus corpora corda Deus”,una “supervisione” di Ruggero, a richiamare appunto i concetti che sono alla base delle Assise.Ruggero II morì nel 1154. Aveva realizzato il suo sogno, lasciava un regno forte e unito, un regno che aveva “la forza di una spada normanna, l’eleganza di una veste bizantina, la cultura di una scuola araba”.
Era riuscito a tenere unite popolazioni profondamente diverse per tradizione, cultura e religione.
Era stato un re audace, capace di crudeltà e di saggezza, più temuto che amato, anche per il carattere chiuso e senza sorriso che lo rendeva “sudditis plus terribilis quam dilectus”.
Nonostante l’appellativo di “pius” e difensore della Chiesa, (“plenus pietate”, lo definisce la scritta nella cattedrale di Cefalù), non era stato immune dal sospetto di ambiguità e di calcolo politico nel suo rapporto con la religione. San Bernardo di Chiaravalle lo
considerava “usurpator et tyrannus”; Giovanni di Salisbury lo definì “lo scaltro re siciliano che sempre insidiava la Chiesa”. Erano accuse comprensibili: Ruggero viveva come un sovrano orientale, vestiva all’orientale, teneva a Palazzo Reale, oltre al tiraz (il laboratorio da dove uscivano le preziose sete ricamate),un harem con fanciulle ed eunuchi, arabo era il suo corpo scelto di arcieri, si circondava di artisti e intellettuali bizantini e arabi,-tra cui i più noti il geografo Idris autore del Kitab al Rogiar,“Il libro di Ruggero”,e i poeti ar Rahman e ibn Basurun, cantori della reggia di Favara e delle dolcezze della vita di corte-, era tollerante nei confronti dei musulmani, degli ebrei e degli ortodossi.Per tutta la durata del suo regno adottò un appellativo arabo che ne accompagnava il nome nelle formule ufficiali: quello da lui scelto fu “al-Mu'tazz Billah”, colui che è innalzato da Dio.
La sua concezione della vita non era quella del cristianesimo del tempo,che tendeva, lmeno ufficialmente,a svalutare il corpo. Ruggero ricercava l’armonia tra il corpo e lo spirito, amava l’eleganza, la raffinatezza, la poesia, l’arte, la musica, i piaceri dell’intelletto e dei sensi. “Porta il vino vecchio e dorato, bevi al suono del liuto”, canta il poeta ar-Rahman di Butera; la scritta sul “mantello dell’incoronazione”, auspica: “Possano i giorni e le notti scorrere nel piacere senza fine e mutamento”, e la data è il 528: dall’Egira.
Non era forse un calcolo politico che lo portava verso l’ambiguità tra Oriente e Occidente. Come il poeta latino Ennio, anche Ruggero parlava tre lingue e aveva tre cuori,- partecipava cioè di diverse e simultanee visioni della vita. Egli si sentiva veramente al tempo stesso cristiano e musulmano, arabo e normanno, latino e bizantino.
Il compositore polacco Karol Szymanowski,affascinato dalla sua personalità, ne fece il tormentato protagonista dell’opera “Re Ruggero”, che racconta il dramma interiore di un re cristiano sedotto dai culti pagani ma al tempo stesso è metafora dell’uomo in conflitto tra l’ aspirazione agli ideali apollinei di ragione e misura, e il richiamo inquietante e ineludibile dell’esperienza dionisiaca.