"Provincetown"

Ritratto di Giuseppe Maggiore

1 Febbraio 2014, 13:47 - Giuseppe Maggiore   [suoi interventi e commenti]

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“PROVINCETOWN”
 (libro di Marzia Cristina su Aurelius Battaglia)
di Giuseppe Maggiore

 

Ho letto con curiosità, prima, e poi dopo poche pagine con crescente interesse, il testo Provincetown, regalatomi dalla liberalità dell’Amico Italo Piazza (ne ha ritirati due, uno per lui ed uno per me, bontà sua), licenziato alle stampe da Marzia Cristina, anzi dalla D.ssa Marzia Cristina (e spero, questa volta, nell’attribuzione del titolo all’Autrice, di non subire reprimende da parte di terzi; perché altrove, benché meritatissimo ma a quanto pare improprio, ne avevo attribuito uno ad un’altra persona scatenando le filippiche di chi l’aveva regolarmente e onorevolmente conseguito).

Con “curiosità”, dicevo, perché non immaginavo che Marzia, oltre agli altri suoi indubitabili meriti (di madre di famiglia e di professionista), nutrisse in sé anche una tacita linfa di pura connotazione letteraria.

Se fossi stato più attento, più avveduto, comunque  (e io sempre me ne rimprovero!), avrei ben dovuto aspettarmi (dovevo pur intuirlo!) che un animo di fanciulla, forgiato in un habitat culturalmente elevato in cui il padre, Gianni, è insegnante, la madre, Angela, poetessa, scrittrice ed attrice di talento ed idem la zia Caterina, sarebbe, di certo, dovuto o prima o poi sbocciare all’arte e fiorire, come, a tempo e a luogo, fioriscono i mandorli e tutta la variegata flora terrestre grazie alla impareggiabile primavera.

Dovevo ben presupporlo, insomma, e non l’ho fatto. Che volete: non tutte le ciambelle  nascono col buco, come si dice!

E così l’albero ha dato i suoi frutti e Marzia Cristina non ha deluso. Anzi!: ha fiorito anche lei scrivendo questo libro, Provincetown.

Dal suo modo di utilizzare il periodo, dallo stile profuso nella composizione letteraria, dal sentimento, palpabile, in essa evidente e che emerge dai righi del testo con prorompente e sicura giovanile baldanza, ho buoni motivi per ritenere che Marzia non sia “nuova” all’utilizzo della penna: avrà certamente scritto dell’altro in precedenza, seppure non esternato al pubblico.

Ciò perché, ancora, la maturità lessicale profferta dall’Autrice, la padronanza del logos e del fraseggio, la curata punteggiatura, l’armonia del ritmo impresso all’assunto, quasi una metrica elegiaca, denotano una capacità scrittoria consolidata; improbabile in una giovane scrittrice alla sua prima  ufficiale esperienza editoriale.

E poi, questo suo adombrarsi, questo suo quasi celarsi, questo suo immergersi in un vissuto già dipanato, questo suo calarsi nei panni del vetusto personaggio di “Ada”,  immaginario artefice della rievocazione e intelligente espediente creativo escogitato quasi a voler contrapporre il senso della propria timida interiorità alla spiccata ostentazione altrui (oggi purtroppo imperante e portata avanti da una genìa di pseudo addottrinati), denotano una sensibilità artistica di indubbio valore costruttivo.

Nel testo è, dunque, “Ada”, donna di una certa età, e non “Marzia”, a svelare la vicenda umana del prozio Aurelius conosciuta attraverso la corrispondenza (sia epistolare che telefonica) intercorsa in periodo giovanile fra lei ed Eleanor Dalton, compagna o moglie che sia dell’artista transoceanico. Il dato non viene chiarito, viene lasciato nel limbo del dubbio, nella nebbia dell’incertezza, nella penombra del confuso; ciò, anche, per dare maggiore risalto alla storia.

