3 Aprile 2014, 19:10 - Rosalba Gallà [suoi interventi e commenti] |
“…COMUNQUE IN CAMMINO” AL TEATRO CICERO DI CEFALU’
di Rosalba Gallà
Dopo “Pedro e il Capitano” e “Le conquistatrici”, gli alunni dell’I.I.S.S. “Jacopo Del Duca - Diego Bianca Amato” hanno assistito e partecipato emotivamente all’opera “Comunque in cammino”, con cui si conclude la stagione teatrale per le scuole superiori di Cefalù, frutto della collaborazione tra l’Amministrazione comunale, che ha messo a disposizione il Teatro Cicero, il Teatro Libero di Palermo, che ha prodotto i tre spettacoli, e le scuole della città.
Le prime due opere hanno messo in scena, entrambe, un contrasto tra due forti personalità.
In “Pedro e il Capitano” (di Mario Benedetti, regia di Lia Chiappara) due uomini si confrontano sul loro essere stati strappati alla normale quotidianità per ritrovarsi in due situazioni ‘eccezionali’ in cui l’uno, il capitano, ricopre il ruolo di carnefice, di colui che dà l’ordine di torturare Pedro, per indurlo a confessare i nomi dei suoi compagni; l’altro, il rivoluzionario, è torturato e distrutto nel corpo, ‘muto da vivo’ e disposto a parlare solo nella scelta di morte, un parlare che non tradisce, ma che inchioda il capitano nella sua sconfitta.
Apparentemente carnefice e vittima, in realtà carnefici e vittime entrambi nella complessità del loro mondo interiore; entrambi, in modo diverso, sconfitti, costretti a dilaniarsi tra i ruoli che la situazione politica delle dittature militari dell’America latina ha loro imposto e la propria dimensione affettivo-esistenziale, indotti violentemente a sospendere il loro ‘tempo’: “il mio tempo è nell’intermezzo” dice il capitano, nel momento in cui comincia a montare nel suo animo l’inquietudine legata al ruolo che riveste.
Ne “Le conquistatrici” (di Gérard Begardie, regia di Beno Mazzone) due donne, la Presidente della Repubblica, espressione della vecchia generazione, e la leader dei giovani, democraticamente scelta per questo ruolo, si scontrano in un faccia a faccia a porte chiuse per decidere il destino dei cittadini e della società. Il loro confronto è duro e spietato: le due donne si attaccano in un duello verbale violento, volto a distruggere l’avversaria, per scoprirsi alla fine uguali, nella sete di potere e nelle debolezze, nelle maschere indossate e nell’identità più profonda, nella rinuncia agli affetti e alla memoria, pur essendo differenti per generazione e formazione.
Si tratta di uno sguardo disincantato nei confronti della politica, quando smette di essere politica per aver perso il valore fondamentale su cui dovrebbe costruirsi: il valore etico. “L’autore [Gérard Begardie] colloca i personaggi in un futuro che per definizione nessuno conosce, per sgombrarlo da tutto quello che non è essenziale. Beno Mazzone preferisce invece collocare la storia in un tempo che potrebbe essere benissimo anche il nostro: hic et nunc” (dalla cartolina di presentazione a cura del Teatro Libero).
“Comunque in cammino” (progetto e regia di Lia Chiappara e Annamaria Guzzio) affronta in maniera corale il tema della migrazione: i protagonisti si trovano in una terra che non sempre accoglie, ma che spesso si rivela luogo della separazione e dell’estraneità. D’altra parte, il Mediterraneo, l’antico “mare nostrum”, è luogo elettivo di incontri, luogo di diffusione di conoscenze sin dall’antichità, crocevia di scambi materiali e culturali, culla delle civiltà tra le più antiche del mondo, dove le differenze sono state spesso fonte di ricchezza, altre volte di scontri e separazioni e dove le trame delle relazioni umane ancora oggi si impigliano negli egoismi e nelle chiusure, nelle diffidenze e nelle paure. Migranti via mare, ma anche migranti via terra, con altrettante drammatiche storie.
