9 Marzo 2015, 14:17 - Gianfranco D'Anna [suoi interventi e commenti] |
“La chiusura del Centro Nascite di Cefalù è tra le misure ineludibili del nuovo Piano Sanitario Regionale!”
L’affermazione secca dell’Assessora Borsellino sembra non lasciare speranze, anche perché si coniuga al richiamo alle pressioni della Ministra Lorenzin che minaccia il commissariamento della sanità siciliana a seguito del caso della piccola Nicole.
Bene, rassegniamoci, ma proviamo a farci delle domande e a darci da soli delle risposte, avendo già capito che aspettare risposte dalla Borsellino è tempo perso.
La prima domanda sorge spontanea: “Per quale motivo, a seguito del caso di una bambina che è morta (e non doveva morire) subito dopo il parto, a Catania, si deve chiudere un centro nascite a 230 chilometri di distanza e, tra l’altro, un centro nascite che non ha mai dato manifestazioni di inefficienza o insufficienza nell’erogazione dell’assistenza e delle cure a madri e nascituri, e non si punta, invece l’indice verso la concentrazione eccessiva nelle aree urbane come Catania, dove i centri nascita sono tanti e non tutti, verosimilmente, attrezzati e adeguati?
Se un ubriaco si getta con l’auto in mare a Ognina, dobbiamo mettere le transenne alla marina a Cefalù?
In ogni caso proprio il mettere in relazione le pressioni ricevute dalla ministra sanno di “Mi serve un capro espiatorio e Cefalù è perfetta nel ruolo”.
Siamo convinti che non è proprio questa la richiesta della ministra, quanto quella di procedere, senza gli annacamenti e le superficialità che hanno contraddistinto la sanità Siciliana non solo negli ultimi anni, ad un riordino e ad una ri-qualificazione delle reti dei servizi, tra le quali pure quella dei centri nascita, facendo corrispondere qualità e sostenibilità?
Ma, già, c’è il nuovo Piano Sanitario Regionale, con le sue ineludibili misure!
Ma di quale Piano Sanitario Regionale sta parlando l’Assessora Borsellino? Di quello che non è stata in grado di fare nei due anni in cui è alla guida dell’Assessorato alla Salute, visto che il precedente (il cosiddetto “Libro dei sogni” del predecessore Russo) oltre che avere dimostrato un’efficacia molto relativa, è scaduto dal 2013?
Il Piano sanitario regionale (ma non si dovrebbe chiamare piano della Salute?) non è forse un atto di programmazione e, come tale, non dovrebbe essere pronto prima della scadenza del precedente, per assicurargli l’efficacia che gli è richiesta?
Ed, in ogni caso, come fa un Piano che ancora nemmeno si sa come si chiama (e, finora, nemmeno prodotto in bozza), ad avere una cogenza tale da determinare e motivare un provvedimento drastico di chiusura di un centro nascita?
L’ultima domanda: siamo sicuri che i centri nascita verso i quali le partorienti cefaludesi dovranno rivolgersi possano assicurare lo stesso standard di qualità e sicurezza che è in grado di assicurare l’Ospedale Giglio di Cefalù?
Gianfranco D'Anna e Angelo Sciortino
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Articolo correlato: Per la Borsellino la chiusura del centro nascite di Cefalù è “ineludibile” - 8 marzo 2015 (https://www.qualecefalu.it/node/16526)
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Commenti
Gianfranco D'Anna -
Chiedo scusa
Per un mio errore è stato cancellato l'articolo originario e i relativi commenti.
Chiedo scusa a Giuseppe Cassata, a Giovanni Marino, a Totò Testa e ad Angelo Sciortino per i loro commenti andati persi (spero possano essere recuperati) e li invito a reinserirli.
Totò Testa -
La strada giusta....
L’indicazione dei 500 parti per punto/nascita che costituisce il discrimine posto dal Ministero della Salute (anzi, dalle Linee Guida scaturenti dall’intesa Stato/Regioni che, non dimentichiamolo, sono del 18.01.2011) non è un “arido numero” tirato a casaccio, ma il risultato di considerazioni e studi approfonditi, innanzi tutto di carattere qualitativo, che hanno al centro dell’attenzione la salute delle partorienti e del nascituro/neonato.
Si asserisce, infatti, che un centro nascite che sviluppa una capacità inferiore a 500 parti l’anno (che, in genere, si associa alla collocazione in un piccolo ospedale) non è in condizione di conseguire i requisiti minimi richiesti dalle norme sull’accreditamento e, quindi, di assicurare alle partorienti e ai nuovi nati tutti l’assistenza dovuta in assoluta sicurezza e fruendo delle prestazioni più appropriate.
Uno dei motivi che determinano l’insufficienza dei PN sotto standard, è, per esempio, l’impossibilità di potere garantire la guardia medica specialistica H24.
Un’ulteriore motivazione risiede nel fatto che l’alta percentuale di tagli cesarei ancora esistente in Italia (altissima in Sicilia), ed ancora più alta nei PN sotto-standard, impone di rivedere tutto il sistema del percorso nascita.
L’intenzione di razionalizzare il “sistema” è anche confermata dall’obbligo, per le Regioni, di procedere ad una “razionalizzazione” delle reti dei PN (quindi a programmare) accorpamenti e riqualificazioni anche per i centri che sviluppano più di 500 parti l’anno, ma meno di 1000.