Ed è là, appunto, nel vecchio mobile di colore “verde scuro profumato dall’essenza del legno e dai biscotti, mista ad erbe aromatiche”, situato nella cucina di campagna, che Ada (l’alter ego di Marzia, con cui quest’ultima è in elegiaca simbiosi) in gioventù avrebbe ritrovato una lettera di Aurelius (l’unica), lettera che ha resuscitato la memoria di un artista, realtà umana ancestrale da cui la nostra scrittrice ha preso le mosse per saperne di più, spinta da una incontenibile curiosità affettiva di indagare, di conoscere, di svelare un’esistenza, fra l’anonimo proliferare delle mille altre, in un’epoca di importanti rivolgimenti socioculturali che smossero la innovativa America degli anni ’50.

Che ne sappiamo, noi, delle vite, se non di quelle che ci sono a contatto di gomito e che noi possiamo vedere e comprendere? E delle molte altre esistenze cancellate dalla noncurante ed impietosa crudezza del tempo?

Niente di niente! Ne siamo umanamente all’oscuro. Continuiamo a vivere focalizzando la sola realtà che scorgiamo al di là del nostro naso. Eppure esistono o sono esistite, vivono o hanno vissuto la vita con le loro gioie e i loro dolori come la nostra; e per noi il loro passaggio rimane spesso un privato che non ci è dato di sondare.

Così la Dalton rappresenta il “trait d’union” che permette la rievocazione di un apprezzabile obsoleta realtà.

In questo scritto, dunque, Marzia (alias “Ada”) parla di un suo parente americano, un prozio, famoso ma qui pressoché sconosciuto, figlio di genitori italiani emigrati in America all’inizio del 1900.

Parla di Aurelius Battaglia (comunemente inteso “Aurie”), nato nel 1910 e morto nel 1984, che visse una parte della sua vita  a Provincetown (donde il titolo della presente disamina), prestigioso disegnatore, caricaturista, che, oltre ad avere illustrato libri per bambini lavorando per molte accreditate case editrici americane, si era occupato anche di cinema d’animazione nel qual campo era addirittura stato collaboratore di Walt Disney assieme a tanti altri grandi artisti del tempo, quali John Parr Miller, Martin Provensen, Ray Favata, ecc. ).

Venuto in Italia nel 1970 era rimasto incantato dalle bellezze naturali della nostra città ed aveva molto apprezzato il borgo di Sant’Ambrogio presso il quale gli sarebbe piaciuto trasferirsi  e risiedere.

La nostra Marzia sin da piccola  aveva sempre sentito raccontare in famiglia di tale personaggio e ne era rimasta talmente affascinata da desiderare di saperne sempre di più col possibile intento di poterne in futuro anche scrivere.

E questa sua instancabile curiosità si è concretizzata, ora, grazie al già citato rapporto epistolare intercorso  con la compagna di Aurelius, Eleanor Dalton.

Decine di lettere da dove la vita di Aurelius Battaglia balza fuori delineando un creatore d’immagini, un artista, alacremente operativo e molto considerato negli anni ricordati, uomo che le problematiche fisiche che lo assillavano non sono riuscite mai ad abbacchiare.

Al di là, comunque della vicenda in sé, vicenda dipanata e descritta passo passo dalla corrispondente Dalton e fedelmente riportata nel testo con impareggiabile sensibilità, c’è da ammirare l’impegno profuso da Marzia nella trasposizione letteraria di una realtà esistenziale di grande spessore umano e artistico, fatta con estremo amore e stile.

Il pathos raggiunge il diapason nella descrizione della morte di Aurelius, dove lo scaturire di toccanti sentimenti di pietà e di cordoglio fanno tracimare la commozione.

Foto di Giacomo Sapienza

La presentazione del libro si è svolta  il 29 Gennaio 2014 al cinema Di Francesca, alla presenza di un nutrito pubblico e dell’Assessore Antoniella Marinaro che non diserta mai gli incontri culturali, ma che, anzi, li favorisce e li caldeggia con spirito sempre innovativo perchè fiori all’occhiello di una città proiettata verso la speranza di un migliore futuro.             


Cefalù, 1 Febbraio 2014.                                                                                                                                     Giuseppe Maggiore

Commenti

ho saputo solo ora grazie alla telefonata di un amico comune, di questa bella recensione. Non spetta a me certo, in quanto..."parte in causa" :),  dire qualcosa sul libro, ma desidero ringraziare Giuseppe, attento e sensibile amico, delle sue parole che evidenziano  con delicatezza e intensità il lavoro di Marzia!