IL PORTO DI CEFALU’, DAL 1951 AL 2010

ritratto di Saro Di Paola

Versione stampabile

(60 anni di progetti,di finanziamenti,di fatti,di parole e di aneddoti)

L’ultima volta che mi sono occupato del porto di Cefalù è stato in un “INCONTRO AUSER” al Mandralisca.
Il 3 maggio del 2004.
In quella occasione ho tratteggiato la storia della più grande incompiuta di Cefalù.
Una storia che, già nel 2004, era sin troppo lunga ed alla quale il 2010, proprio in questi giorni, ha aggiunto un’altra pagina.
Tra le più amare.
La pagina dell’ordinanza di chiusura della “banchina a T” per collasso strutturale di due degli impalcati che la compongono.
Ho voluto ripercorrere quella storia, certamente sconosciuta a tantissimi della mia generazione e delle successive, seguendo la falsa riga della mia relazione all’incontro AUSER ed, ovviamente, aggiornandola.
È, per ovvi motivi, una STORIA LUNGHISSIMA, che solo appassionati e curiosi leggeranno.
Una storia nella quale, quanti avranno l’interesse e la pazienza di leggerla, potranno trovare la giusta chiave di lettura di una vicenda sulla quale, a mio giudizio, a scrivere la parola fine, se mai sarà scritta, saranno le generazioni a venire.
A meno di un miracolo!
BUONA LETTURA.

La questione del Porto di Cefalù, all’inizio degli anni cinquanta, è diventata la questione del Porto di Presidiana che, ancora nel 2010, è la più irrisolta tra le questioni Politico - amministrative di Cefalù.
Il porto di Presidiana è la più grande incompiuta della storia recente della nostra Città.
Dopo l’incompiuta Cattedrale, l’incompiuta Porto.
L’incompiutezza pare, proprio, che sia nel destino della nostra Città : quasi come una eredità atavica, che tramandataLe da Ruggero, la Città non è stata, ancora, in grado di riscattare neanche per il suo porto.
È abbastanza scontato che quanti tra i cefaludesi non hanno avuto, nel tempo, alcuna possibilità di incidere sulla soluzione della annosissima questione,ritengano responsabili di tale incompiutezza quanti, nel tempo, a Cefalù, ci siamo occupati della Cosa Pubblica.
Potrebbe, anche, essere una valutazione legittima.
Ma sarebbe, di certo, una valutazione riduttiva, semplicistica e, forse anche, banale, ove non dovesse avere scaturigine da una rivisitazione critica delle vicende politico-amministrative che, in sessanta anni, la hanno riguardata e che, tuttavia, la riguardano.
Per una rivisitazione critica delle vicende del porto, a mio giudizio, è di fondamentale importanza una disamina degli atti deliberativi dei Consigli Comunali e delle Giunte Municipali che, in oltre mezzo secolo, si sono succeduti alla guida della Città.
Una disamina, però, che sia essa stessa critica e che consenta di inquadrare quegli atti istituzionali nei particolari momenti politico-amministrativi, socio-economici e storico-culturali in cui gli atti medesimi sono stati concepiti e posti in essere dalla politica comunale.
Un Comune il nostro che, come gli altri ottomila circa della Repubblica Italiana, non è una realtà istituzionale a sé stante ed autonoma,ma che è, soltanto, il gradino più basso di quella scala istituzionale che, comprende, anche e non solo, le Province e le Regioni, con i rispettivi apparati di governo,in un organigramma articolato, e per molti versi tortuoso, in cui le competenze istituzionali per realizzare le grandi opere pubbliche si intersecano e si incrociano con le competenze dell’apparato burocratico, finendo, non di rado, con l’ intrecciarsi in autentici grovigli.
Grovigli politico-burocratici, che a volte, diventano pressoché inestricabili.

Per una rivisitazione critica delle vicende del porto, sono di particolare aiuto, gli articoli che,sulle stesse, nel tempo, ha pubblicato sulle colonne de “Il Corriere delle Madonie” il dott. Prospero Giardina.
Nel primo di tali articoli si legge :
“ La strada del faro brulica di folla. Sulla punta estrema della scogliera a valle del belvedere “ferro di cavallo”, un operaio della Bonci & D’Agostino, impresa in opere marittime ha dato fuoco ad una miccia………. Si trattiene il fiato. Cuori in gola. ………Ad un tratto uno scoppio. ………Dalla folla si levano ovazioni e scroscianti applausi.”
Erano le ore diciotto di domenica 13 maggio 1951.
Alla presenza del presidente della Regione On. Franco Restivo e del sindaco Prof. Giuseppe Giardina,il brillare di quella mina diede, a “Prissuliana”, l’inizio simbolico ai lavori finanziati dalla Regione per un importo di duecento milioni di vecchie lire, sul progetto di rifugio peschereccio redatto dall’ing. Strongoli.