Migranti: ciascuno portatore di una storia, storia raccontata nella lingua di origine e ogni lingua ha la sua melodia, come ogni esistenza ha il suo percorso. Ogni migrante, direi ogni coreuta, dichiara con decisione il proprio nome, affermazione della propria identità e desiderio di essere riconosciuto nella propria unicità. Un coro, un gruppo di migranti, interi ‘barconi’ di migranti, ma ciascuno di loro diverso e inconfondibile.
Intense le immagini proiettate sullo sfondo, perfettamente integrate con quanto avviene sulla scena, tanto che in qualche momento i corpi degli attori sembrano il prolungamento della dimensione del filmato e scompare del tutto il confine tra video e realtà scenica. Intensi i volti dei migranti, capaci di raccontare storie senza l’uso della parola.
Durante tutto lo spettacolo, attraverso le immagini, si assiste al moto del mare, ma quel moto si vive seguendo l’andatura ritmata e ondeggiante degli attori e accompagna la recitazione e il canto. Il coro è richiamo alla tragedia classica, come la lingua greca con la suggestiva voce fuori campo di Annamaria Guzzio. Uno spettacolo fatto di emozioni, ricco di simboli, aperto alla speranza.
“Il teatro antico era rituale e politico allo stesso tempo, ed era musica, corpo, danza e linguaggio. Anche la lingua e il testo partecipavano all’azione del coro e alle funzioni drammatiche dei personaggi, sia con il senso delle parole che con la metrica, i ritmi, le sonorità. Il teatro antico era caratterizzato soprattutto da una situazione corale e musicale. Questo specifico ci ha guidato ad affrontare il “reale doloroso” del migrante/profugo/diverso, un teatro che non lavora l’informazione, anzi comincia laddove finisce l’informazione, quando l’informazione non è più sicura ma sussiste il dubbio – noi – loro – noi…” (Lia Chiappara, dalla scheda didattica).
L’opera nasce dall’esperienza di un progetto laboratoriale realizzato con un gruppo di giovani, volto a creare una situazione di condivisione e di comprensione mentale e fisica insieme agli altri.
Bravi i giovani attori, speranza di sopravvivenza per il teatro, che attraversa oggi uno dei momenti più difficili, come tutti gli enti e le fondazioni culturali, in una società che mortifica l’arte, relegandola ad un ruolo di subalternità rispetto ad interessi economico-finanziari e ad intrighi di potere, dimenticando che tutte le manifestazioni artistiche, così come il nostro patrimonio culturale, possono essere fonte di ricchezza non solo per la mente, ma anche per la nostra nazione, solo che si decida di abbandonare una politica miope e si abbia voglia di assumersi il compito di una vera rivoluzione culturale. E così, anche noi migranti della cultura e dell’arte in cerca di una dimensione di accoglienza, ci uniamo al girotondo finale, simbolo di “integrazione salvifica”.
Ringrazio il Sindaco della Città di Cefalù, Rosario Lapunzina e l’Assessore alla Cultura, Antoniella Marinaro, per la sensibilità con cui accolgono sempre le richieste della scuola e per averci consentito di vivere queste esperienze nel ‘nostro’ Teatro comunale. Ringrazio tutto lo staff del Teatro Libero di Palermo, per l’entusiasmo con cui coinvolge le scuole e per la fiducia che ripone nell’educazione delle nuove generazioni, compagno, in questo, di noi insegnanti. E infine un ringraziamento al D.S. Giuseppina Battaglia e al D.S.G.A. Maria Teresa Ranzino che, nonostante le ristrettezze economiche in cui versa ormai la scuola italiana, riescono a ritagliare uno spazio per il teatro, anche loro convinte della sua alta finalità educativa e civile.
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“Pedro e il Capitano” al Teatro comunale Salvatore Cicero - Rosalba Gallà - 21 dicembre 2013 (https://www.qualecefalu.it/node/6083)
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