Morto un Papa… l’altro ce l’abbiamo già!

Ritratto di Giuseppe Riggio

21 Gennaio 2023, 10:04 - Giuseppe Riggio   [suoi interventi e commenti]

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Morto un Papa… l’altro ce l’abbiamo già!

 

Da Papa emerito è stato più scomodo di quanto si potesse pensare e l’essere scomodo ha fatto il comodo di coloro che anche  in Santa Madre Chiesa usano pescare nel torbido e riescono addirittura a montare un personaggio ‘comodo’!

Se fosse morto da Papa regnante avremmo avvertito meno scalpore ed invece abbiamo assistito ad una gara tra contrapposti altari per magnificare soprattutto il teologo Ratzinger, per aver coniugato magistralmente Fede e Ragione, mentre il suo papato diventava importante per averci rinunziato.

Entrambe posizioni preconcette che riguardano solo la ‘facciata’ di una realtà ecclesiale che non è ancora in grado di dare una risposta definitiva alla domanda fondamentale di questi ultimi 60 anni: ‘Chiesa di Dio, chi sei? Cosa dici  di te stessa?’. Questa la sollecitazione di Papa Giovanni XXIII che trovò immediata risposta teorica nei documenti del Concilio Vaticano II, senza che tuttavia sia diventata pensiero comune e fonte di spiritualità nel ‘popolo di Dio’, a cominciare proprio da questa accezione conciliare del termine ‘Chiesa’.

Tutti i Concili hanno avuto bisogno di tempi lunghi nella loro applicazione, anche quelli che si caratterizzavano per le sanzioni nei confronti degli inadempienti. Il Vaticano II tuttavia batte ogni record e passeranno ancora decenni prima di assistere al sorgere dell’alba di un nuovo giorno…sarà necessario prima toccare il fondo della desacralizzazione e della dispersione, strutturare la Chiesa come popolo di Dio in cammino su base sacramentale, definire come funzioni quelle che al momento incarnano il potere, ricucire gli strappi nei rapporti con la cultura contemporanea che a sua volta sarà altra, nella misura in cui   

sarà capace di darsi parametri antropologici, sociali e politici nuovi…per poter  gestire il cambiamento della eccezionale e universale domanda di umanità.

Il Papato di Ratzinger rappresentò innanzitutto una svolta nella vita della Chiesa: finalmente un ritorno alla spiritualità, dopo quasi vent’anni di televisionite acuta, di ricerca e offerta di immagine, rivolta al mondo intero più come proposta politica che come annuncio del Kerygma. Il mondo, d’altronde, aveva bisogno di un punto di riferimento, essendo venute a mancare le figure forti degli ultimi trent’anni. Si è toccato tuttavia il ‘cattivo gusto’ con l’esibizione delle sofferenze di Giovanni Paolo II, verificandosi quasi una legge del contrappasso e una palese strumentalizzazione della fragilità umana del Pontefice da parte delle persone che, invece, avrebbero dovuto difenderne la privacy.

Il  ritorno alla spiritualità da me avvertito nella realtà ecclesiale era esattamente il marchio di Benedetto XVI impresso nel suo pensiero teologico, nella sua concezione del Cristianesimo e della Chiesa Cattolica, che si traduceva nella pastorale volta a far conoscere Dio quale ci è stato rivelato dal figlio suo Gesù Cristo.

Il teologo che ha saputo coniugare fede e ragione, di straordinaria correttezza intellettuale, che seppe valutare anche il suo ruolo in rapporto alle necessità di riforma della Chiesa, che certamente non era quella auspicata dal Concilio Vaticano II, che anzi stava andando alla deriva proprio perché aveva disatteso a quegli auspici. Situazione che Lui stesso aveva denunziato officiando i funerali di Giovanni Paolo II, esprimendo la necessità di cambiamento simbolicamente rappresentata dal vento che ‘voltava pagina’ dell’evangeliario aperto sulla bara del Papa defunto.  

La volontà di moralizzare e riformare la governance della Chiesa cozzò contro i poteri  forti che si erano consolidati  negli ultimi anni di vita di Giovanni Paolo II e che ormai non riguardavano solo l’atavico problema della ‘potente’ Curia Romana, ma come la gramigna si erano diffusi in alcune Chiese europee ed americane.

Il Papa misurò le sue forze, si rese conto di non farcela e decise di rinunziare, a 86 anni d’età. Vengono i brividi solo a pensare cosa sarebbe stato della Chiesa se avesse regnato fino alla sua morte! Altro che ‘non governo’ negli ultimi anni di Giovanni Paolo II e,  a mia memoria, di Pio XII.

Oggi sappiamo che il suo entourage tentò di dissuaderlo, ma Lui diede retta solo alla sua coscienza, alla sua responsabilità dinanzi a Dio e alla Storia, supportate dalla dottrina teologica.

Il Papato non è un sacramento, ma solo una funzione di servizio (Servus servorum Dei)  del  Primato nella Verità e nella Carità che il Vescovo di Roma esercita nei confronti delle Chiese sorelle  diffuse nel mondo.  Tutte le volte che Roma ha trattato tale rapporto in termini di potere ha arrecato danni enormi a se stessa e alle chiese sorelle.

La stessa infallibilità definita dal Vaticano I non è legata alla persona del Papa, ma al munus di quel primato. Chi meglio di Benedetto XVI sapeva tutto ciò?

Pensare che dal suo ritiro nel Monastero Mater Ecclesiae in Vaticano, ultranovantenne, avesse voglia di intromettersi nella gestione della Chiesa da parte di Papa Francesco, significherebbe una deminutio imaginis di un uomo-Papa che con la sua rinunzia aveva volato più alto delle aquile!

Che figuraccia invece quella del Segretario che perde la dignità del ruolo lamentandosi di non essere stato trattato secondo il suo rango da Papa Francesco o affermando che Questi con l’intervento definitivo sulla Messa in latino abbia straziato il cuore di Benedetto, che viceversa aveva sempre fatto funzionare il cervello.

È difficile rassegnarsi alla perdita del potere, ma non smetterò mai di meravigliarmi che a trasgredire e a ribellarsi sono sempre quelli che  agli altri (fedeli, discepoli, dipendenti)  hanno  severamente insegnato il massimo rispetto e l’obbedienza verso chi detiene il potere. “Obedite prepositis vestris etiam discolis”!

La Chiesa ha sempre peccato di gerontocrazia, e andava anche bene fino a quando si guardava alla sacralità del potere prima ancora che alla funzione di servizio, tanto che nel linguaggio comune la Chiesa si identificava con la Gerarchia.

Personalmente gradirei che anche per il Vescovo di Roma si ponesse il limite d’età come per tutti gli altri Vescovi. Solo così potremmo avere dei Papi giovani, meno personalismi e meno ruggine, e una Chiesa più in sintonia con  la contemporaneità.

Se solo Papa Francesco dettasse norme nuove in materia… finirebbero per linciarLo, ma questa sarebbe la più grande riforma della Chiesa contemporanea.                                      

Cefalù 20 Gennaio 2023                                    

                                                                Giuseppe Riggio