Rifugio peschereccio : così nacque quella struttura, perché così fu voluta e progettata.
Il sindaco Giardina, per rispondere alle aspettative della Città ed, in particolare, delle numerose famiglie cefaludensi che trovavano sostentamento nella pesca e che, per la mancanza di un approdo sicuro, tutte le volte che tempeste improvvise sferzavano il mare,vivevano l’angoscia dell’attesa degli uomini in mare, accettò il finanziamento su fondi che la Regione aveva destinato a porti pescherecci.
Come sostiene Prospero Giardina, il Sindaco del tempo “ruppe così un secolare incantesimo” e, nel contempo,“accese una pesante ipoteca sul futuro del porto”.
Novello Adamo, il sindaco G. Giardina, mangiò la mela di questo che, secondo Prospero Giardina,fu “il peccato di origine” di quella infrastruttura.

Quanto avvenuto successivamente ed, in particolare, la svolta epocale che il turismo ha dato all’economia ed allo sviluppo della nostra città, hanno consentito a Prospero Giardina di affermare, a posteriori, che rispetto al problema porto, il sindaco per antonomasia di Cefalù Giuseppe Giardina, fu “poco illuminato” e “non ebbe lungimiranza”.
Ciò perché, Egli avrebbe scelto quello che, secondo Prospero Giardina, era l’uovo, cioè il finanziamento di duecento milioni per il rifugio peschereccio,e non piuttosto la gallina che, sempre secondo Prospero Giardina,sarebbe stato il finanziamento per un “porto degno di questo nome” che le caratteristiche topologiche della punta di S.Antonio e della baia di Presidiana avrebbero consentito di realizzare.

Ma chi, nel 1951, avrebbe potuto avere lungimiranza diversa da quella che il sindaco Giardina non ebbe ?
Forse, anzi con ogni probabilità, nessuno!
Ma chi, nel 1951 ed anche dopo, avrebbe rinunziato ad un finanziamento di duecento milioni per un’opera pubblica ?
Forse, anzi con ogni probabilità, nessuno!
Ai finanziamenti per opere pubbliche, nessun sindaco ha mai rinunziato. Erano, e sono, le gemme del palmares di tutti i sindaci.
Il sindaco Giardina non ebbe, neanche,il “lume” e la “lungimiranza” (lo ripeto tra virgolette) di vedere nel porto di Presidiana, “uno scalo marittimo commerciale” per il comprensorio Madonie-Nebrodi.
Quel lume e quella lungimiranza che, Prospero Giardina attribuisce, ad un altro nostro illustre concittadino il prof. Giuseppe Li Vecchi, il cui memorabile slogan, “LA GEOGRAFIA E’ CON NOI”,Egli dice, rimase inascoltato dalla miope classe dirigente del tempo.
Oggi, a posteriori, i fatti sopravvenuti, consentono di affermare che, la mancanza di tale ultima lungimiranza, sia stata, per Cefalù, una autentica fortuna.
Tutti, infatti, non possiamo non convenire che, per il porto di Presidiana,
non era, e non è, realistico immaginare una banchina di riva molto più estesa di quella attuale.
Una banchina che, nei mesi estivi, riesce appena a contenere gli autoveicoli dei diportisti, dei pescatori e di quanti fanno, con l’aliscafo, l’escursione giornaliera alle Eolie.
Tutti, altresì, non possiamo non convenire che per l’orografia dell’intorno dell’area portuale non è, altrettanto, realistico immaginare una strada di accesso al porto diversa, per ampiezza ed ubicazione, dall’ attuale “via del faro”.
Una strada, diversa dall’attuale, della quale durante il dibattito che, alla fine degli anni sessanta, portò all’adozione del PRG, il Consiglio Comunale del tempo a lungo si occupò.
Una strada diversa che, però, né i tecnici progettisti di quel piano né i politici del tempo riuscirono a tracciare.
Neanche sulla carta.
Sarebbe stato e sarebbe, tuttavia, impossibile tracciarne un’ altra in una sede diversa da quella che è sempre stata.
Una sede, quella attuale, nella quale tutti, oggi, riusciamo, invece, realisticamente ad immaginare cosa si sarebbe verificato, e si verificherebbe,
con i containers, i TIR, i TIR cisterna ed i frigoTIR che oggi sono indispensabili per rendere economicamente vantaggioso il trasporto commerciale su mezzi gommati che sfruttano quelle vie del mare,
destinate a diventare, in un futuro assai prossimo, le autostrade del mare.
Eppoi, la realizzazione delle autostrade Palemo-Catania e Palermo-Messina, con il nodo intermodale di Buonfornello, ha, sostanzialmente, cambiato la geografia del comprensorio,perché ha, di fatto, spostato nel porto di Termini Imerese, con la viabilità e con gli spazi di cui può disporre, ben più razionali ed ampi di quelli di Presidiana, quel “punto di sbocco sulla costa”, prima rappresentato da Cefalù e per di più, rispetto ad un bacino di utenza, geografico e commerciale, ben più vasto dell’entroterra madonita.
Un punto di sbocco sulla costa, quello che in un futuro ormai prossimo dovrebbe essere l’interporto di Termini Imerese, cui “IL PIANO ATTUATIVO DEL TRASPORTO DELLE MERCI E DELLA LOGISTICA” redatto dal Dipartimento Trasporti e Comunicazioni della Regione Sicilia ha attribuito una importanza strategica fondamentale come base logistica primaria per il riassetto e per la riqualificazione dell’intero settore della movimentazione delle merci, dei flussi di traffico e delle infrastrutture logistiche nell’intera Isola.
IMPORTANZA STRATEGICA, evidenziata dalla scelta di fondo di tale piano attuativo che, IN TUTTA LA SICILIA, prevede, DUE SOLI INTERPORTI :
quello, appunto, di TERMINI IMERESE e quello di CATANIA.