Quindi, il PN di Cefalù, se vuole sopravvivere, non si deve porre solo il problema di garantire una capacità prestazionale per oltre 500 parti/anno, ma si deve attrezzare per arrivare fino a 1000 parti/anno.
(Basta leggersi il provvedimento per capire)
Resta, però, il fatto che possono essere fatte delle eccezioni, che consentono di mantenere PN con capacità inferiore a 500 parti/anno.
Per esempio, quando si rende impossibile assicurare il servizio entro una distanza percorribile in 90 minuti (automobile).
Ma tale condizione, ovviamente deve essere dimostrata e raffrontata con la funzionalità dell’intero sistema regionale del percorso nascita, tale da assicurare, in ogni caso, gli standard di sicurezza.
E’ ciò che ha fatto, per esempio, la Regione Toscana, che ha organizzato tutta la rete regionale in modo tale da potersi permettere il “lusso” di mantenere, nelle zone appenniniche, tre centri nascita che, sicuramente, non possono sviluppare i fatidici 500 parti/anno, e che sono messe in relazione costante con centri di livello superiore immediatamente allertabili all’occorrenza. Ovviamente c’è anche un sistema d’emergenza (elisoccorso compreso) che funziona certamente meglio di quello siciliano.
In ogni caso la regione Toscana ha programmato e ne ricava i frutti (anche a favore delle comunità più disagiate dal punti di vista geografico), mentre la Regione siciliana si è “annacata” e oggi non ha cosa rivendicare.
Da qui l’atteggiamento rigidissimo del Ministero che, quindi, non è frutto della cattiveria della Ministra, quanto, semmai, dell’inadeguatezza dell’Assessora.
E non siamo solo noi i Calimeri della situazione. Proprio in questi giorni, infatti, lo stesso trattamento viene riservato alla mitica provincia autonoma di Bolzano, i cui rappresentanti sono tornati a casa con le classiche pive (tirolesi) nel sacco dopo gli incontri al Ministero.
Per quanto riguarda Cefalù, in ogni caso, è perdente la strada della considerazione come “eccezione” (cioè quella seguita finora), perché, se eccezione può esservi tra i minimi margini offerti dalle linee guida e dallo stato (attualmente nullo) della programmazione regionale in materia, verrà riconosciuta, per esempio, a Petralia e non a Cefalù.
Altrettanto perdente la strada della coesione a livello “distrettuale”, in quanto il bacino distrettuale (che non supera i 46.000 abitanti), con un tasso di natalità inferiore all’ 1% non è in condizione di sviluppare né i 500 parti/anno necessari alla “sopravvivenza”, né, a maggior ragione, i 1000 per raggiungere la stabilità richiesta dalla programmazione nazionale, finora disattesa nella Regione.
Qual è la strada giusta per il mantenimento del PN a Cefalù?
Una strada parallela, anzi, coincidente con quella delle sorti dell’ospedale.
Dopo il “fallimento”, anche in senso letterale, dell’esperienza della precedente Fondazione, c’è da capire se la Nuova Fondazione sia uno strumento per avviare un percorso di decentramento parziale delle funzioni di emergenza ed alta specializzazione finora assolta solo dai grandi ospedali allocati nelle grandi aree urbane della regione, o se, invece, come qualcuno sostiene, si tratta solo di un traghettamento verso l’Ade di un piccolo ospedale, come tale destinato a chiudere nel giro di un paio d’anni ed essere avvicendato, magari, da un poliambulatorio, un punto territoriale d’emergenza e/o un centro di riabilitazione?
Se così fosse, ci sarebbe molto da preoccuparsi … per la mistificazione che sarebbe perpetrata ai danni dei cittadini, non solo del comprensorio basso/madonita, ma di tutta la Regione.
La riedizione della Fondazione (e non il mero ritorno alla condizione di piccolo presidio ospedaliero pubblico di comunità), infatti, può essere giustificata solo dalla volontà operosa di fare dell’ospedale di Cefalù un vero centro d’ eccellenza di interesse, quantomeno, regionale.
A questo punto sarebbe più che motivato, non solo il mantenimento del PN, ma una programmazione di alto profilo che, determinando e garantendo eccellenza anche sul percorso-nascita, possa diventare centro d’attrazione per larga parte del territorio regionale ed extraregionale, anche in considerazione dell’ampia capacità ricettiva di Cefalù e della possibilità, per esempio, di stabilire appositi meccanismi convenzionale per dare ospitalità ed assistenza globale alle partorienti e al loro nucleo familiare.
Inutile dire che un progetto di tale portata, che potrebbe contribuire a riqualificare l’immagine della sanità siciliana oggi molto appannata, proprio per gli aspetti sociali legati alla riqualificazione di tutta la sfera dell’evento nascita, potrebbe facilmente essere ammesso ad una linea di finanziamento (anche comunitario), che ne potrebbe assistere l’avvio e la sperimentazione fino all’entrata a regime.
In ogni caso grava sull’Assessore Borsellino l’obbligo, attraverso la rimodulazione del percorso nascite e della rete dei PN, di garantire ai cittadini del comprensorio, gli stessi requisiti di qualità prestazionale, appropriatezza delle cure e sicurezza, dovuto ad ogni cittadino su livelli di eccellenza in tutto il territorio regionale, nazionale ed europeo.