Benvenuti allo Spinito dove i residenti dicono: «scendo a Cefalù!»

ritratto di Leonardo Mento

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Prendo spunto dell'intervista al parroco don Giuseppe Licciardi per alcune considerazioni. Lo sconvolgimento socio, economico, antropologico che dell'espansione urbanistica ha comportato in questi ultimi 50\60 anni, non si discosta molto da quello che è avvenuto un po' ovunque nel mondo. Come in molte altre realtà, anche allo Spinito il solo centro o presidio di socialità ed ascolto è la “Parrocchia” alla quale va dato atto di non dimenticare mai, facendo supplenza, di chi ha bisogno. Queste situazioni venutesi a creare con la realizzazione delle ”città diffuse”, ha generato “non luoghi” privi di prerogative identitarie, relazionali e storiche. Credo che lo Spinito non sia la sola realtà cefaludese con le criticità evidenziate da don Licciardi. Finchè Cefalù era circoscritta dentro le mura, quanto evidenziato da don Licciardi:

“Lo Spinito resta un quartiere dove chi vi abita sente ogni giorno che passa che la città è altrove, non è tra le case, tra le strade e tra i palazzi. Eppure allo Spinito vivono 5.200 persone circa. I cefaludesi, quelli che hanno lasciato il centro storico o il villaggio dei pescatori, abitano nei complessi delle case popolari o nelle abitazioni comunali. L'altra parte della popolazione dello Spinito è composta da uomini e donne che provengono, soprattutto, da San Mauro, Gangi e Pollina.”
era mitigato dal “luogo “ dalla città che assicurava spazi e prerogative sociali, identitari, relazionali e storici. Eppure fino al finire degli anni 60 quel “ melting pot” di “cefalutani”,”maurini”,”gancitani”,”puddiniti” creava un sociale organico che permetteva di assicurare e di tramandare la “cefalutanità”, l'identità del luogo, della Città. L'espansione urbanistica ha creato “ricchezza” ma ha impoverito in termini sociali, relazionali, di prestazioni e servizi con una perdita di appartenenza e identità . Per questo difendo la Cefalù dentro la mura e l'amico Pino Lo Presti quanto ci richiama alla identità ed alla memoria delle cose, dei fatti, degli eventi. Con mia grande sorpresa ho scoperto, parlando con dei giovani cefaludesi, che molti non conoscevano il “quartiere” di Santa Maria e che non erano mai andati a visitare “i piragni di casteddu” o salire sulla Rocca.Con questa città diffusa siamo diventati più "cefaludesi" che "cefalutani".