Se, quindi, è indubbiamente vero che, negli anni cinquanta - sessanta,
era possibile affermare che, per un porto commerciale a Presidiana,
“LA GEOGRAFIA ERA CON NOI”, è, altrettanto indubbiamente vero, che negli anni duemila e forse, anche, qualche decennio prima, LA STORIA SAREBBE STATA CONTRO DI NOI !
Se un porto commerciale negli anni cinquanta fosse stato realizzato a Presidiana, qualche decennio dopo, sarebbe morto di progresso.
Non è, quindi, a mio giudizio, che gli amministratori del tempo, per avere pensato, solo, ad un porto peschereccio, siano stati miopi e privi di lungimiranza.
E’ che i processi di trasformazione del territorio, in ambito locale e comprensoriale, negli ultimi decenni, hanno avuto impulsi e sviluppi che negli anni cinquanta sarebbe stato assolutamente impossibile prevedere.
Impulsi e sviluppi che, spesso, fanno apparire miope una scelta che, solo pochi anni prima, sarebbe potuta apparire lungimirante ed, al contrario, lungimirante una scelta che sarebbe potuta apparire miope.
E’ che, come arguisce un vecchio adagio, col senno di poi è difficile sbagliare!
Il rifugio peschereccio iniziato nel 1951, nel 1965 diventò Porto di II^ categoria e di IV classe.
Infatti, con il D.M. n° 444 del 9 giugno di quell’anno, dopo il voto favorevole del Consiglio Superiore dei LL. PP. , veniva definitivamente approvato il Piano Regolatore del Porto.
In un altro articolo, con arguzia e con ironia, P. Giardina, ha scritto :
“il rifugio peschereccio superava gli esami di stato”.
Cos’era, infatti, avvenuto dopo il simbolico inizio dei lavori del 1951 e sino al 1965 ?
Sempre nel primo articolo di P. Giardina su “Il Corriere delle Madonie” si legge, ancora :
“Per anni i lavori rimasero sempre allo stesso punto. Perché ciò che la SAILEM e la BONCI E D’AGOSTINO costruivano in estate provvedeva con regolarità il mare a demolire in inverno. Nessuno, però, era in grado di stabilire esattamente quanto giocassero in questo meccanismo infausto e perverso, da una parte le forze della natura e dall’altra la furbizia dell’uomo. DIO SOLO LO PUO’ SAPERE ”.
“Si manciavinu i dinari” , mi ripeteva ogni qual volta parlavamo del porto, il mio paterno amico, Pasquale Allegra, con la spontaneità tipica degli uomini di mare, quando raccontano le storie vissute nel loro passato.
Al riguardo, da tempo, personalmente mi sono fatto due convincimenti,
il primo :
gli ingranaggi di quel meccanismo infausto e perverso oleato dal pubblico danaro dovevano essere certamente molteplici e robusti.
Una tangentopoli “ante litteram”, a livelli sovracumunali ?
E’ il caso di dire con Prospero Giardina, Dio solo lo può sapere!
il secondo convincimento:
se è certo che i “cifalutani” , negli anni cinquanta come nei decenni successivi, volessero il porto, non è altrettanto certo che lo volessero “i potenti” del tempo.
“Si a Cifalù facissiru u portu, chiddu di Termini fussi muortu”
Così chino a “sarciri i raiuli” sulla propria “lancia”, a “Prissuliana” cantava, sino ad una decina di anni addietro,u zu’ Sariddu Cascio, altra figura di uomo di mare, che oggi, se ancora in vita, avrebbe più di cento anni.
Interpretava, in una interminabile nenia, la vulgata comune del tempo!
E la vox populi quasi sempre ci azzecca!

Il 15 marzo 1962, fu lo scatenarsi con violenza inaudita del mare che “smantellando ed inghiottendo buona parte della mantellata di protezione e della stessa diga” fece giustizia della furbizia degli uomini, e tolse dalle loro mani quella tela che, avevano, abilmente, imparato a tessere d’estate, perché, in inverno, il mare disfacesse.
Quella mareggiata, secondo me, fu per Cefalù un’altra fortuna.
Consentì, almeno, di salvare buona parte della sua Rocca la cui pietra calcarea, sino ad allora, era stata impiegata per i lavori di avanzamento della diga foranea.
Almeno quella pietra che, fatta saltare di giorno, di notte non veniva caricata sui camions e trafugata in chissà quali altri porti.
Se non si fosse verificata quella mareggiata, il guscio della lumaca con le antenne nelle torri della cattedrale,sarebbe stato,ancora più irrimediabilmente danneggiato.
Se non si fosse verificata quella mareggiata, forse anche, la sky line, cioè, la linea-cielo della rocca vista da ponente, oggi, sarebbe diversa.
Quella mareggiata, come ha scritto, ancora, Prospero Giardina, fece, anche, scoppiare il caso Cefalù.
Il suo porto divenne esempio di malgoverno e di sperpero del pubblico denaro ed il 28 gennaio 1963 con D.M. n° 457 il Genio Civile OO.MM. di Palermo venne incaricato di redigere quel P.R.P. che come, ho detto prima, sarebbe stato, poi, approvato nel 1965.
Cosa prevedeva quel Piano Regolatore del Porto ?
Il prolungamento della diga foranea sino a 720 mt, cioè ben oltre la precedente linea a circa 250 mt dalla radice.
Quella linea, oggi riconoscibile, nel pennello frangiflutti che, nel 2002, è stato rafforzato con altri massi calcarei, per proteggere meglio, anche se solo parzialmente, lo specchio acqueo tra la diga di sopraflutto ed il martello centrale,dal vento di grecale.
Per la protezione da tale vento, “u griecu” come dicono i nostri pescatori, il P.R.P. escogitava il molo di sottoflutto.
Un molo lungo all’incirca 250 mt con la radice infilzata, come una spada, al cuore della scogliera della Calura, sotto la torre, e fuori “l’isolotto”.
Una violenza alla natura di quei luoghi, che aveva avuto l’approvazione anche da parte di quell’organo “La Soprintendenza ai beni naturali e paesaggistici” preposto, appunto alla loro tutela.
Se si fosse realizzato quel molo di sottoflutto, infilzato nella punta della scogliera, come previsto nel PRP approvato da tutti gli organi competenti non solo si sarebbe stravolta la fisicità di quel luogo ancora più irrimediabilmente di quanto non fosse, e non sia, già stato,ma, addirittura, si sarebbe realizzata un opera inutile.
Infatti, quel molo di sottoflutto non sarebbe stato idoneo a determinare quella significativa riduzione dell’energia del moto ondoso proveniente dal settore di traversia secondario Nord-NordEst che è indispensabile per la messa in sicurezza del bacino portuale.
Il caso, o qualcosa di altro, volle che di quel molo non se ne sia fatto nulla.
Forse, si inceppò qualche ingranaggio in quel meccanismo infausto e perverso che, per oltre quindici anni, aveva finanziato con fondi pubblici i lavori del porto.
E con i lavori aveva, anche, finanziato, l’impresa che, sempre la stessa, come per automatismo, se ne aggiudicava l’appalto.

Da allora a Presidiana, soltanto, interventi episodici e dilazionati in ben trentasette anni :
il parziale (576 mt e non i previsti 720 mt) prolungamento della diga foranea,
il martello centrale (cosiddetta banchina a T) con i suoi bracci.
Poi, nei primi anni 2000, è stata pavimentata la banchina di riva, sono state collocate le torrette per acqua e luce, parecchie delle quali già divelte, le scalette e le passerelle metalliche in alcuni bracci del martello, le luci a parete della diga foranea che, sono state quasi tutte distrutte.
Poi ancora, è stata realizzata l’illuminazione dell’intera area portuale con le potenti lampade agganciate a quegli invadenti ombrelloni alla testa di altissimi pali che tante volte, dall’alto della strada del faro, ho tranciato con lo sguardo, per quel loro aspetto che, quantomeno, fa pensare che, per gli organi che ne hanno autorizzato l’installazione, non vi sia alcuna differenza dal punto di vista illuminotecnico tra la baia di Presidiana ed un qualsiasi svincolo di una qualsiasi autostrada.
Infine, ed è storia recentissima, è stato espletato il tentativo di dragaggio dei fondali che è abortito nella montagna di sabbia che per un paio d’ anni, con il suo squallore ha fatto da controaltare allo splendore della scogliera di punta Calura.
In variante al PRP era stato, invece, realizzato tra il 1974 ed il 1977, il pontile in ferro,con un finanziamento dell’Assessorato regionale al turismo.
Sarebbe dovuto servire per l’attracco degli aliscafi per le Eolie.
Quel pontile di cui qualcuno, dopo averlo cementificato, avrebbe voluto rafforzare la presenza e che, finalmente, alla fine dell’estate 2003, è stato dismesso.
E’ stato dismesso dopo essere stato, nel pianeta Terra, l’unico monumento in mare alle rotaie delle strade ferrate che ne componevano la struttura.
E’ stato dismesso, quel pontile, dopo che la Città ha corso il rischio di vederlo cementificato con l’aggiunta di altri pontili disposti a pettine lungo i due lati.
E’ stato dismesso, grazie alla testardaggine, è proprio il caso di dirlo, del sindaco Vicari che, con atti amministrativi insistiti e tosti, ha opposto la giusta resistenza nei confronti di Istituzioni Superiori che avrebbero voluto darlo in concessione a privati.

Dopo quel progetto di P.R.P. redatto dal Genio Civile OO.MM. nel 1963, definitivamente approvato da tutti gli organi competenti nel 1965 ed ancora vigente, oggi, nel 2010, sul progetto di completamento del porto, nessun atto amministrativo.
Soltanto promesse e proclami in occasione dei comizi di tutte le competizioni elettorali : locali e nazionali.
Dalle istituzioni l’ufficialità del silenzio.

Un silenzio lungo venti anni che il prof. Giovanni Cristina, da consigliere comunale di minoranza,ebbe il merito di interrompere il 20 gennaio 1984, quando, con una mozione riportò l’argomento in Consiglio comunale.
Dopo che Egli ebbe ad illustrare la mozione, come era solito fare, in maniera circostanziata, intervenne per la maggioranza di allora, nel rispetto del regolamento dei lavori consiliari, un solo consigliere il dott. P. Giardina che replicò dichiarando di condividere la mozione del consigliere Cristina, che messa ai voti, fu approvata dal Consiglio con voto unanime.
Una delegazione del Consiglio avrebbe dovuto incontrare il Presidente della Regione ed i rappresentanti regionali e nazionali dei partiti al fine di pervenire ad una sollecita soluzione dell’annosa e delicata questione del completamento del porto con l’affidamento dell’incarico di progettazione al C.N.R. .
Furono, però, soltanto parole.
Parole che non produssero alcun effetto.
La delegazione non venne mai formata perché il CNR, da quando è stato istituito, non si è mai occupato della progettazione di porti finalizzata alla salvaguardia dei valori paesaggistici del sito in cui ne è prevista la realizzazione.
In quella occasione, il voto unanime del Consiglio fu, soltanto, una convergenza formale, che è servita a fare sentire l’intero Consiglio, con la coscienza politica a posto.
Come dire che, in quella occasione, non vi fu unanimità, ma, soltanto, unanimismo, e per di più, sterile ed improduttivo.
Infatti, l’impegno solenne assunto dal Consiglio fu, alla prova dei fatti, totalmente disatteso.

Tant'é che sei mesi dopo, il 21 luglio 1984, si aprì un’altra lunga pagina in quella che finirà per essere la storia che dovrebbe portare al completamento del porto.
Quel giorno, la giunta presieduta dal sindaco Nino Vazzana, conferì all’ing. Enrico Migliardi ed al prof. Pietro Lunardi l’incarico per la “redazione del progetto e della direzione dei lavori del porto turistico e del parco della rocca”.
Un incarico congiunto a due tecnici diversi, per due opere diverse.
Il sindaco Vazzana, in quella occasione, non seguì la politica del meglio l’uovo oggi e, neanche, quella del meglio la gallina domani.
Egli non si pose il problema da tale punto di vista.
Oggi, a posteriori, non possiamo dire che, in quell’occasione, il sindaco Vazzana, sia stato lungimirante e , neanche, che sia stato miope.
Egli, facendo ciò che, allora, con tutta probabilità, avrebbe fatto ogni altro sindaco cercò, semplicemente, di sfruttare l’opportunità che Gli venne prospettata, nella speranza di avere sia l’uovo e, sia anche, la gallina.
Infatti, dopo che nel 1982 la Cassa per il Mezzogiorno ebbe a finanziare il progetto speciale “Itinerari turistico-culturali nel mezzogiorno d’Italia”
il sindaco Vazzana, conferendo l’incarico ai due professionisti,
pensava che Cefalù sarebbe diventata una tappa di quell’itinerario,
che avrebbe portato i turisti provenienti via mare, sulla rocca, attraverso la strada pedonale, dalla “via del faro” al bivio per Gibilmanna, che il Piano Particolareggiato del Centro Storico aveva previsto.
A quell’incarico, per la parte relativa al restauro delle strutture architettoniche della rocca, il prof. Lunardi, nel 1987, rinunziò.

Le vicissitudini di quell’incarico, anzi di quel fardello o di quel faldone che, per oltre quindici anni finirà, per gravare sul porto come un macigno, più pesante della nostra rocca,hanno travagliato tutte, dico tutte, le amministrazioni che, dopo il 1984,si sono succedute alla guida della Città.
Le vicissitudini di quello che, impropriamente chiamato progetto,
venne esaminato dai due consigli comunali che si sono succeduti dopo quello in carica nel 1984, quando la giunta diede l’incarico, sono lo specchio di uno dei modi di amministrare la Cosa Pubblica e di gestire il pubblico denaro che ha caratterizzato la cosiddetta Prima Repubblica.
Allora, era difficile per non dire inconcepibile che un’amministrazione in carica, non conferisse l’incarico di progettazione ad un professionista che si fosse presentato,dando per sicuro il finanziamento dell’opera.
Dare un incarico, si pensava non costasse nulla.
Tanto, sistematicamente, nel disciplinare di incarico si inseriva l’ articolo :
“nessun compenso potrà pretendere il professionista, nemmeno per rimborso spese, in caso di mancato finanziamento dell’opera”.
Oggi il meccanismo per realizzare le opere pubbliche è, fondamentalmente diverso, perché il Legislatore, ha nella materia,radicalmente innovato.
Basti solo pensare al projet financing , cioè a quel nuovo istituto amministrativo che consente ai privati di realizzare opere pubbliche, con fondi propri, avendone in cambio l’affidamento della gestione per un certo numero di anni.
Allora il meccanismo per realizzare le opere pubbliche era perverso ed, il più delle volte, anche, infausto nei risultati.
Avveniva, infatti, che il Ministro o l’Assessore Regionale di turno,
elaborava un programma con l’istituzione di un capitolo di spesa per realizzare un certo tipo di opere pubbliche.
Gli amici del Ministro e/o dei collaboratori del gabinetto del Ministro o dell’Assessore, allertavano le Amministrazioni locali su quel tale programma e sulla disponibilità di fondi e nel segnalare, quasi incidentalmente,il nome di un professionista, a loro dire espertissimo nel settore, davano per certo il finanziamento, ammonendo, però, sulla necessità di conferire l’incarico in tempi brevissimi.
Nella sostanza, gli uomini delle istituzioni, facevano da gancio per il professionista.
Sicché accadeva che gli incarichi per la progettazione delle opere più importanti per le Città e, spesso anche, le più impegnative dal punto di vista professionale,venivano affidati al Carneade di turno, che aveva il gancio giusto.
Non il gancio che la Carrà avrebbe inventato circa venti anni dopo per i ricongiungimenti che tante lacrime hanno strappato di sabato sera su RAI UNO,ma il gancio giusto con gli uomini delle stanze dei bottoni.
Solo che, altrettanto spesso, “carràmba che sfortuna” accadeva che prima che il progetto (si fa per dire) consegnato in tempi brevissimi dal professionista, venisse approvato da tutti gli organi competenti, il governo nazionale o regionale entrava in crisi,il Ministro o l’Assessore non venivano confermati nel governo successivo, si rompeva il gancio,i fondi previsti nei bilanci della Regione o dello Stato, venivano impiegati per altri scopi e svaniva, così, per il professionista e per il cosiddetto progetto la possibilità del finanziamento.
Il caso dell’ing. Migliardi, poi, fu ulteriormente complicato oltre che dalla pochezza tecnica degli elaborati progettuali prodotti dal professionista, anche,dalla qualità delle scelte progettuali rispetto alla qualità ambientale e fisiografica dell’area d’intervento.
A mio giudizio, quegli elaborati, non erano e non sono mai stati un progetto, neanche di massima,ma una elementare esercitazione grafica, con la quale il professionista dimostrò di non avere, neanche, fatto un giro in barca nei pressi dell’ “isolotto” , dello scoglio “taddarita” e dello scoglio “passero”.
Se l’avesse fatto e fosse rimasto, come è accaduto a tanti, incagliato con la barca in uno degli scogli che si nascondono sotto il pelo dell’acqua,
non avrebbe previsto i pontili galleggianti a raggiera intorno a quegli scogli più grandi che emergono!
Per farse un’idea basta immaginare i faraglioni di Capri inclusi da pontili galleggianti disposti a raggiera.

Quando, come consigliere comunale, per la prima volta, presi visione di quei grafici e del plastico predisposto dal professionista, rimasi di sasso.
Non già per le scelte di ingegneria portuale sulle quali non avevo, e non ho, alcuna competenza per giudicare, ma per l’impatto delle stesse con la scogliera della Calura e con l’intera baia di Presidiana.
Nella sostanza, l’incarico all’ing. Migliardi lungi dall’inserire Cefalù nell’Itinerario Turistico- Culturale del Mezzogiorno d’Italia, ha determinato rispetto alla soluzione del problema porto una situazione di “impasse” amministrativo, tecnico-burocratico e politico che si è protratto per oltre quindici anni.
Un impasse che ha demandato al terzo millennio financo le stesse scelte per la soluzione del problema.
E tra il voto favorevole sul progetto Migliardi deliberato dal Consiglio Comunale nella seduta del 11 giugno 1992, ed il voto contrario, espresso nella seduta del 14 gennaio 1997, dal Consiglio successivo, la Città, pressoché supinamente, restò vittima di una disputa in carta da bollo tra l’ing. Migliardi ed il Comune.
Lettere, riunioni congiunte, conferenze di servizio, pareri legali, pareri del Genio civile OO.PP. marittime e, dulcis in fundo, rivendicazioni economiche del professionista.
Si arriva, così, al 17 ottobre 2000, quando, la prima amministrazione presieduta dal sindaco Vicari, ha messo punto ed è andata a capo.
Finalmente, un atto amministrativo responsabile e, per così dire, di coraggiosa rianimazione politica del porto, cioè del malato più lungodegente della storia amministrativa di Cefalù.
Quel 17 ottobre 2000, l’amministrazione ha comunicato all’ing. Migliardi la “revoca dell’incarico”.
Apriti cielo !
L’ing. Migliardi oltre agli onorari pretende gli venga riconosciuto pure il mancato utile !
Migliardi, anzi , Carneade chi era costui ?
Non il filosofo della celebre metonimia manzoniana, ma, piuttosto, un furbastro che aveva accettato la clausola del disciplinare “nessun compenso sarà dovuto al professionista, neanche per rimborso spese, in caso di mancato finanziamento dell’opera”, solo perché senza quella clausola, non essendovi la copertura economica per l’onorario professionale, l’Amministrazione del compianto Nino Vazzana non gli avrebbe potuto conferire l’incarico!
L’ing. Migliardi, che, nel 1984, aveva saputo trovare il gancio giusto per avere l’incarico, nel 2002, per il progetto che progetto non era e per la variante al P.R.P. che non gli era stata commissionata da alcuno, ha chiesto, al Comune, un compenso che si aggira, appena, intorno al miliardo di vecchie lire.

Dopo le traversie che, per oltre diciotto anni, si sono abbattute sul porto dal quadrante Migliardi, nel percorso che porterà alla messa in sicurezza ed al completamento della struttura di Presidiana, il 2002 ha segnato, quindi, l’anno zero.
SI E’ DOVUTO, infatti, RICOMINCIARE DAL PROGETTO!
Quel progetto di massima che, peraltro, è stato reso indispensabile dal decreto del 16/11/2001 con il quale l’Assessorato Regionale Turismo e Comunicazioni ha inserito il porto di Cefalù tra quelli per i quali sono previsti gli interventi di completamento facendo ricorso alla procedura del Project Financing cui prima ho fatto cenno.
Quel progetto che il sindaco Vicari ha fatto predisporre all’UTC con la supervisione dell’ing. Spina e con la consulenza architettonica dell’architetto svizzero Mario Botta.
Un progetto di massima, che dopo la presentazione ufficiale alla Città, avvenuta in pompa magna nella sala di santa Caterina e dopo l’esposizione al Salone della Nautica di Genova, è stato inserito tra gli interventi pubblici del PRUSST, cioè del Programma di Riqualificazione Urbana e di Sviluppo Sostenibile del Territorio, in acronimo appunto PRUSST,con il quale il Legislatore nazionale ha ideato ed istituito uno strumento di programmazione urbanistica assolutamente nuovo ed innovativo rispetto al passato.
Uno strumento operativo per dare accelerazioni alla macchina amministrativa degli enti locali, avviando così, “la sperimentazione sulle azioni amministrative e sui moduli operativi più efficaci per attivare i finanziamenti per gli interventi nelle aree urbane” e per interventi di sviluppo sostenibile del territorio in variante agli strumenti urbanistici vigenti.

Accelerazioni all’iter che avrebbero dovuto portare alla realizzazione delle opere di completamento e di messa in sicurezza del porto e che, ad oggi, a Cefalù, nessuno ha, ancora, avvertito.
Anzi, pare che, a Cefalù, di quel progetto nessuno abbia più notizie.
Pare che nessuno sappia che fine abbia fatto quel progetto dopo oltre sei anni dalla sua elaborazione e dalla sua presentazione ufficiale.
Sul fronte porto, dal 2004 al 2010, il silenzio è tornato a farla da padrone.
Un silenzio che è stato clamorosamente rotto dalla ordinanza con la quale la Capitaneria di porto di Termini Imerese, a metà marzo cioè alla vigilia della stagione estiva, è stata costretta a chiudere la cosiddetta “banchina a T” per il sopravvenuto collasso statico delle travi portanti di due degli impalcati che la compongono.

Nel 2010, solo a pensare,
- che nel 1985, nel progetto Migliardi il costo previsto per il completamento e per la messa in sicurezza del porto era di 35 miliardi delle vecchie lire;
- che nel 1987, l’Ufficio del Genio Civile OO.PP. valutò i costi delle opere necessarie in sessanta miliardi di vecchie lire;
- che nel 2003,il costo previsto nel progetto Spina si aggirava sui 20 miliardi di vecchie lire;
e solo a raffrontare a tali importi i finanziamenti a stillicidio che in 60 anni sono stati riversati in quella struttura e cioè :
200 milioni nel 1951,
950 milioni tra il 1965 ed il 1969,
580 milioni tra il 1969 ed il 1976,
136 milioni nel 1974,
150 milioni ancora nel 1974,
300 milioni nel 1975,
980 milioni nel 1976,
300 milioni nel 1977,
999 milioni ancora nel 1977,
800 milioni nel 1979,
995 milioni nel 1980,
950 milioni nel 1981,
500 milioni nel 1998,
750 milioni nel 1998,
450 milioni nel 1999
ed infine 500 milioni circa nel 2003
per complessivi novemiliardi e 500 milioni circa di vecchie lire,
ci si rende facilmente conto di quanto, nel 2010, sia ancora lontana da venire la soluzione della vicenda che dovrebbe portare al completamento ed alla messa in sicurezza del porto di Cefalù.
ALMENO PER LE VIE ORDINARIE!

Saro Di Paola, 8 aprile 2010